Avventure straordinarie di un marinaio in Africa/11. Fra i chikani
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11.
FRA I CHIKANI
Eccoli in viaggio!... Quale divertimento per Finfin nel sentirsi portare da quel docile animale attraverso la pianura erbosa!... Il bravo giovanotto, tutto felice mandava delle grida di gioia mentre Pompeo eseguiva dei capitomboli magistrali balzando dal dorso al collo della gigantesca cavalcatura. Il pachiderma procedeva rapido, quantunque non s'affannasse. Le sue zampe gli permettevano di fare dei passi lunghissimi anche prendendosela con calma.
In breve tempo la pianura erbosa fu attraversata ed i nostri viaggiatori si trovarono dinanzi ad una vallata immensa, percorsa da parecchi fiumi ed ingombra da paludi vastissime, entro le quali si vedevano correre numerose mandrie di bufali ed anche non pochi rinoceronti, animali sommamente pericolosi. Se Finfin avesse avuto delle cognizioni geografiche sul Congo, avrebbe saputo che quella vallata era abitata dalle tribù dei chikani, popolo ignorante, a metà selvaggio, sottoposto all'autorità di alcuni capi tiranni e dispotici. In quella vallata, a quell'epoca, regnava un negro chiamato Korosko, un tiranno feroce e selvaggio come lo sono generalmente quasi tutti i monarchi africani, specialmente quelli che abitano le regioni equatoriali. Un altro monarca, abitante un'altra vallata e capo d'una tribù assai più numerosa e più guerresca, dedita al cannibalismo, sapendo che Korosko aveva una figlia, l'aveva domandata per farne la regina del suo popolo, ma aveva avuto una risposta negativa.
Quella principessa, che si chiamava Juba, a tutte le proposte del re antropofago, capo della tribù dei payli, aveva opposto dei formali rifiuti, non ostante le preghiere di suo padre, il quale temeva l'ira del possente suo vicino. Il re dei payli, ritenendosi offeso da quel rifiuto, aveva giurato di vendicarsi terribilmente del suo vicino ed infatti un giorno, mentre la principessa stava per impalmare il giovane re d'Imbiki, che abitava in un'altra vallata, gli antropofaghi avevano invaso il regno di Korosko facendo prigioniera la principessa ed alcuni dei più importanti capi.
Quello che aveva avuto la peggio era stato il povero principe d'Imbiki, poiché essendo caduto nelle mani del suo rivale era stato senz'altro decapitato e la sua testa, piantata sulla cima d'una picca, era stata portata in trionfo nei villaggi dei payli.
I guerrieri del morto principe e di Korosko, desolati per l'avvenuta invasione che aveva rovinate le loro campagne e per la prigionia della principessa e dei capi più valorosi, si erano radunati in un vasto campo per vendicare l'atroce offesa. Disgraziatamente in sul più bello si erano accorti che mancavano dei capi e d'un generalissimo.
Il re d'Imbiki era morto e non aveva potuto nominare per tempo il suo successore, ed il generalissimo di Korosko era stato fatto prigioniero dagli antropofaghi. È bensì vero che avrebbe potuto assumere la direzione dell'esercito il re Korosko, ma questi non osava abbandonare i suoi stati per tema di qualche rivoluzione o di qualche invasione d'altri nemici.
Furono interrogati i maghi della tribù perché indicassero l'uomo più adatto a comandare l'esercito, ma non andavano d'accordo, essendo di pareri contrari. Chi voleva un capo e chi ne voleva un altro.
Finalmente il più vecchio ed il più venerabile, per tagliar corto, ebbe una felice ispirazione.
Chiamò attorno a sé tutti i capi ed i più famosi guerrieri e dopo d'aver offerto frutta e carni alle divinità del cielo, si mise a gridare:
— Popolo dei chikani e degli imbikini!... Il grande feticcio che noi adoriamo mi dice che il primo uomo che verrà dall'Ovest sarà il vostro generale e vi condurrà alla vittoria!...
Chi poteva venire dall'Ovest, ossia dalla parte del mare?... Non avevano fino allora veduto giungere alcuna creatura umana da quella parte. Pure se il venerando stregone così parlava, qualcuno doveva indubbiamente giungere, poiché uno stregone non poteva inventare delle parole. Così almeno la pensavano i negri accampati nella vallata.
Il mago non doveva adunque ingannarsi. Qualcuno, presto o tardi, doveva giungere da quella parte.
