Ben Hur/Libro Ottavo/Capitolo V
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Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
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CAPITOLO V.
Ben Hur piantò due tende nella valle superiore di Cedron a pochi passi dalla tomba dei Re, le ammobigliò in fretta e furia e vi condusse la madre e la sorella perchè vi soggiornassero in attesa del certificato di libera circolazione che darebbe loro il sacerdote ispettore.
Nel cedere all’impulso del proprio cuore, e nel compiere il proprio dovere di figlio, il giovane si era messo nell’impossibilità di partecipare alle cerimonie della grande festa imminente, o anche solamente di por piede in una delle corti del Tempio, restrizione che gli tornò assai gradita poichè gli permise di dedicarsi intieramente all’adorata famiglia.
Racconti di vicende come le loro, di tristi esperienze attraverso il corso di diversi anni, di patimenti fisici e di più acuti dolori morali, sogliono necessariamente occupare molto tempo, anche perchè gli incidenti di rado si seguono in ben ordinata connessione. — Ben Hur ascoltò la narrazione delle due donne dissimulando sotto la calma apparente i sentimenti che essa gli suscitava nel petto, — sentimenti d’ira e di vendetta, che aumentavano d’intensità di mano in mano che s’accumulavano le raccapriccianti rivelazioni. Pazze idee gli attraversavano il cervello, ed ancor più pazzi proponimenti si svolgevano in lui, come per esempio quello di far insorgere la Galilea, e già la contemplazione d’un eccidio generale degli aborriti oppressori lo riempiva di gioia selvaggia; buon per lui che la ragione, frenando quegli impeti passionali, non tardò a riprendere il sopravvento ed a fargli presente l’inanità d’ogni tentativo che non fosse il risultato d’un’azione concorde di tutto Israele; dopo di che i suoi pensieri e le sue speranze fecero ritorno al punto di partenza cioè al Nazareno ed ai suoi propositi. — Vi fu un momento in cui la sua riscaldata fantasia lo spinse ad improvvisare la seguente invocazione in bocca dell’uomo misterioso: — «Ascoltami o Israele! io son colui, promesso dal Signore, nato Re dei Giudei, che viene a iniziare l’impero di cui parlavano i profeti. Sorgi ora, e conquista il mondo!» —
Ah, se il Nazareno pronunciasse quelle parole, che tumulto scoppierebbe! quante bocche le ripeterebbero esultando in ogni paese, facendo sorgere sterminati eserciti! Ma le avrebbe egli pronunciate?
Nella sua impazienza d’incominciar l’opera. Ben Hur attinse la risposta a moventi mondani, perdendo di vista la duplice natura dell’uomo, e pertanto anche l’ipotesi che il divino in lui superasse l’umano. Nel miracolo di cui Tirzah e sua madre erano stato gli oggetti, egli scorgeva solo una facoltà ampiamente sufficiente a piantare la corona Ebraica sulle rovine d’Italia; più che sufficiente a ricostituire la società ed a riunire l’umanità in una grande famiglia purificata e felice: e quando quell’opera fosse compiuta, chi potrebbe asserire che la pace, solo allora possibile, non fosse degna missione d’un figliuolo di Dio? Chi potrebbe allora negare la redenzione dovuta a Cristo? E facendo pure astrazione d’ogni considerazione d’ordine politico, qual messe di gloria non raccoglierebbe egli come uomo? No, nessun mortale avrebbe la forza di rinunciare ad un simile avvenire.
Intanto giù nella valle di Cedron e verso Bezetha, particolarmente lungo la strada che conduceva alla Porta di Damasco, andavano sorgendo tende, capanne e baracche d’ogni genere per uso dei pellegrini accorsi a celebrare la Pasqua. Ben Hur s’intrattenne con molti di quegli stranieri, ed ogni qualvolta ritornava alle loro tende si meravigliava del loro numero straordinario, sempre crescente. Quando poi scoperse che ogni parte del mondo, dall’India al settentrione dell’Europa, era fra loro rappresentata, e quando constatò che, sebbene tutta quella gente non conoscesse una sillaba d’Ebraico, era colà convenuta con lo stesso scopo, cioè per la celebrazione della festa, un’idea quasi superstiziosa lo penetrò. Non potrebbe egli dopotutto aver frainteso il Nazareno? Non potrebbe darsi che colui coll’attendere pazientemente avesse abilmente dissimulato una tacita preparazione al compimento della grand’opera? — Ed infatti com’era di gran lunga più propizia quest’occasione, che non quella in cui i Galilei presso Gennezaret avevano voluto a viva forza incoronarlo! Colà il suffragio si limitava a poche migliaja, qui al suo appello risponderebbero milioni di voci. Continuando in quest’ordine di idee e passando da induzione ad induzione. Ben Hur esultò, pensando alla gloriosa prospettiva che si schiudeva ai suoi occhi, nel tempo istesso che s’accrebbe in lui la ammirazone per quell’uomo saturnino, che, sotto il manto d’infinita dolcezza e di meravigliosa abnegazione nascondeva l’accortezza d’un uomo di stato ed il genio d’un capitano.
Di tempo in tempo, uomini dal volto abbronzato ed ombreggiato da folta barba, venivano in cerca di lui, e lo trattenevano in secreti colloquii; alle domande della madre, egli rispondeva semplicemente: — «Sono amici miei di Galilea.» — Per loro mezzo egli era tenuto a giorno delle mosse del Nazareno e delle insidie dei suoi nemici Rabbini e Romani. Sapeva che la vita di quell’uomo straordinario correva pericolo, ma si rifiutava di credere che ci fosse alcuno abbastanza temerario per assalirlo proprio nel momento della sua massina popolarità, e si confortava pensando alla sicurezza che presentava il numero enorme dei suoi ammiratori. In cuor suo Ben Hur faceva sopratutto assegnamento sul potere miracoloso di Cristo, mentre non gli passò neppure pel capo l’idea che chi esercitava un tal potere pel bene altrui non l’avrebbe forse voluto esercitare in propria difesa.
Giova tener presente che questi incidenti avevano luogo fra il ventesimo giorno di Marzo, secondo il nostro calendario, ed il giorno venticinquesimo. Alla sera di quest’ultimo giorno, Ben Hur, non potendo più oltre frenare la propria impazienza, montò a cavallo e partì per la città promettendo di ritornare la stessa notte.
Il cavallo galoppò di buona lena. Le strade, i ridenti vigneti che le fiancheggiavano erano silenziosi, le case deserte, e spenti i fuochi presso le tende; perchè alla vigilia di Pasqua tutti si recavano in città, affollando le corti del Tempio, ove si sgozzavano gli agnelli. Il cavaliere entrò dalla porta settentrionale e penetrò in Gerusalemme, festosamente illuminata in onore del Signore.