Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
parte seconda. | 105 |
e l’amicizia mi preparano giorni sereni e momenti preziosi. Quante prove ho passato, per giungere a questa felicità inaspettata! Tutto è dimenticato, cara Zenoide; io vi veggo, voi m’amate, tutto va per lo meglio per me; tutto è bene nella natura.
La morte di Volhall avea lasciata Zenoide padrona della sua sorte. La corte gli aveva assegnata una pensione sopra i beni di suo padre, che erano stati confiscati; ella la riparti con Candido e Cacambo; li tenne in casa, e fece dire per la città che aveva ricevuto servizi sì importanti da que’ due forastieri, che lo obbligavano a procurar loro tutti i beni della vita, e a riparare alla ingiustizia della fortuna verso di loro. Vi fu chi penetrò il motivo de’ suoi benefici, ed era ben facile, poichè la sua corrispondenza con Candido aveva dato malamente nell’occhio. Il maggior numero la biasimò, e non fu approvata la sua condotta che da qualche cittadino che sapea pensare. Zenoide che facea un certo caso della stima de’ pazzi, soffriva di non esser nel caso di meritarla. La morte di Cunegonda, che i corrispondenti de’ negozianti gesuiti sparsero in Copenaghen, procurò a Zenoide i mezzi di conciliare ogni cosa. Ella fece fare una genealogia per Candido, e l’autore, che era un uomo abile, lo fe’ discendere da una delle più antiche case d’Europa; pretese che il suo vero nome fosse Canuto, che porta uno de’ re di Danimarca, il che è verosimilissimo. Dido in uto non è una sì gran metamorfosi, e Candido, per mezzo di questo leggier cambiamento, divenne un grandissimo signore.
Sposò Zenoide in facie Ecclesiæ, ed essi vissero sì tranquillamente quanto lo è possibile. Cacambo fu loro amico comune, e Candido diceva spesso:
— Tutto non va sì bene quanto in Eldorado, ma non va neppur tanto male.
fine.