Avventure fra le pelli-rosse/22. La figlia di Cuor Duro

22. La figlia di Cuor Duro

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22.

La figlia di Cuor Duro


Morton e Ralph conoscevano benissimo la via che conduceva al villaggio, essendo stati entrambi, alcuni anni prima, prigionieri dell’Avvoltoio Nero.

Scesa la collina, costeggiarono un torrente che tagliava un burrone molto profondo e cosparso di cespugli vastissimi e raggiunsero la depressione del suolo ove si trovavano le capanne indiane.

Non rimaneva che da attraversare un po’ di spazio scoperto per giungere alle palizzate; nessuno osava tentare quella corsa, sapendo che al di là si trovavano delle sentinelle.

— Aspettiamo che i fuochi si spengano — disse Morton a Ralph. — Vorrei entrare nel villaggio senza che alcuno se ne avveda.

— Vi avverto, Morton, che una volta entrati, non usciremo così facilmente. I villaggi indiani sono vere trappole.

— Tu conosci questo accampamento?

— Ho rubato due cavalli sei mesi fa.

— Allora puoi guidarmi.

— Anzi, ora che ci penso, vi condurrò ad un rifugio dove potremo rimanere nascosti a nostro bell’agio.

— Dove si trova?

— Al di là del fiume.

— Andiamoci, Ralph.

Lasciarono i loro cavalli in mezzo ad una folta macchia, poi costeggiarono l’orlo del bosco finché giunsero sulle rive del fiumicello che scorreva dinanzi al villaggio.

La loro marcia era stata così rapida e così silenziosa, che nessuna sentinella si era accorta della presenza di quei due uomini. Solamente qualche cane aveva abbaiato a più riprese.

— Entriamo nel fiume — disse Morton.

— L’acqua è bassa e non faremo fatica a guadagnare la riva opposta — rispose Ralph.

Seguì per qualche po’ il pendìo, guardando verso l’altra riva, poi entrò nel fiume.

La corrente era poco rapida e l’acqua così scarsa da permettere il passaggio anche ad un ragazzo.

Attraversatala, i due audaci scorridori presero terra presso una vecchia capanna mezza rovinata, composta di pelli e di rami frondosi.

Accertatisi che era disabitata, vi entrarono senza essere stati veduti da nessuno.

— Ora agiremo — disse Morton. — Ti avverto che questo non è il momento di fare pazzie. Se tu ti comporti bene, noi forse riusciremo a scoprire il luogo ove è stata nascosta la sorella di Randolfo; se invece agisci come uno sciocco, secondo la tua abitudine, tutto sarà perduto e noi pagheremo carissima la nostra audacia.

— Morton, — disse Ralph con voce grave, — io non agirò per mio conto, seguirò i vostri consigli e farò tutto quello che voi mi direte.

— Allora tu rimarrai qui mentre io mi caccerò fra le tende, per cercare di scoprire quella dove si trovano le due ragazze.

— No, Morton. Voi non conoscete il villaggio come lo conosco io e potreste andare nella tenda dell’Avvoltoio invece che in quella di miss Mary.

— Non t’inquietare per questo. Né io né tu possiamo sapere da chi sono abitate tutte queste tende, quindi io posso fare quello che faresti tu. Rimani qui e aspettami.

— Ed il cavallo?

— Penseremo più tardi a procurarci quello.

— Farò quello che mi ordinate — disse Ralph, con rassegnazione. — Io rimarrò nascosto in questa capanna, in attesa del vostro ritorno.

— Me lo prometti?

— Avete la mia parola.

— Addio, Alligatore.

Ciò detto, Morton, accomodatesi le lunghe penne della fronte e armatosi di un nodoso randello trovato nella capanna, uscì e s’arrampicò sul bastione di terra, per entrare inosservato nel villaggio. Aveva però fatto i conti senza pensare ai cani. Tutti i villaggi indiani posseggono un gran numero di quei fedeli guardiani e nessun straniero può avvicinarsi alle tende senza scatenare un coro di latrati.

Morton non si sgomentò per questo. Rialzatosi subito, prese un aspetto fierissimo e camminò diritto dinanzi a sé, drappeggiandosi nella grande coperta di lana colorata.

