C'era una volta... Fiabe/Prefazione
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PREFAZIONE
Queste fiabe son nate così.
Dopo averne scritta una per un caro bimbo che voleva da me, ad ogni costo, una bella fiaba, mi venne, un giorno, l’idea di scriverne qualche altra pei miei nipotini.
In quel tempo ero triste ed anche un po’ ammalato, con un’inerzia intellettuale che mi faceva rabbia, e i lettori non immagineranno facilmente la gioia da me provata nel vedermi, a un tratto, fiorire nella fantasia quel mondo meraviglioso di fate, di maghi, di re, di regine, di orchi, di incantesimi, che è stato il primo pascolo artistico delle nostre piccole menti.
Vissi più settimane soltanto con essi, ingenuamente, come non credevo potesse mai accadere a chi è già convinto che la realtà sia il vero regno dell’arte. Se un importuno fosse allora venuto a parlarmi di cose serie e gravi, gli avrei risposto, senza dubbio, che avevo ben altre e più serie faccende pel capo; avevo Serpentina in pericolo, o la Reginotta che mi moriva di languore per Ranocchino, o il Re che faceva la terza prova di star sette anni alla pioggia e al sole per guadagnarsi la mano di un’adorata fanciulla.
Avevo anche la non meno seria preoccupazione del giudizio di quel pubblico piccino che irrompeva rumorosamente, due, tre volte al giorno, nel mio studio, per sapere quando la nuova fiaba sarebbe finita. Quei cari diavoletti, che poi mi si sedevano attorno impazienti, che diventavano muti e tutti occhi ed orecchi appena incominciavo: C’era una volta..., mi davano una gran suggezione. Pochi autori, aspettando dietro le quinte la sentenza del pubblico, credo abbiano tremato al pari di me nel vedermi davanti quelle vispe e intelligenti testoline che pendevano dalle mie labbra, mentre io tentavo di balbettare per loro il linguaggio così semplice, così efficace, così drammatico, che è l’eccellenza naturale della forma artistica delle fiabe.
Non mi è parso superfluo dir questo al benigno lettore, pel caso che il presente volume trovasse qualcuno che volesse giudicarlo non solamente come un libro destinato ai bambini, ma anche come opera d’arte.
Il mio tentativo ha una scusa: le circostanze che lo han prodotto. Senza di esse non mi sarebbe passato mai pel capo di mettere audacemente le mani sopra una forma di arte così spontanea, così primitiva e perciò tanto contraria al carattere dell’arte moderna.
Rivedendo le bozze di stampa ho sentito un po’ di rimorso. Non commettevo forse un’indegnità chiamando il pubblico a parte di quella mia deliziosa allucinazione che io non posso mai rammentare senza commozione e senza rimpianto?
Allora ben mi stia, se le Fate che vennero ad aleggiare tra le bianche pareti del mio studio mentre il sole di gennaio lo scaldava col tepore dei suoi raggi, mentre i passeri picchiavano famigliarmente col becco all’imposta chiusa della finestra e i miei cari diavoletti non osavan rifiatare avvertendo la presenza delle Dee; ben mi stia, se le Fate, per dispetto, abbandoneranno ora il mio libro alla severa giustizia della critica!
- Roma, 22 giugno 1882
Luigi Capuana.
Avvertenza. — Ho usato i vocaboli Reuccio e Reginetta secondo il significato che essi hanno nel dialetto siciliano e unicamente nel linguaggio delle fiabe, cioè invece di principe reale e di principessa reale. Reuccio trovasi nelle lettere del Sassetti per Re di piccola potenza.