Avventure fra le pelli-rosse/6. Prime fucilate

6. Prime fucilate

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5. Smarriti 7. Un dramma sanguinoso

6.

Prime fucilate


Randolfo non era affatto inclinato a credere alla natura straordinaria di quel misterioso e terribile scorridore delle foreste, però si chiedeva come mai quell’uomo avesse potuto abbattere quel colossale indiano senza che si fosse udita alcuna fucilata.

Osservando attentamente il cadavere, s’accorse che Scibellok non aveva fatto alcun uso di armi da fuoco. Aveva percosso il suo avversario alla nuca con un tremendo colpo d’ascia, poi lo aveva contrassegnato con due colpi di coltello al petto, formanti una croce.

La cosa era davvero straordinaria, quando si pensi che gl’indiani quasi mai si lasciano sorprendere alle spalle, essendo abituati a sentire l’avanzarsi del nemico anche molto da lontano.

Bisognava convenire che quel terribile e misterioso scorridore era assolutamente un uomo straordinario per riuscire in così difficili imprese.

Mentre Randolfo cercava di dilucidare quell’enigma, una esclamazione di Telie gli fece alzare il capo.

In lontananza, una forma ancora indecisa, essendo la luna prossima al tramonto, s’avanzava attraverso gli alberi.

Era un cavallo montato da un uomo, il quale teneva la testa bassa come se cercasse di seguire qualche cosa che gli fuggiva dinanzi.

Guardando meglio, si vedeva saltellare dinanzi al cavallo una piccola forma biancastra, la quale ora spariva sotto i cespugli e le erbe ed ora balzava lestamente fuori.

Randolfo sorpreso, stette un momento a guardare quel misterioso cavaliere che osava inoltrarsi solo nella tenebrosa foresta infestata dalle sanguinarie pelli-rosse, poi balzò a cavallo, gridando:

— Olà! Chi siete voi? Se siete Scibellok sappiate che noi siamo cristiani e decisi a difenderci!

Udendo quelle parole minacciose, il cavaliere alzò il capo, si guardò intorno, poi, senza affrettarsi, guidò il cavallo verso il piccolo drappello.

A misura che s’accostava, le sue forme diventavano più distinte. Non ci volle molto a Randolfo ed ai suoi compagni a riconoscerlo e non poterono trattenere un grido di sorpresa.

— Morton il quacchero!

Era veramente il tranquillo e inoffensivo scorridore del forte, preceduto dal suo intelligente cagnolino bianco il quale gli segnava la strada.

Vedendolo, il giovane e anche le due ragazze non poterono fare a meno di ridere. Credevano di aver dinanzi il terribile Scibellok ed invece trovavano l’uomo più inoffensivo della terra.

— Giovani, — disse Morton, — voi ridete allegramente, mi pare. Ciò mi stupisce, tanto più che voi non siete in piena sicurezza. Siete di buon umore mentre dei gravi pericoli vi minacciano da tutte le parti.

— Ne abbiamo ben ragione — rispose Randolfo. — Vi avevamo scambiato per Scibellok, mentre troviamo il pacifico Morton. In quanto ai pericoli che voi ci segnalate, non siamo uomini da spaventarci, tanto più che ho arricchita la mia compagnia d’un bravo scorridore, il signor John Forting.

— Non prendete le mie parole per esagerate — disse Morton, scuotendo la testa. — Vi dico che vi sono degli indiani qui.

— Sapremo evitarli.

— V’ingannate, giovanotto. Se continuate a marciare in questa direzione vi troverete in mezzo ad un’orda di indiani. Non sapete che a dieci minuti da qui si trova il guado superiore? E non sapete che è là che si trovano le bande dei comanci?

— Mio Dio! — esclamò Randolfo. — Noi andavamo incontro al pericolo invece di evitarlo!... Morton, guidateci subito sulla buona via che conduce al guado inferiore od in qualche luogo dove queste due giovani possano essere in sicurezza. Voi solo siete capace di guidarci bene.

— Io vorrei ben fare qualche cosa per voi se...

— Cosa volete dire? — chiese Randolfo inquieto. — Forse che vi rifiutate di guidarci?

— Amici, — disse il vecchio quacchero, — voi sapete che io sono un uomo amante della pace. Se gl’indiani ci attaccano potrei io esservi di aiuto? Non ho mai ucciso nessuno e nemmeno ora lo farei; la mia compagnia quindi non vi potrebbe essere di alcuna utilità.