Non aveva fatti quindici passi, che si vide assalito da un vero nuvolo di cani.

Con quattro colpi di randello, sapientemente somministrati, mise in rotta quei guardiani pericolosi, i quali lo avevano preso certamente per un guerriero della tribù.

Vistosi sbarazzata la via, Morton continuò avanzarsi cacciandosi fra le tende.

Stava in guardia e quando vedeva qualche guerriero sdraiato presso l’entrata di qualche abitazione o qualche guardiano si eclissava rapidamente nascondendosi dietro a qualche gruppo di cavalli o qualche steccato.

Tutte quelle precauzioni erano nondimeno inutili o quasi.

Superata la palizzata ed il bastione, Morton non aveva più da temere, essendo camuffato da indiano. Anche se incontrato da qualcuno, poteva venire scambiato per qualche guerriero in ritardo od in cerca di qualche amico o parente.

Procedendo lestamente, Morton poté così giungere fino al centro del villaggio, dove si alzava una capanna vastissima, costruita con tronchi d’albero e sormontata da un cono di pelli di bisonte. Doveva essere la dimora del capo della tribù od il luogo ove venivano custoditi i prigionieri di guerra.

Morton si guardò intorno e vedendo che non vi era alcuna sentinella, s’avvicinò silenziosamente a quell’abitazione e sollevò una tenda, guardando dentro.

Alla luce d’un ramo resinoso, scorse in un riparto della grande capanna una indiana coricata su di una pelle di bisonte, attorniata da una mezza dozzina di fanciulli pure addormentati.

Morton lasciò ricadere la tenda e ne alzò una seconda che si trovava a breve distanza.

Nell’interno di quel nuovo riparto ardeva un fuoco il quale mandava in alto nubi di fumo denso.

Due giovani guerrieri dormivano l’uno accanto all’altro, tenendo a portata delle mani le loro scuri ed i loro fucili.

Intorno vi erano alcuni utensili da caccia, delle pelli di lupo stese a seccare, dei vasi d’argilla contenenti delle provviste e dei vestiti.

Morton, assai contrariato, passò a visitare un terzo riparto.

Anche colà ardeva un fuoco nel centro della stanza.

Era meglio ammobigliato degli altri. Vi si vedevano bellissime pelli d’orso, di cervo e di bisonte, dei forzieri, una tavola, delle sedie, dei barili, diversi fucili, scuri e coltelli, ed i muri erano tappezzati di tende d’origine messicana.

Accanto al fuoco, sdraiato su di un soffice tappeto, vi era un uomo di statura elevata, con una lunga barba bianca ed i lineamenti così regolari da stentare molto a crederlo una pelle-rossa.

Indossava una camicia di cotone rigata, con ricami azzurri, calzoni di grosso panno ed aveva alti stivali di cuoio.

Presso di lui si trovava, su di una pelle d’orso nero, una giovanetta bellissima, una bianca.

Bastò un solo sguardo a Morton per riconoscerla.

— Telie — mormorò, trattenendo con molto stento un moto di sorpresa e di gioia.

La fanciulla non era addormentata. Guardava suo padre con corruccio, il quale era occupato a fumare una sigaretta.

Morton non poteva essere veduto, voltandogli il padre e la figlia le spalle. Per timore di venire però sorpreso, scivolò lentamente nella stanza, nascondendosi dietro ad un ammasso di pelli e di barili.

— Padre — disse ad un tratto la ragazza. — Ascoltatemi.

Abel Doc finse di non averla nemmeno intesa. Continuava a fumare, guardando la fiamma che crepitava sul focolare.

— Non mi udite, padre? — chiese Telie con voce irritata.

— Finiscila — rispose egli con stizza.

— Abel Doc, Cuor Duro o Serpente a Sonagli, come vi piace farvi chiamare dai bricconi che comandate, ascoltatemi. Sono vostra figlia, posso quindi parlarvi.

— Ebbene, cosa vuoi? — chiese il vecchio, con accento annoiato. — Tu mi vuoi chiedere ancora la grazia di quel giovanotto che io ho affidato al vecchio Pankiskaw. Non ti basta che io abbia impedito che lo scalpassero sul campo di battaglia? Io mi sono comportato da buon cristiano.

