Avventure di Robinson Crusoe/55
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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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Recuperazione del bastimento.
Il capitano intanto ebbe tempo di parlare a costoro, di rinfacciare ad essi la ribalderia e l’infamia del loro divisamento che, senza dubbio, gli avrebbe in fin del conto condotti d’abisso in abisso, di miseria in miseria, e probabilmente al patibolo.
Mostratisi tutti pentiti da vero, non facevano altro che supplicare per le proprie vite; intorno a che rispose loro:
— «Non siete miei prigionieri, ma bensì del governatore dell’isola. Voi v’immaginaste d’avermi gettato in una spiaggia ignuda e deserta; ma è piaciuto a Dio che capitaste invece in un’isola abitata, il cui governatore per soprappiù è un Inglese. Potrebbe farvi impiccar tutti, se lo volesse; ma poichè vi ha dato quartiere, suppongo che vi manderà in Inghilterra, ove avrete che fare co’ tribunali, e sarete trattati come lo comporterà la giustizia. Da questa disposizione è eccettuato Guglielmo Atkins, al quale devo dire per parte dello stesso governatore di prepararsi alla morte, perchè sarà impiccato domani mattina.»
Benché tutto ciò fosse meramente una finta del capitano, ebbe essa quel miglior effetto che si potesse desiderare. Atkins gettatosegli ai piedi, lo supplicò ad intercedere per lui dal governatore che gli concedesse in dono la vita; gli altri fecero gli stessi atti e supplicazioni per non essere mandati nell’Inghilterra.
In questo mezzo mi nacque il pensiere che il tempo della nostra liberazione fosse veramente venuto, e che non sarebbe difficile l’indurre que’ bricconi caduti in nostro potere a divenire i migliori e più spontanei nostri cooperatori nella ricuperazione del bastimento. Tenutomi sempre in disparte e all’oscuro, perchè non vedessero che razza di governatore avevano, chiamai a me il capitano; ma feci tal voce come se lo chiamassi da una grande distanza, ed intanto un de’ miei che per mio ordine si fingeva più vicino, replicò la mia chiamata:
— «Signor capitano, il signor governatore domanda di voi.
— Dite a sua eccellenza, che vengo subito» fu presto a rispondere il capitano: cosa che li mantenne sempre più perfettamente nel loro inganno, perchè si persuasero che il governatore fosse in certa distanza co’ suoi cinquanta uomini.
Non appena questi mi fu da presso, gli partecipai il disegno da me concepito per ricuperare il vascello, disegno che gli andò a sangue non vi so dir quanto; onde risolve mandarlo ad effetto nella seguente mattina. Ma per mettere in ciò più arte e meglio assicurarci del buon successo, gli dissi che bisognava separare i prigionieri, e che per conseguenza andasse a prender Atkins e due di quelli da lui conosciuti per più tristi e li mandasse alla caverna co’ prigionieri della prima muta. Ebbero l’incarico di tale esecuzione Venerdì e i due compagni del capitano. Questi tre pertanto vennero condotti
nella caverna, come se fosse la prigione loro assegnata, e da vero era un tristo malauguroso carcere, massime per uomini ridotti alla loro posizione. Disposi che gli altri fossero condotti a quella ch’io chiamava mia casa di villeggiatura e che vi ho già ampiamente descritta; e poichè questa era munita di palizzata ed essi legati, lo trovai un luogo d’arresto bastantemente sicuro, tanto più che a fare i matti ci doveano pensare anch’essi.Nella mattina appresso feci che il capitano andasse a negoziare con questi ultimi; in una parola a scandagliarli per venirmi a riferire in appresso, se c’era da fidarsi o no nella loro cooperazione per ripigliare di sorpresa il bastimento. Di fatto egli parlò loro dell’infame azione fatta contro di lui e del tristo stato a cui questa gli aveva condotti; perchè, se bene il governatore avesse dato ad essi quartiere in quanto spettava al fatto presente, se venivano spediti in catena nell’Inghilterra, non la schivavano di morire impiccati. Qui soggiunse che se gli avessero voluto prestare l’opera loro nel così giusto tentativo di ricuperare il vascello, avrebbe fatto tanto d’ottenere dal governatore la promessa del loro perdono.