— Miserabile! — esclamò Randolfo con impeto. — E tu saresti tanto codardo da lasciare queste due giovani senza difesa? Se non sapessi chi tu sei ti caccerei una palla nel cranio.

— V’ingannate sulle mie vere intenzioni — rispose Morton con calma. — Io non voglio niente affatto abbandonarvi né mi rifiuto di servirvi di guida. Volevo solamente avvertirvi che se verremo assaliti io non prenderò parte alla lotta. I quaccheri hanno in orrore il sangue e rifuggono dalla guerra. Ecco tutto.

— Non inquietarti per questo, Morton — disse Randolfo con voce raddolcita. — Penseremo noi a difenderci. Guidaci e non occuparti d’altro.

Morton si curvò verso il suo cagnolino e gli chiese:

— Piccolo Pietro, cosa pensi di tutto ciò?

— Morton, non perdiamo il nostro tempo in sciocchezze — disse Randolfo, con impazienza. — Gl’indiani ci sono forse alle spalle.

— Pensate che la nostra salvezza sta nel nostro cane, poiché lui solo può farci evitare gl’indiani. Ora lo vedrete all’opera.

Il cane, interpellato dal padrone, si mise a saltellare dinanzi ai cavalli, poi mandò alcuni sordi latrati.

— Cinque — contò Morton. — Per di qua sono passate cinque pelli-rosse.

Tutti lo guardarono con stupore.

— È incredibile — disse Randolfo.

— Ve lo avevo detto che lui solo può salvarci. Avanti, mio Piccolo Pietro, conduci noi sulla buona via.

— Ci avvertirà anche delle sorprese?

— Certo, giovanotto. Finché vi è il mio cane nessun indiano si avvicinerà a noi senza che Pietro ci avverta. Andiamo, non perdiamo tempo.

Il drappello un momento dopo si metteva in marcia preceduto dal Piccolo Pietro. Quell’intelligente animale era davvero meraviglioso. Correva con sicurezza attraverso l’intricata foresta, senza mai esitare, fiutando le erbe, i cespugli, i tronchi degli alberi.

Di tratto in tratto tornava indietro, guardava il suo padrone, agitava la coda, mandava un sordo latrato che voleva essere qualche segnale che solo il suo padrone poteva comprendere, poi si rimetteva in cammino.

Morton aveva consigliato Randolfo ed i suoi compagni di tenersi ad una certa distanza da lui, onde lasciare al cane maggiore libertà.

Aveva però avvertito che se lo vedevano alzare un braccio, dovevano subito arrestarsi, che se lo vedevano scendere da cavallo dovevano imitare subito quella manovra, essendo il segnale d’un gravissimo pericolo.

Si erano avanzati di qualche miglio, quando il terreno cominciò a montare, tramutandosi in un’altura. Morton, che seguiva da presso il cagnolino, la superò felicemente. Quando però fu sulla cima, lo si vide arrestarsi, quindi alzare un braccio.

Era un segnale di pericolo, quindi tutto il drappello si fermò.

Il quacchero stette un momento immobile, poi lo si vide scendere lestamente dal cavallo e lasciarsi cadere al suolo. Un grave pericolo stava dinanzi a loro. Era prudente imitare la manovra del vecchio quacchero.

Randolfo comandò a tutti di scendere da cavallo e di tenersi imboscati, poi preso il fucile si allontanò arrampicandosi su per la collina.

Voleva sapere cosa aveva veduto Morton per dare quel segnale.

Giunto lassù vide dinanzi a sé uno spazio scoperto e più sotto vide estendersi dei grossi gruppi di alberi del cotone. Guardando più attentamente gli parve di scorgere all’orizzonte delle forme indecise.

Si gettò prontamente al suolo e strisciando ed arrampicandosi come un gatto selvaggio, raggiunse il quacchero.

— Vi sono degl’indiani là, è vero? — gli chiese.

— È vero — rispose Morton. — Sono dei comanci e così numerosi che se ci assalgono verremo scalpati tutti.

— Tu lo credi. E quanti saranno?

— Ora non sono che cinque. Altri ve ne saranno dietro di loro.

— E tu credi che noi non possiamo resistere al loro assalto? — disse Randolfo in collera. — Ci prendi per dei conigli?

— Non dico questo. Se foste tutti uomini li vincereste forse. Pensate però che avete due donne.

— Ebbene, — disse Randolfo, pieno d’ardore, — noi raddoppieremo il nostro coraggio. D’altronde non credere che le due ragazze siano delle volgari femminucce. Al momento opportuno lotteranno con coraggio virile, te lo dico io.

