Berecche e la guerra/VIII. Nel bujo
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VIII
NEL BUJO
— Pst! pst! —
Il guardiano, che non se l’aspetta, si volta quasi impaurito; Berecche gli fa cenno con le mani d’accostarsi in silenzio, senza far troppo stridere la ghiaja, e si mette a confabulare con lui in gran mistero.
— Eh, per meno di seicento... — dice quello a un certo punto.
— Piano, piano!
— Perché il Governo ha fatto già presso tutti i mercanti la requisizione... almeno dicono... Sa com’è, in questi momenti...
— Sí, sí; ma per seicento lire...
— Ah, un cavalluccio buono, sí... anche da sella...
— Ma io dico da sella!
— Le serve per...?
— Piano, piano!
— Da sella, sicuro... per seicento lire lo trova...
— Da accaparrare, per ora, versando una somma... duecento... che so? duecento cin quanta lire... cosí... Perché, io lo spero, ma se in caso non mi dovesse servire... ecco, perderei soltanto la caparra... Ma, oh! vi prego, di nascosto... silenzio con tutti... Ve n’occupate voi. —
E Berecche, rabbuffato, col capo insaccato nelle spalle, in punta di piedi, rientra nella villetta e lascia lí, nel giardino bujo, il guardiano inchiodato dallo sbalordimento per quel misterioso acquisto d’un cavallo commessogli cosí di nascosto, al bujo, dall’unico inquilino della villetta, brav’uomo, serio, di studio... uhm! Un cavallo da sella... che nessuno lo sappia...
Richiuso pian piano il portone e rientrato nel suo appartamento, Berecche, sempre in punta di piedi, attraversa il corridojo, si chiude nello studio, siede al tavolino, trae dalla cartella un foglio di carta, vi scrive su:
A S. E. il Ministro della Guerra — Roma; solleva l’indice della mano che regge la penna, e se lo applica sulle labbra. Medita a lungo.
Ciò che vuol chiedere a S. E. il Ministro della Guerra gli è chiaro in mente; ma è in dubbio dell’esattezza dei termini militari. Si dice Corpo guide volontarii a cavallo, o in altro modo? Sarà meglio informarsi, prima, al Ministero della Guerra. E poi, dovendo dichiarare gli anni — cinquantatre — non converrà unire alla domanda un attestato medico di sana e robusta costituzione fisica? Potrà averlo da Fongi, domani.
— Da Fongi, no... da Fongi, no... — mormora. Dev’essere un segreto per tutti. E poi a Fongi ha fatto una dimostrazione cosí lampante di essere nel possesso della sua ragione e gli ha gridato con tanta violenza ch’egli è di nuovo, tutto, per la Germania...
— No: da Fongi, no... —
Se non che, a rivolgersi a un medico qualunque, non amico, potrà esser sicuro d’avere questo attestato di sana e robusta costituzione fisica? Il cuore... il cuore da un pezzo non gli batte piú in regola; ha il cuore stanco, e spesso il capo cosí greve... Chi sa! Si rivolgerà prima a un medico qualunque; se non potrà averne l’attestato, ricorrerà al Fongi, raccomandandogli il segreto. Berecche vuole andare in guerra anche lui.
Rimette il foglio intestato dentro la cartella, si alza e va a uno degli scaffali; ne cava un manuale Hoepli su l’Equitazione; ritorna a sedere innanzi al tavolino, vi appoggia i gomiti, si prende il capo tra le mani, e si sprofonda nella lettura preparatoria:
CAPITOLO PRIMO
Storia ed accenni preliminari
dell’equitazione
Il giorno appresso, alla Cavallerizza, in via Po.
Un involto sotto il braccio (i gambali di cuojo e un frustino, comperati or ora) — un altro involto più piccolo in mano — (gli speroni) — Berecche si presenta al signor Felder, maestro di maneggio.
— Corso accelerato? Ma, scusi, il signore ha già una certa pratica del cavallo? —
Berecche scuote il capo:
— No.
— E allora? — esclama con un sorriso di pietosa meraviglia il signor Felder.