— Per metterlo a morte più tardi; è così, padre?

In quel momento un uomo che Morton non aveva osservato prima, si alzò da un angolo e venne a sedersi presso Doc, dicendo:

— Ragazza! Quando si perde una battaglia si deve pagare.

Quell’uomo era molto più alto del padre di Telie, più vigoroso anche, e sarebbe stato un bell’uomo se non avesse avuto il viso sfregiato.

Vestiva come il compagno, però in testa portava una specie di turbante di cotone rosso.

La giovane udendolo così parlare, si era alzata guardando quel nuovo venuto con ira mal celata.

— Voi avete dimenticato che chi ha provocata quella lotta non è stato Randolfo. Siete stati voi a piombargli addosso in venti contro uno. La colpa era dunque tutta vostra.

— Basta, pazza fanciulla! — gridò l’uomo dal turbante. — Non occupatevi dei prigionieri; sono cose che non vi riguardano affatto.

— Sono miei amici.

— Che importa a noi?

— Mi hanno protetta durante il viaggio.

— Non ci riguarda.

— Voi dimenticate che siete bianchi come i vostri prigionieri.

— Uh! Che storie! Se una volta eravamo bianchi, ora siamo diventati nemici dei bianchi e siamo amici degli uomini rossi.

— Finiscila! — gridò Doc volgendosi minacciosamente verso la fanciulla. — Vattene a dormire che è già molto tardi. Io e Riccardo abbiamo molto da parlare e tu non devi sapere quello che dobbiamo dire. Orsù, obbediscimi.

La ragazza, temendo forse di incollerire maggiormente il vecchio, s’alzò lentamente e scomparve dietro una tenda.

Quando i due amici rimasero soli, sturarono una bottiglia di acquavite e ne bevettero più di mezza.

Dopo qualche po’, l’uomo che aveva il turbante rosso, riprese:

— Bisogna finirla, Cuor Duro. Io ho fretta che il mio affare sia sbrigato.

— Cosa vorreste fare?

— Togliere la vita alla ragazza ed a suo fratello.

— Correte molto.

— Non vi ho pagati io?

— Questo è vero, non però proporzionatamente. Sappiate che questa impresa ha costato la vita a dodici dei nostri più valorosi guerrieri.

— A sei soli.

— E quelli uccisi da Scibellok, lo spirito dei boschi? — disse Cuor Duro.

— Chi vi dice che siano stati uccisi da quei terribile uomo? Io poi non credo affatto all’esistenza di quello spirito.

— Lo mettete in dubbio? Avete torto, amico. Ho veduto io due guerrieri portanti le tracce di Scibellok, la testa spaccata e due colpi di coltello in mezzo al petto, in forma di croce. Io sono certissimo che quei due giovani sono protetti da quell’uomo misterioso e temo che, se li uccideremo, la sua ira contro di noi raddoppierà.

— Io vi dico invece che quegl’indiani erano stati uccisi dall’uomo che fuggì dalla capanna dei coloni assassinati, la notte che noi l’assediavamo.

— V’ingannate, Riccardo.

— E cosa vorreste fare?

— Risparmiare quei due giovani, tenendoli prigionieri con noi. Mi pare che ciò basterebbe.

— No, Cuor Duro. Sono due testimoni troppo pericolosi ed io non potrei, finché sono vivi, impossessarmi dell’eredità lasciata dal loro zio. Posso accordarvi la grazia di uno solo dei due.

— Di quale?

— Della ragazza.

— Non volete più sopprimerla? — chiese Cuor Duro con stupore.

— Mi accontenterò della morte di suo fratello.

— Non vi capisco.

— Io sposo Mary e divento così padrone assoluto della sostanza ingente di suo zio.

— Vi accetterà?

— Useremo la forza.

— Avete dimenticato una cosa, amico — disse il padre di Telie.

— Quale?

— Voi mi avete detto che lo zio di Randolfo aveva lasciata la intera sua fortuna a suo figlio adottivo.

— È vero.

— Dunque voi rimarreste ancora semplicemente il tutore di quel ragazzo, né potreste adoperare la sostanza, senza che vi abbiate procurata prima la prova della sua morte.

