Candido/Parte II/Capitolo XVIII

Parte II - Capitolo XVIII

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Voltaire - Candido
Traduzione di anonimo (1882)
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CAPITOLO XVIII.

Seguito del disastro di Candido. Com'egli trovò la sua amante. La fine.

– Oh Pangloss, dicea Candido, gran danno che siate perito miseramente! voi non siete stato testimone che di una parte delle mie disgrazie; io speravo di farvi lasciare quell’insussistente opinione che avete sostenuta fino alla morte. Non v’è uomo sulla terra che abbia sofferto più calamità di me, nè ve n’è uno solo che non abbia maledetta la sua esistenza, come ce lo diceva energicamente la figlia di papa Urbano. Che sarà di me, mio caro Cacambo? — Non lo so, rispose Cacambo: quel ch’io so è che non vi abbandonerò mai. — E Cunegonda mi ha abbandonato, disse Candido. Ah, un amico bastardo val più d’una donna!

Candido e Cacambo così parlavano in carcere. Ne furon tratti di là, per essere condotti a Copenaghen. Là dovea il nostro filosofo sapere il suo destino. Ei non s’aspettava che l’orribile prigione, ed i nostri lettori pur se l’aspettano, ma Candido s’ingannava, ed i nostri lettori pure s’ingannano. A Copenaghen l’aspettava la felicità. Appena vi fu arrivato, seppesi la morte di Volhall. Quel barbaro non fu compianto da alcuna persona e ciascheduno s’interessò per Candido. Furono rotti i suoi ferri, e la libertà fu tanto più lusinghiera per lui, inquantochè gli procurò i mezzi di ritrovar Zenoide. Corse da lei, stettero un pezzo senza parlare, ma il lor silenzio diceva tutto: piangeano, s’abbracciavano, volevan parlare, e piangevan ancora. Cacambo godeva di quello spettacolo, così tenero per un essere che è sensibile; dividevano la gioja col loro amico, ed egli era quasi in uno stato simile al loro. — Caro Cacambo, adorabile Zenoide; grida Candido, voi cancellate dal mio cuore la traccia profonda de’ mali miei: l’amore [p. 105 modifica]e l’amicizia mi preparano giorni sereni e momenti preziosi. Quante prove ho passato, per giungere a questa felicità inaspettata! Tutto è dimenticato, cara Zenoide; io vi veggo, voi m’amate, tutto va per lo meglio per me; tutto è bene nella natura.

La morte di Volhall avea lasciata Zenoide padrona della sua sorte. La corte gli aveva assegnata una pensione sopra i beni di suo padre, che erano stati confiscati; ella la riparti con Candido e Cacambo; li tenne in casa, e fece dire per la città che aveva ricevuto servizi sì importanti da que’ due forastieri, che lo obbligavano a procurar loro tutti i beni della vita, e a riparare alla ingiustizia della fortuna verso di loro. Vi fu chi penetrò il motivo de’ suoi benefici, ed era ben facile, poichè la sua corrispondenza con Candido aveva dato malamente nell’occhio. Il maggior numero la biasimò, e non fu approvata la sua condotta che da qualche cittadino che sapea pensare. Zenoide che facea un certo caso della stima de’ pazzi, soffriva di non esser nel caso di meritarla. La morte di Cunegonda, che i corrispondenti de’ negozianti gesuiti sparsero in Copenaghen, procurò a Zenoide i mezzi di conciliare ogni cosa. Ella fece fare una genealogia per Candido, e l’autore, che era un uomo abile, lo fe’ discendere da una delle più antiche case d’Europa; pretese che il suo vero nome fosse Canuto, che porta uno de’ re di Danimarca, il che è verosimilissimo. Dido in uto non è una sì gran metamorfosi, e Candido, per mezzo di questo leggier cambiamento, divenne un grandissimo signore.

Sposò Zenoide in facie Ecclesiæ, ed essi vissero sì tranquillamente quanto lo è possibile. Cacambo fu loro amico comune, e Candido diceva spesso:

— Tutto non va sì bene quanto in Eldorado, ma non va neppur tanto male.

fine.