Contempla un po’ quel pezzo d’omone grave, dalla quadrata corporatura che gli sta davanti aggrondato; poi, chiestogliene il permesso, gli tasta i muscoli delle gambe, veramente un po’ fiacche, veramente un po’ secche in proporzione dell’ampio torace; gli prende una mano — (scusi...) — e lo invita a piegarsi su quelle gambe, tenendosi su la punta dei piedi giunti.
— La reggo io. —
Berecche, piú che mai aggrondato, scuote di nuovo il capo; rifiuta quella mano: ha fatto in casa, chiuso a chiave nello studio, quell’esercizio; e lo eseguisce ora da sé, senza ajuto, una, due, tre volte, elasticamente, con gli occhi chiusi, innanzi al signor Felder che approva:
— Ah, bene... ah, bene... benissimo... —
Berecche si rialza e al signor Felder, sempre piú stupito dell’aria fosca con cui quel nuovo cliente gli parla, annunzia di avere studiato tutta la notte e che perciò, quanto a nozioni teoriche, si può dire già a cavallo. Indica in un punto della pésta il cavallo ginnastico di legno, e fa il gesto di scartarlo con la mano, che di quello, cioè, può farne a meno, perché, in teoria, conosce già tutte le posizioni e le arie e le difese del cavallo, evoluzione, mezz’aria, parata, passata, piroetta...
— Un po’ di pratica, solo un po’ di pratica alla svelta — conclude. — Ecco, ho portato qua questo pajo di gambali. Me li metto. Mi faccia montare e proviamo subito, anche su un cavallo un po’ cattivo... vivace, intendo. Sarà meglio! Se casco, non fa nulla. —
Il signor Felder si prova a fare parecchie obiezioni; ma Berecche lo interrompe, ripetendo ogni volta: — Le dico, che se casco non fa nulla! con tono cosí perentorio, che alla fine alza le spalle e si sottomette a contentare lo strano cliente.
Non casca, quella prima volta, Berecche; ma se vuol fare cosí a modo suo, perché mai è venuto in una scuderia d’equitazione? Cosí, prima o poi, si romperà il collo, non una, ma dieci volte, e basta una. Non glie n’importa? Ma importa a lui, al signor Felder, che non vuole responsabilità; perché, nella sua scuola...
— Ecco, guardi, — soggiunge, — provi piano, prima, all’inglese.
— Vale a dire? — domanda Berecche col fiato grosso, infiammato in volto, dall’alto del cavallo.
— Ecco, — ripiglia il signor Felder, — lei sa: c’è il modo di cavalcare all’italiana, e il modo all’inglese. Provi piano all’inglese. Guardi, che si tenga in sella un po’ sospeso su le staffe... cosí... e che s’alzi e si abbassi, secondando l’andatura del cavallo... sicuro, inchinando un po’ il capo e la vita... cosí, avanti, verso il collo della cavalcatura... non troppo... Dico, sa? per non aver troppe scosse alla testa... Vedo che... sí, lei si congestiona un poco...
— Ah, non se ne curi! — esclama Berecche. — Ma proviamo pure all’inglese... Dia, dia...
— Prima piano... piano...
— Le dico: dia!
Il maestro dà; il cavallo si lancia al galoppo, e allora Berecche... oh Dio... oh Dio!...
— Si chiuda in sella!... si chiuda in sella! — gli va urlando dietro per la pésta il signor Felder.
Rinsacca maledettamente Berecche, pencola, si storce di qua, di là, e alla fine patapunfete! rimanendo staffato, cosí che il cavallo se lo strascina per un pezzo per la pésta.
Niente! Non s’è fatto niente... Ma all’inglese, ecco, non va!
— Niente, le dico, perdio! Sono contentissimo... Niente... un po’ qua al piede... ma è già passato... All’inglese non va! Mi faccia rimontare. Vado meglio all’italiana, come prima. E mi dia il frustino! —
Il signor Felder si tira un passo indietro, ponendosi il frustino dietro le spalle.
— Ah, frustino, niente, caro signore!
— Le dico, mi dia il frustino!
— Fossi matto!
— Ma lo sa lei che, se avevo il frustino, non cascavo? —
Ride, ansando, dall’alto del cavallo, Berecche. È proprio contento, anche della caduta, sí. È stato un bel momento, una gran gioja è stata per lui: galoppando e rinsaccando a quel modo: pensava a Faustino, alla guerra, a Faustino che si lanciava a una carica alla bajonetta contro i Tedeschi, e... via, via, via di galoppo con lui, cosí, a occhi chiusi, nella mischia. Vuol riprovare la stessa gioja, ora.