— Voi dimenticate che vi è un altro testamento, quello fatto più tardi dallo zio di Randolfo. Con esso dichiarava nullo il primo e istituiva suoi eredi i due nipoti.

— È vero.

— Sposata Mary, mostrerò il secondo testamento e mia moglie diverrà subito l’ereditiera di quelle ingenti ricchezze.

— L’avete voi?

L’uomo del turbante rosso si frugò nelle tasche ed estrasse un pacchetto di carte.

— Qui dentro vi è il testamento che nomina eredi Mary e Randolfo. Esso è legalissimo e porta la firma del loro defunto zio.

— Siete astuto, Riccardo.

— Agirò prontamente prima che qui giunga Randolfo. Il vecchio Pankiskaw non deve essere molto lontano.

— Cosa volete fare?

— Recarmi subito da Mary e fingermi suo salvatore.

— Vi crederà?

— Non rifiuterà la libertà che io le propongo ad una condizione così mite.

— La condizione di sposarvi?

— Sì, Cuor Duro. Dove si trova la fanciulla?

— Nella capanna della moglie di Wenouga — rispose il padre di Telie. — Prima però di permettervi d’andarla a liberare voglio sapere quale sarà la ricompensa che mi aspetta in tutto questo affare.

— Ve lo dirò domani.

— No, amico. Gli affari si devono trattare subito qui.

— Non vi fidate di me?

— Di nessuno.

— Ascoltatemi.

Morton che non si era mosso dal suo nascondiglio, vide l’uomo dal turbante rosso curvarsi verso Cuor Duro e lo udì a sussurrargli qualche cosa all’orecchio, senza nulla comprendere.

Ne sapeva ormai fin troppo il bravo scorridore. Conoscendo già dove si trovava la sorella del suo amico, scivolò silenziosamente fuori dalla tenda, uscendo sulla piazza del villaggio.

— Bricconi! — mormorò, quando fu all’aperto. — L’uomo dal turbante rosso è quel ladrone di Braxley. Ah! Tu vuoi spogliare i due giovani della grossa sostanza e commettendo per di più un delitto! Vedremo se vi riuscirai, canaglia!

Non avea tempo da perdere, volendo precedere Braxley, ed ora si trovava tuttavia molto imbarazzato non sapendo dove poteva trovare la capanna di Wenouga.

Come distinguerla dalle altre? La questione era assai imbarazzante.

— Proviamo — disse.

Si internò in una via fiancheggiata da capanne e da tende, procedendo a casaccio, essendo l’oscurità profondissima.

Il cielo si era coperto di grandi nuvole, non permettendo alla luna né alle stelle di illuminare il villaggio.

Continuando ad avanzarsi con precauzione, il quacchero giunse finalmente su di un piazzale, dove si rizzavano parecchie capanne e delle tende coniche altissime.

In un canto, attorno ad un fuoco semispento, vide dieci o dodici indiani avvolti nelle loro grosse coperte. Dormivano tutti, quindi non dovevano essere sentinelle messe a guardia del villaggio.

Dovevano essere dei guerrieri appartenenti a qualche villaggio vicino, che avevano chiesto ospitalità. Questa fu la supposizione del quacchero.

Temendo che qualcuno si svegliasse e lo interrogasse, Morton ritornò prontamente indietro, inoltrandosi in una via laterale che era pure fiancheggiata da capanne e da tende.

Vedendone una illuminata si avvicinò colla speranza di scoprire qualche cosa che potesse metterlo sulla buona via.

Alzò la tenda e guardò nell’interno della capanna.

In mezzo ardeva un fuoco già semispento e lì presso dormiva, steso su una grande pelle di bufalo, un vecchio guerriero, d’aspetto imponente.

Morton lo guardò attentamente e un vivo trasalimento lo fece sussultare.

Fece un passo innanzi come per slanciarsi addosso all’addormentato, poi facendo uno sforzo poderoso si trattenne, guardando con due occhi di fuoco il vecchio guerriero.

Quell’uomo aveva il volto coperto di cicatrici, l’onore dei capi tribù delle pelli-rosse.