— Le vedremo alla prova.

— E poi noi siamo in tre e tutti decisi — aggiunse Randolfo. — Anche il mio vecchio negro è un valoroso che ha combattuto più volte contro le pelli-rosse.

— Quattro — corresse il quacchero.

— Tu non vuoi batterti.

— È vero, tuttavia non mi lascerò scalpare come un agnello.

— Poco puoi giovarci.

— Lo vedremo — rispose Morton sempre calmo.

— Cosa faresti tu se avessi delle donne e dei fanciulli da difendere?

— Io non ho né gli uni né gli altri. Ah, vedo gl’indiani avvicinarsi. Essi devono aver scoperto le nostre tracce. Credo che sia il momento d’andarsene.

— Morton! Vuoi abbandonarci nel momento del pericolo?

— Andiamo a nasconderci in mezzo agli alberi. Se gl’indiani si avvicinano, con una buona scarica potrete forse respingerli.

— Ecco un buon consiglio che accetto — disse Randolfo.

— Consiglio! — esclamò il quacchero con un risolino. — Io vi dico quello che farebbe uno scorridore di prateria al vostro posto e nulla di più. Sbrigatevi, e badate che avrete da fare con cinque garzoni gagliardi e risoluti.

«Scendete la collina e dite ai vostri compagni che appena mi vedranno fare il segnale, si slancino risolutamente avanti, non prima però. Io rimango qui in esplorazione.»

Randolfo riconobbe la giustezza del consiglio datogli dal vecchio scorridore e invece di slanciarsi verso i cinque indiani, come avrebbe voluto, ridiscese la collina, raggiungendo prestamente i suoi compagni.

Quando giunse presso di loro, trovò Forting ed il vecchio negro assai inquieti ed un po’ anche spaventati, non sapendo ancora con quanti nemici avevano da fare.

Li rassicurò dei loro timori, poi volgendosi verso Mary, le disse:

— Se tutto va bene, inganneremo gl’indiani. Abbi un po’ di pazienza ancora. La nostra sorte sta appesa ad un filo. Tenetevi tutti pronti a far uso delle armi.

Si nascosero dietro ai grossi tronchi degli alberi ed attesero, con trepidanza, il segnale del quacchero.

Passarono alcuni minuti senza che nulla accadesse. Randolfo che non poteva frenare le sue impazienze, si arrampicò per la seconda volta sulla collina e raggiunse Morton.

— Si vedono? — gli chiese.

Dopo un breve silenzio, Morton rispose:

— Avete udito questo grido che è partito in mezzo a quelle piante che vedete là abbasso?

— Sì — rispose Randolfo. — È un segnale?

— Ho i miei dubbi. Mi è parso un grido di rabbia.

— Che abbiano scoperto il cadavere di qualche loro camerata? Ho trovato poco fa un indiano mutilato da Scibellok.

— Tanto meglio — rispose Morton. — Venite.

Scesero rapidamente la collina, salirono a cavallo e si misero alla testa del drappello.

Il quacchero, dopo qualche breve esitazione, condusse i suoi amici attraverso ad un dedalo di burroncelli ingombri di cespugli molto fitti, quindi s’internò nuovamente nella foresta.

Randolfo, quantunque avesse piena confidenza in Morton, non era molto tranquillo. Temeva ad ogni passo di veder improvvisamente apparire gl’indiani.

Avevano percorso duecento passi, quando scorsero alcuni cavalieri apparire in mezzo alle piante.

Randolfo si era arrestato gridando:

— Preparate le armi.

Un istante dopo quei cavalieri si slanciavano addosso al drappello mandando urla feroci.

— Fuoco! — gridò Randolfo.

Tre colpi di fucile partirono. Due di quei cavalieri furono veduti cadere in mezzo ai cespugli e gli altri far volteggiare rapidamente i cavalli e scomparire sotto gli alberi.

— Presto, venite! — gridò Morton, il quale non aveva toccato il fucile.

Le due ragazze, Randolfo, il negro e Forting si slanciarono dietro di lui e poco dopo giungevano in un profondo burrone, coperto di fitte piante.

Percorsolo al galoppo, videro inopinatamente diradarsi le piante ed apparire un vivo chiarore. Gli ultimi raggi della luna tramontante illuminavano liberamente una sponda, la quale scendeva rapida oltre il burrone.

In fondo si udiva l’acqua a mormorare dolcemente.