— Su, mi dia il frustino, senza storie!
S’avvicina col cavallo; si protende; strappa al signor Felder di dietro le spalle il frustino; e via, frustando il cavallo, si lancia di nuovo al galoppo per la pésta, con gli occhi chiusi, rituffandosi nella violenta visione dei garibaldini alla carica, con Faustino alla testa. E piú il suo ragazzo gli corre davanti con la camicia rossa e la bajonetta in canna, e piú lui frusta il cavallo: avanti! avanti! viva l’Italia! Ah, come son rosse quelle camicie! Un po’ di gioventú... un po’ di gioventú sprecata!
Chi grida cosí nella pésta?... Ah... che turbine!... Chi corre avanti? Com’è? qua fermo? Che è stato? Gridano, accorrono...
Berecche è stramazzato; bocconi, con la fronte spaccata. Ha un ansito tremendo, ma è pieno di gioja; non soffre nulla; è dolente solo per quel buon signor Felder che grida su le furie; gli vorrebbe dire che non è niente; che non si dia pensiero di nulla; che nessuno lo chiamerà responsabile del male che lui s’è fatto alla testa.
— È grave? — domanda alla gente accorsa a sollevarlo da terra.
Dagli occhi con cui quella gente lo guarda, comprende che è grave; ma non sa, non può vedersi la faccia, con quella ferita aperta su la fronte; e ride, con la faccia cosí insanguinata, per rassicurare quella gente:
— Eh, — dice — e allora, alla guerra? —
Lo prendono per le spalle e per i piedi e lo trasportano fuori; lo adagiano su una vettura e lo conducono al Policlinico.
— Ma allora, alla guerra? —
Contro ogni supposizione diversa che altri possa fare, Berecche seguita a ragionare; e ne dà ancora una prova, la sera, allorquando con un turbante di bende che gli avvolge non solo tutto il capo ma anche mezza faccia nascondendogli tutt’e due gli occhi, lo riportano in casa dal Policlinico.
— Una caduta... una caduta... —
Non dice altro: né come, né dove sia caduto. Una caduta. Ma ragiona: tanto vero, che subito comprende che, dicendo cosí, senza spiegare come e dove sia caduto, la moglie, la figlia Carlotta possono supporre che egli abbia tentato d’uccidersi. E allora soggiunge:
— Niente... Per via, una vertigine... Non vi spaventate... gli occhi sono salvi: solo alla fronte, su le ciglia, uno spacco... Niente. Passerà. —
Vuol essere condotto nello studio e posto a sedere al suo solito posto della sera. Vuole solo con sé Margheritina. Se la fa sedere su un ginocchio; la abbraccia. Ragiona; ma gli sembra che Margheritina il lampadino rosso innanzi alla Madonnina del villino dirimpetto — almeno quello solo — sí, possa vederlo, se è acceso; e glielo domanda.
Margheritina non risponde. Berecche comprende che no, neanche quello può vedere Margheritina, la sua animuccia cara; e se la stringe al petto piú forte. Forse non sa neppure Margheritina che lí dirimpetto c’è un villino con una Madonnina a uno spigolo e un lampadino rosso acceso. Che è il mondo per lei? ecco, ora egli può intenderlo bene. Bujo. Questo bujo. Tutto può cambiare, fuori; diventare un altro, il mondo; un popolo sparire; ordinarsi altrimenti un intero continente; passare, anche vicina, una guerra, abbattere, distruggere... Che importa? Bujo. Questo bujo. Per Margheritina, sempre questo bujo. E se domani, là in Francia, Faustino sarà ucciso? Oh, allora anche per lui, senza piú quella benda, con gli occhi di nuovo aperti alla vista del mondo, sarà tutto bujo, sempre, cosí, anche per lui; ma forse peggio, perché condannato a vederla ancora la vita, questa atrocissima vita degli uomini.
Torna a stringersi forte al petto la sua cechina sempre chiusa nel suo silenzio nero; mormora:
— E di questo, figliuola mia, di tutto questo, siano rese grazie alla Germania! —
Roma, fine del 1914, principio del 1915.