Il suo vestito era di pelle finissima conciata, adorna di serpentine d’argento e ricca di ricami di seta azzurra e rossa. I suoi mocassini eran pure ricamati e alle cuciture laterali pendevano delle capigliature strappate ai nemici.

Agli orecchi poi aveva delle grosse monete d’argento, sul petto una larga piastra d’oro e sul capo il becco e le piume di un Avvoltoio Nero.

Quel guerriero era stato subito riconosciuto da Morton. Era Wenouga, l’Avvoltoio Nero, il più celebre dei capi pelli-rosse, l’orgoglio dei guerrieri dalla pelle rossa.

Un sorriso feroce apparve sulle labbra di Morton. Quell’uomo, così tranquillo, tutto d’un tratto pareva fosse diventato una tigre.

Si levò dalla cintura il coltello e s’avanzò verso il vecchio guerriero, scoprendogli il petto.

L’Avvoltoio Nero dormiva sempre. Non aveva sentito la mano di Morton cercargli il cuore.

Il quacchero stava per lasciar andare il colpo, quando dietro ad una tenda di pelle udì la voce d’una donna. Spaventato, Morton si alzò prontamente e si slanciò verso l’uscita della capanna, scomparendo nella viuzza tenebrosa.

— Sarà per un’altra volta — disse.

Attraversò parecchie vie e diverse piazze cercando invano il modo per introdursi nella tenda dell’Avvoltoio Nero.

Quando ritornò sulla piazza del villaggio, cominciava ad albeggiare.

Dalle capanne uscivano delle donne e dei fanciulli per recarsi ad abbeverare i cavalli dei guerrieri o per fare raccolta di legna, spettando a loro quei servigi.

Morton, inquietissimo, stava cercando il modo di lasciare il villaggio, considerando per quella notte la sua pericolosa missione come finita, quando attraversando una piccola piazza coperta d’alberi, vide uscire da una capanna Telie e Mary scortate da una vecchia indiana d’aspetto feroce che teneva in mano un nodoso bastone.

Il volto della povera Mary era pallido e coperto di lagrime. La misera s’era appoggiata a Telie e le stringeva disperatamente le braccia, non ostante i rimbrotti e le minacce della vecchia indiana.

Morton aveva avuto appena il tempo di nascondersi dietro il tronco d’un grosso albero. Aveva dovuto fare uno sforzo violentissimo per non slanciarsi verso le due ragazze.

Mary, piangendo, supplicava Telie a non abbandonarla.

— Resta con me, mia amica — le diceva. — Non mi sento sicura che con te.

— Non vi verrà fatto alcun male — rispondeva la figlia di Cuor Duro, pure piangendo. — Voi abitate presso la moglie d’un capo famoso e nessuno oserà entrare nella vostra tenda per insultarvi e per minacciarvi. Lasciatemi andare, miss. Se mio padre mi trovasse qui, mi ucciderebbe subito.

— Tuo padre! Non pronunciare nemmeno il suo nome! È stato lui a perdere entrambi ed a farci tutto il male possibile. Senza di lui mio fratello vivrebbe ancora e sarebbe qui a proteggermi contro questi selvaggi. Quell’uomo non può essere tuo padre. È un nemico della nostra razza, è un miserabile, Telie. Va’, diglielo pure, poi venga a ucciderci, se vuole. Io non desidero altro che la morte.

Dinanzi a quella esplosione di dolore, Telie non aveva più osato parlare di abbandonarla. S’era avvicinata all’amica abbracciandola e baciandola come per assicurarla che nulla avrebbe avuto da temere, anche rimanendo sola nella tenda della moglie dell’Avvoltoio Nero.

— Rimani con me — disse Mary tergendosi le lagrime. — Noi siamo buone amiche, ci proteggeremo vicendevolmente e resisteremo anche a tuo padre.

— Mio padre non vi vuol male, Mary — rispose Telie. — Sono paure insensate queste, anzi io so che ha dato ordini recisi perché voi siate rispettata. Egli non è crudele come sembra e non vi verrà fatto alcun male finché sarà qui lui. Lasciate che ritorni alla mia capanna, Mary. Mio padre potrebbe impazientirsi e allora potrebbe vietarmi per sempre d’avvicinarvi.