Indovinate adunque quale fu la loro sorpresa, quando poco dopo le parole del mago videro scendere la collina un gigantesco elefante montato da un uomo e da una scimmia!...
Dobbiamo però dire che l'astuto mago, poco prima, essendo salito su di un'alta capanna per fare delle invocazioni, aveva già scorto, entro una valle, l'elefante, l'uomo ed anche la scimmia. Ora essendo una cosa assolutamente straordinaria il vedere uno di quei grossi animali montato da una creatura umana, il bravo stregone aveva creduto di vedere, in quel fatto prodigioso, l'opera del grande feticcio protettore delle tribù.
Intanto l'elefante, guidato dal nostro bretone, scendeva tranquillamente nella vallata, avviandosi verso l'accampamento occupato dalle due tribù. Finfin aveva scorto quell'assembramento di negri, ma invece di evitarli, aveva lasciato che l'elefante continuasse ad avanzarsi, certo di provare qualche emozionante avventura. D'altronde trovava naturale che in Africa si trovassero dei negri.
— Dopo tutto — pensava — non oseranno assalire un animale così grosso e poi ci sono io col mio fucile, ed anche Pompeo, in caso di pericolo, farà lavorare il suo randello.
L'elefante, vedendo tutti quei negri, si era arrestato non sapendo se continuare o tornare indietro.
Finfin fece cenno alla scimmia di scendere e di guidare il colosso. Pompeo, che comprendeva ormai il suo padrone, prese il suo randello e si mise in cammino, seguito subito dal colosso.
I nostri tre eroi fecero così la loro entrata nell'accampamento.
Il vecchio stregone, vedendoli appressarsi, aveva creduto bene di gridare con voce trionfante:
— Vedete se io ho mentito? Popoli dei chikani, il grande feticcio ci manda il generale che deve guidarvi alla vittoria.
I due eserciti, ormai convinti dell'infallibilità del mago, si erano prosternati dinanzi all'elefante, abbassando le armi.
Giovanni Finfin, stupito per quell'atto rassicurante, non si era mosso dal suo posto. Egli guardava tutti quei guerrieri che tenevano la fronte nella polvere.
— Poh!... — esclamò finalmente. — Che mi credano qualche divinità? L'avventura sarebbe assai curiosa!...
Il re Korosko, dopo d'aver reso omaggio all'uomo bianco, alla scimmia ed all'elefante, si era alzato e dopo una lunga esitazione si era avanzato verso quel gruppo, indirizzando a Finfin un lungo discorso, assolutamente incomprensibile però.
L'elefante lo lasciò finire, poi allungò la sua proboscide e credendo probabilmente di fare un piacere al padrone, lo prese dolcemente attraverso il corpo e se lo collocò sul dorso a fianco di Finfin.
I negri, vedendo il loro re fare quella volata, s'erano alzati, credendo che l'elefante volesse stritolarlo, ma quando lo videro a fianco dell'uomo bianco si rassicurarono, anzi ammirarono l'ingegnosa trovata del gigante ritenendola di buon augurio per la vittoria promessa dallo stregone.
Finfin con dei gesti s'ingegnò di salutare il monarca, facendogli comprendere che nulla aveva da temere dall'elefante, poi in buon francese gli chiese ospitalità.
Indovinate quale fu il suo stupore nell'udire il selvaggio monarca rispondergli, in un francese però appena comprensibile, che sarebbe stato onoratissimo di averlo ospite!
La cosa poteva sembrare assolutamente straordinaria, inverosimile, ma non era tale. Il re, prima di diventare capo dei chikani, era stato ministro d'un re della costa ed in quella sua qualità aveva avuto agio di frequentare dei capitani marittimi francesi che andavano a trafficare in quelle regioni. Che sapesse completamente il francese vi era da dubitare; tuttavia, bene o male, sapeva farsi comprendere.
Avendo compreso il desiderio manifestato dall'uomo bianco, indicò una capanna che si alzava in mezzo all'accampamento, dicendo:
— È il mio palazzo!...
L'elefante, obbediente al padrone, attraversò i ranghi dei guerrieri e andò a fermarsi dinanzi alla dimora del monarca.
Quel palazzo non era altro che una misera capanna costruita coi rami d'alberi e con un doppio tetto di paglia e di fango e circondata da un recinto guardato da dieci negri armati di lance e di archi. La dimora reale valeva ben poca cosa anche nell'interno. Non era altro che uno stanzone, diviso in parecchi scompartimenti da tramezzate di foglie secche e di rami e dove si vedevano numerose zucche di vino di palma, qualche sgabello assolutamente primitivo e pochi vecchi fucili e poche sciabole, armi di ben poco valore e che Korosko doveva aver acquistato da qualche carovana proveniente dalla costa.
