Ben Hur/Libro Primo/Capitolo VI

Capitolo VI

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CAPITOLO VI.


Ad oriente, nelle mura di Gerusalemme, si trovano le porte di Betlemme e di Joppa. Il recinto che le circonda è uno dei posti più importanti della città. Molto prima che Davide aspirasse a Sion, si trovava in quel posto una cittadella. Quando il figlio di Jesse scacciò Jebusite, e cominciò a fabbricare, la cittadella divenne l’estremità nord-ovest della nuova mura, difese da una torre più imponente di quella antica. Tanto il campo come la porta, non di meno, non furon toccati, per la ragione che le strade le quali s’incontravano e si dividevano davanti ad essi non potevan essere trasportate a nessun altro punto, mentre il recinto che le circondava era diventato un vero centro di mercato. Ai tempi di Salomone v’era in quella località gran traffico dovuto in parte ai commercianti Egiziani e ai ricchi negozianti di Tiro e di Sidone. Sono passati quasi tremila anni; eppure ancor oggi v’esistono traccie di commercio. Un pellegrino in cerca di merce non ha che a rivolgersi alla porta di Joppa. Qualche volta la scena riesce assai animata e fa pensare che cosa dev’esser stato questo sito ai giorni di Erode il Costruttore. Il lettore deve trasportarsi col pensiero a quei tempi, e a quel mercato. [p. 34 modifica]

Secondo il Calendario degli Ebrei l’incontro degli uomini saggi, descritto nei capitoli precedenti, ebbe luogo nel pomeriggio del 25° giorno del terzo mese dell’anno, cioè il 25 di dicembre; l’anno era il secondo della 193.ma Olimpiade o il 747 di Roma, il 67° di Erode il Grande, ed il 35° anno del suo regno; il quarto prima dell’Era Cristiana. L’ora del giorno, secondo il costume, giudaico cominciava col sole, la prima ora essendo la prima dopo il levar del sole; così, per esser precisi, il mercato di Joppa, durante la prima ora del giorno, era molto animato. Le porte massiccie eran state aperte fino dall’alba.

Il commercio sempre crescente aveva invaso anche un vicolo stretto ed una corte sotto le mura della grande torre. Siccome Gerusalemme è situata sulla parte montuosa del paese, l’aria del mattino era piuttosto fredda. I raggi del sole, che promettevano di riscaldare l’aria, si fermavano provocanti sui merli delle torri, dalle quali s’udiva il tubare dei piccioni e lo stormire delle loro ali. Per far conoscenza col popolo della città santa, e per comprendere le pagine seguenti, sarà necessario di fermarsi alla porta e di passare in rivista la scena.

Migliore opportunità di questa non può esser offerta per conoscere il popolino. La scena appare, a tutta prima, una gran confusione, di rumori, di colori e di cose. Questo avviene specialmente nel vicolo e nella corte. Il terreno è selciato da larghe ed irregolari piastre che ripercuotono il calpestìo ed il vocìo. Unendoci alla folla e prendendo un po’ di famigliarità cogli affari del mercato, ci sarà possibile di fare l’analisi di questo popolo.

In un angolo, un asino, sonnecchiava sotto il peso dei panieri ricolmi di lenticchie, di fagiuoli, di cipolle e di citrioli, provenienti freschi dalle terrazze e dai giardini di Galilea. Quando non era occupato a servire ai clienti, il padrone gridava, vantando ai passanti la sua merce. Nulla di più semplice del suo costume: portava dei sandali; aveva una greggia coperta incrociata su di una spalla e fermata alla vita da una cintura di cuoio. Là vicino, assai più imponente e grottesco, sebbene non così paziente come l’asino, stava inginocchiato un cammello, ossuto, grigio, con dei lunghi, irti peli rossicci sotto alla gola, il collo ed il corpo; e carico di ceste e di scatole curiosamente accomodate su di un’enorme sella. Il proprietario era un Egiziano piccolo e snello. La sua carnagione aveva preso il colore delle strade polverose e delle sabbie del deserto. [p. 35 modifica]Portava uno smunto tarbooshe, una blusa sciolta, senza maniche, senza cintura, e cadente, larga, dal collo alle ginocchia. I suoi piedi erano nudi. Il cammello, irrequieto pel carico, si lagnava, di quando in quando, mostrando i denti, e l’uomo passeggiava, indifferentemente, in su ed in giù, tenendo le briglie e vantando i suoi frutti freschi provenienti dagli orti di Kedron: uva, datteri, fichi, mele e melagrane.

Ad un lato, ove la strada sboccava nella corte, eran sedute delle donne colle spalle rivolte al muro. Il loro abito era quello comune alla classe più modesta del paese; una veste di tela che s’estendeva per tutta la lunghezza della persona, leggermente attillata alla vita, ed un velo abbastanza ricco perchè, dopo aver coperto la testa, potesse avvolgere le spalle. La loro merce era contenuta in una quantità di vasi di terra come quelli tuttora adoperati in Oriente per trasportare l’acqua dei pozzi, ed in bottiglie di pelle. In mezzo ai vasi e alle bottiglie, rotolando sul terreno sabbioso, noncurante della folla e del freddo, giuocava, spesso in pericolo, ma incolume, una mezza dozzina di bambini, seminudi, coi corpi abbronzati, e che cogli occhi neri lucenti come perle nere, e i folti capelli neri attestavano il sangue d’Israele. Qualche volta le madri mostravano i visi liberi dai loro veli e con ostentazione gridavano la propria merce: nelle bottiglie vino, nei vasi bevande spiritose. Le loro preghiere si perdevano di solito tra il frastuono generale esse ricavavano un ben meschino guadagno a cagione dei molti concorrenti: uomini tarchiati, dalle gambe nude, dalle tuniche sudicie, dalla barba lunga, erranti di qua e di là colle bottiglie legate dietro le spalle, gridando: «vino dolce! uva di Engaddi!»

I venditori di uccelli non fanno meno chiasso — colombe, anitre, spesso usignuoli, ma più di frequente piccioni, sono venduti ai compratori che, ricevendoli, non pensano alla vita pericolosa di coloro che li prendono, arrampicandosi sulle più alte rupi, sospesi ora all’orlo dei precipizi colle mani e coi piedi, e ora dondolanti in una cesta fra i crepacci delle montagne. Confusi con essi, dei merciaiuoli ambulanti di gioielli, uomini furbi, vestiti di scarlatto e di bleu, con dei turbanti bianchi, e coscienti dell’abbaglio che produce un nastro colla lucentezza dell’oro, o un braccialetto, o una collana, o un anello per le dita o pel naso; girovaghi venditori d’utensili domestici, venditori di vesti, venditori al minuto d’unguenti per ungere i [p. 36 modifica]corpi delle persone, venditori insomma di qualsiasi articolo sì di lusso che d’uso, i quali tirando, qua è là con forza delle corde, ora con grida, ora con lusinghe, s’affaticavano; venditori d’animali, asini, cavalli, vitelli, pecore, capre belanti, e goffi cammelli; animali di tutte le specie eccettuato il maiale, che era proibito dalle leggi ebraiche. Tutte queste scene potevano vedersi, a ogni piè sospinto per l’antico mercato.