Bizzarrie/Il Calzolaio della marchesa
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IL CALZOLAIO DELLA MARCHESA.
Chi può dubitare che madre natura si compiaccia talora di mettere a fronte le cose più disparate? L’orgoglio d’un calzolaio, a modo di esempio, e quello d’una marchesa? — E non crediate che la fosse una di quelle infelici tra le figliuole di Eva, che tengono sempre l’occhio alla sommità dell’albero della vita, e quando anche spiccato il pomo il presentano altrui da mangiare, non accompagnano mai l’offerta con facile riso; infelici tra le figliuole di Eva, vivono coll'anima più rannicchiata quanto vanno più pettorute ed erette colla persona!
La signora di cui vi parlo aveva piacevolezza di parole e di sguardi, era un composto di arguzia e di amabilità, un non so che di carezzevole le si aggirava d’intorno a consigliarti fiducia; se non amante, l’avresti desiderata tua amica, tua buona amica, come suona la frase. Ma che servono tanti preamboli? La nostra marchesa tirò il campanello, e ingiunse al più sollecito de’ suoi valletti che le andasse a chiamare quel nuovo calzolaio di cui s’era discorso la sera innanzi, quel nuovo, badasse bene, e lo nominò. Il valletto fu in via, che la padrona non aveva ancora chiusa affatto la bocca.
Data una commissione, che c’è da fare finché se ne vegga l’adempimento? La marchesa abbassò l’occhio al suo bel piedino, e con aria di compiacente noncuranza se ’l fece guizzare tre o quattro volte dinnanzi, arrendevole com’egli era e poco meno che disossato. E ad ogni nuovo guizzo l’abilità del calzolaio stava in procinto di sempre più scapitare: e chi avrebbe saputo creare una scarpetta bene assestata al più elegante di tutti i piedini?
Non tardò molto ad entrare il calzolaio. La marchesa al primo vederlo palesò un po’ di stupore, ma si ricompose. — Voi siete dunque mastro Ubaldo?... (Ommetto le risposte troppo facili a indovinare). Quel calzolaio che serve... (Qui la marchesa squadernò dall’a fino alla zeta il registro araldico della città, dimenticando per altro le signore che in qualche maniera servivano alle primarie, ed erano esse pure servite da mastro Ubaldo). In una parola siete il calzolaio nuovo... (Non è facile esprimere acconciamente l’accento onde fu pronunziato quel nuovo: il lettore faccia da sè, che gliene sarò assai obbligato). — Ma perchè mi fa ella queste domande? Pensa forse che io voglia ingannarla? O non trova in me tanto... Al soggiugnere di mastro Ubaldo, rispose la marchesa: Trovo in voi anzi troppo più che non mi sarei aspettata. Non siete voi il calzolaio di via tale... venuto or sono tre anni a portarmi non so che paia di scarpe?... (Il calzolaio assentiva col capo). Or come siete il nuovo, di cui si lodano?... (E qui nuovamente da capo coll’alfabeto). — E che colpa ci ho io se le signorie loro, dopo avermi lasciato languire alcuni anni in un vicolo dimenticato, mi chiamano ora il nuovo, da che apersi bottega nel cuore della città, e un terno al lotto mi concesse di arredarla tanto che desse nell’occhio e chiamasse avventori? Chi più nuovo di me, che ho saputo comparir tale due volle alle persone stesse? — La marchesa sorrise, e gli porse, quasi pegno di conciliazione, il suo bel piedino; l’altro s’incurvò secondo il costume, e trasse di tasca la sua fettuccia di carta.
— E quando avrò le mie scarpe? — Non prima che di qui a cinque giorni, e nè un’ora dopo. — Che? Cinque giorni? Io non sono solita ad aspettare. — Qui montò al capo di mastro Ubaldo un poco di boria della sua arte: Saprà vossignoria, che a chi vuole scarpe di mastro Ubaldo è mestieri l’attendere. Cinque giorni sono il più corto spazio che io possa. — La marchesa si risenti anch’ella: Quando io pago posso pretendere che mi si serva sollecitamente. — Sì, certo, ma non oltre la possibilità di quel paio di braccia da cui vuol esser servita. — Sta a vedere che i calzolai saranno essi che c’imporranno la legge! — No i calzolai, ma le signorie loro che vogliono usare le scarpe lavorate dal nuovo. E s’egli potesse ora moltiplicare il lavoro delle proprie braccia in proporzione dell’ozio degli anni passati forse che le cagioni alle lagnanze sarebbero tolte. Ma questo, vede bene, è impossibile.
Qui il dialogo tra il calzolaio e la marchesa ebbe fine, ossia continuò come sogliono tutti gli altri dialoghi di simil fatta. Dove per altro ha termine il dialogo vorrebbero incominciare le nostre riflessioni. Quanti non sono i nuovi, che sbucano dal loro vicolo dimenticato in forza del terno al lotto, e venuti a piantar bottega nel bel mezzo della città hanno i battimani di chi non li degnava pur d’uno sguardo? O crederemo che i giudizii degli uomini sappiano essere imparziali ed esatti quando trattisi di più gravi argomenti, se tali non si trovano nemmeno in proposito di un paio di scarpe? Quante novità sulla terra molto simili a quelle di mastro Ubaldo! Se stiamo al detto, nulla di più frequente: nuova fabbrica, nuova invenzione, nuovo metodo, nuovo libro, nuovo ballo... ma chi ha passeggiato il vicolo di mastro Ubaldo si stringe nelle spalle, e soggiunge: luna nuova. Così va il mondo!
Ma questo è il meno. Paga e servigio dovrebbero darsi mano e vivere da fratelli. No, signori. Vivono come s’usa fra padrone e servo. Io non ho mai saputo intendere che intrinseca superiorità ci sia nel danaro paragonato all’opera per cui si concede. Oh! il danaro può volgersi in mille usi, e l’uso delle altre cose è determinato. Sia pure nella generalità; ma quando trattisi di cosa eccellente, sia tale per sè o per l’estimazione che di lei facciamo, nè quello nè altro danaro potrebbe darmi l’eguale. Sicchè ciò che da un lato è il moltiplice, dall’altro è il singolare; e non vi ha differenza nei due valori, o che la differenza torna a vantaggio del singolare. Serie riflessioni in proposito di un paio di scarpe; ma cominciate dal basso e via via salite fino alle ultime sommità, e troverete che passano fra tutte le cose le relazioni medesime.
Oltrechè, sappiamo noi bene definire i limiti entro ai quali propriamente consiste il pregio di ciascuna cosa? Quanti destini sospesi ai legacci di una scarpetta! Oh, mondo femminile! tutto sparso di giardini e fonti e ville e boschetti, ma interrotto pur anco da roccie e burroni e spechi e torrenti, chi ti ha corso da un capo all’altro, e può dire di qualsivoglia contrada: vidi e ci fui? Quanto a me crederei avervi materia a grosso volume nella sola descrizione di un piede. E non è forse bastata una scarpa caduta dall’alto a guadagnare la corona dell’Egitto? Ma quello era il paese de’ geroglifici. Appunto per questo pigliate lo strano avvenimento come simbolo da cui si possono trarre molte riposte significazioni.