Essendo l'entrata della capanna troppo bassa per lasciar passare l'elefante, l'animale fu costretto ad arrestarsi.
Finfin, il re e Pompeo scesero a terra ed entrarono nella stanza del trono, così chiamata perché sopra una specie di palco si vedeva un vecchio sgabello. Gli ufficiali della casa entrarono dopo, schierandosi ai lati del trono, ma il capo dei sacerdoti andò a sedersi alla destra del monarca. Korosko, aiutandosi meglio che poteva, spiegò al giovane bretone di che cosa si trattava e della decisione ormai presa di nominarlo comandante dei due eserciti, perché li vendicasse dell'affronto patito.
— Tu guiderai alla vittoria le mie truppe, è vero? — concluse il monarca. — Tu sei l'inviato dei nostri feticci e colla loro possente protezione sgominerai i nemici.
— Lo spero — rispose Finfin, a cui non spiaceva quella singolare avventura. — Diventerò generale dei chikani e degli imbikini e farò pagar caro al re antropofago il suo tradimento.
— E libererai la principessa Juba.
— La libereremo — disse il bretone.
— Condurrai anche la tua scimmia?...
— Certamente.
— Ed anche l'elefante? — chiese Korosko. — Una bestia così grossa spaventerà l'esercito degli antropofaghi.
— Lo metterò in prima fila.
— Allora tu sei il nostro generale.
— Accetto di buon grado la carica che mi offrite — rispose serio Finfin. — Quando noi saremo sulle terre del nemico, voi mi vedrete compiere dei prodigi, giacché, come avete ben detto, sono protetto dai feticci.
— Quando ti metterai in campagna?
— Appena avrò riorganizzato il vostro esercito.
— Ho fretta di riavere mia figlia.
— La rivedrete presto, ve lo prometto.
La seduta fu tosto levata. Tutti i capi e gli ufficiali del re, vivamente soddisfatti delle risposte date dal bretone, pareva che fossero impazziti per la splendida riuscita di quelle trattative.
Il nuovo generale, acclamato da tutti i guerrieri accorsi da ogni parte dell'accampamento, fu condotto con grande pompa nella migliore capanna. Non occorre dire che Pompeo e l'elefante facevano parte del corteo, destando l'ammirazione fra tutti quei negri che mai avevano veduto un così grosso animale addomesticato ed un pongo, diventare il servo fedele d'un uomo.
Finfin prese subito possesso della sua dimora, però fece costruire a breve distanza una vasta tettoia per l'elefante, non volendo separarsi dai due amici. Korosko si affrettò tosto a mandare al suo generalissimo una gran copia di provviste d'ogni specie ed una mezza dozzina di schiavi onde lo servissero. Dobbiamo anche aggiungere che destinò al nostro eroe un drappello di guerrieri per montare la guardia dinanzi alla capanna del capo dei due eserciti. Finfin ne avrebbe fatto a meno, ma dovette rassegnarsi.
Probabilmente il furbo negro voleva assicurarsi del suo ospite ed impedirgli di andarsene prima che fosse giunto il momento di entrare in campagna contro gli antropofaghi, però aveva torto, poiché il bravo bretone non aveva nessuna intenzione di prendersi giuoco dei chikani, anzi tutt'altro.
Infatti l'indomani il nostro eroe si metteva alacremente all'opera per disciplinare un po' quelle bande che doveva condurre alla vittoria. Veramente non aveva molta pratica di cose di guerra, però non ignorava che un esercito disciplinato è molto più in grado di resistere ad un attacco d'un altro indisciplinato.
In pochi giorni, quel diavolo di giovanotto, riuscì a mettere in ordine i due eserciti, dividendoli bene o male in compagnie e scegliendo i suoi capi fra le persone più intelligenti e più valorose. Già si preparava a mettersi in campagna, quando Korosko volle offrire al suo generalissimo lo spettacolo d'una caccia all'ippopotamo.
— Se ne uccideremo parecchi, serberemo la carne pei tuoi soldati — aveva detto il re. — Giacché mi hanno detto che ne sono comparsi molti sul fiume, faremo un bel massacro.
— Ecco un uomo che sa unire l'utile al dilettevole — pensò Finfin. — Comincio a credere che questo negro sia meno sciocco di quello che credevo. Andiamo adunque alla caccia degli ippopotami!...