— Non puoi dunque rimanere presso di me?

— Non lo posso, miss. Pel bene comune, lasciatemi andare. Addio, miss, contate sull’amica vostra.

Ciò detto, la fanciulla, senza attendere la risposta di Mary fuggì via, mentre la vecchia intimava alla sua prigioniera di rientrare subito nella capanna.

— Povere fanciulle — mormorò Morton, con un sospiro.

Seguì cogli sguardi Mary che veniva spinta verso la capanna dalla megera incaricata di sorvegliarla, poi si allontanò, dirigendosi verso il bastione.

Non vedendo alcuna sentinella lo attraversò e si lasciò scivolare dall’altra parte per raggiungere Ralph.

Procedendo a carponi fra le alte erbe che crescevano sulle rive del fiumicello, il quacchero raggiunse felicemente il nascondiglio dell’Alligatore del Lago salato.

Questi, vedendolo avvicinarsi, dopo d’aver guardato nei dintorni se vi erano degli indiani nascosti, gli andò incontro chiedendogli premurosamente:

— Quali nuove mi recate di quei miserabili rettili? L’avete veduta quella brava fanciulla?

— Sì — rispose Morton, trascinandolo nella capanna.

— E non l’avete liberata? Ah! Morton!

— Non avevo mica da fare con dei lupi di prateria o con dei cavalli da rubare — rispose il quacchero. — Volevi tu che io la rapissi in mezzo a due o trecento indiani?

— Potevate tentare qualche cosa.

— Era impossibile, Ralph. Mi avrebbero preso ed ucciso senza portare alcuna utilità alle due prigioniere.

— E non tornerete al villaggio?

— Certo. Dammi il tuo laccio.

— Cosa volete farne, Morton?

— Legare la vecchia che sorveglia Mary. Io non voglio lordarmi le mani di sangue femminile.

— Andiamo prima ad avvertire il signor Randolfo.

— Guardiamoci bene dal farlo. Randolfo è troppo impetuoso per prendere parte a queste imprese. Egli guasterebbe ogni cosa.

— Agiremo noi?

— Sì, Ralph.

— Cosa devo fare io?

— Tu risalirai il fiume fino al recinto dei cavalli e prenderai il più forte ed il più agile.

— E poi?

— Andrai poscia dall’altra parte del villaggio, presso un ponte che attraversa il fiume e mi aspetterai.

— A chi servirà il cavallo?

— Alla sorella di Randolfo.

— Andrò a rubare il cavallo migliore dell’intera tribù — disse Ralph. — Per la mia morte! Che io sia chiamato un bandito se non riuscirò nell’impresa.

Mentre stavano per dividersi, videro improvvisamente comparire Diego e Randolfo. Avevano attraversato felicemente il fiume ed avendo veduto entrare Morton, si erano spinti fino alla capanna.

— Cosa fate qui? — chiese a loro il quacchero, senza celare il suo malumore. — Vi avevo proibito di muovervi.

— Eravamo impazienti di aver vostre notizie e siamo venuti a vedere se eravate riusciti nell’ardua impresa o se gl’indiani vi avevano sorpresi. Non rimproverarmi, Morton. Io sono il fratello di Mary.

— È vero, però voi avete commesso una imprudenza. Se gl’indiani vi scoprivano, eravamo tutti perduti. Nel villaggio vi sono tanti guerrieri da prenderci senza fare molta fatica.

— Perdonami, Morton. Non poteva più dominare la mia impazienza. Tu hai veduto mia sorella?

— Sì, Randolfo.

— Grazie, Morton! — esclamò il giovane che aveva le lagrime agli occhi. — Non è stata tormentata da quei miserabili?

— Anzi ella gode la protezione di Telie e anche di Cuor Duro. Io so di positivo che non correrà alcun pericolo.

— Conducimi con te nel villaggio. Voglio vederla.

— È impossibile. Compromettereste ogni cosa.

— Ti prego, Morton.

— Vi proibisco di seguirmi. Vieni, Ralph, non dobbiamo perdere tempo.

Poi si slanciò verso il bastione, mentre un furioso acquazzone cominciava a rovesciarsi sul villaggio.