Ognuno può congetturare come una simil proposta venisse accolta da uomini che si trovavano in caso simigliante al loro: gettatisigli a’ piedi, promisero co’ più caldi giuramenti, che gli sarebbero fedeli sino allo spargimento dell’ultima stilla del loro sangue, che avrebbero eternamente riconosciuta la propria vita da lui, tutti pronti a seguirlo in capo al mondo, a riguardarlo come loro padre sinchè fossero vissuti.
— «Bene, disse il capitano, andrò a far noti al governatore questi vostri propositi e vedrò se mi riesce indurlo ad acconsentire.»
Infatti, datomi conto delle disposizioni scoperte in essi, soggiunse che veramente credea sincere le promesse di costoro.
— «Ad ogni modo, io gli dissi, per essere più sicuri, fate così. Tornate a trovarli e dite loro che, se bene, come devono vederlo, voi non manchiate d’uomini, pur volete sceglier cinque di essi e servirvene per assistere alla vostra impresa; ma che intanto il governatore terrebbe i due primi loro compagni e i tre ultimi mandati nelle carceri del castello (che erano poi la mia caverna) siccome ostaggi della fedeltà degli altri cinque, alla quale se questi mancassero, i cinque ostaggi sarebbero impiccati per il collo a cinque forche del porto, e lasciati la finchè fossero morti.»
Oh! ciò parve loro una grande severità, quando il capitano andò a sostenere questa parte con essi, e furono convinti che questo governatore non burlava. Pure non restava ad essi miglior partito dell’accettare on tal patto; e divenne ora un affar serio ugualmente pel capitano e pei cinque ostaggi il persuadere ai cinque della spedizione che si guardassero dal mancare alla data fede.
Ecco qual era l’ammontare delle nostre forze per questa spedizione:
1. Il capitano, il suo aiutante e il passeggiero;
2. Due prigionieri della prima banda, da me posti in libertà e forniti d’armi dietro la descrizione dell’indole loro fattami dal capitano;
3. Gli altri due che aveva finora tenuti in ceppi nel mio frascato, ma or lasciati liberi per intercessione del capitano.
4. I cinque posti in libertà ultimamente; che in tutto formavano una forza di dodici uomini, non compresi i cinque tenuti siccome ostaggi nella caverna.
Chiesi al capitano s’egli credea d’avventurarsi con questa gente all’arrembaggio del vascello; perchè quanto a me e al servo mio Venerdì, non pensai ne convenisse il moverci dall’isola, ove ne rimanevano sette uomini da guardare. Era assai briga per noi il tenerli disgiunti e provvedere al giornaliero lor vitto; quanto ai cinque della caverna, trovai opportuno il lasciarli legati. Venerdì per altro andava a visitarli due volte per giorno e a somministrar loro quanto ad essi poteva occorrere; e le provvigioni le faceva portare dagli altri due ad una certa distanza, ove Venerdì veniva a levarle.
Quando mi mostrai ai due primi ostaggi, era meco il capitano che mi annunziò loro come l’uffiziale che avea l’ordine del governatore di vegliare sovr’essi. Aggiunse essere volontà di sua eccellenza che non andassero in verun luogo senza mia licenza; che se lo avessero fatto, sarebbero stati condotti nel castello e messi in ceppi. Così dunque non mi essendo mai mostrato ad essi come governatore, mi credevano un’altra persona, e ad ogni occasione tirava a mano il governatore, il castello, la sua guarnigione.
Il capitano non era più rattenuto da altri indugi fuor quello di allestire le due scialuppe, ristuccare cioè il forame fatto nell’una, entrambe guarnirle e fornirle d’uomini. Postine quattro nella prima, ne diede il comando a quel de’ suoi due compagni che era passeggiero nel vascello: egli col suo aiutante e cinque altri uomini entrarono nell’altro, e spedirono si bene le loro faccende, che a mezzanotte in circa erano nell’acque del bastimento. Appena gli furono a portata di voce, Robinson, giusta l’ordine avuto dal capitano, ne salutò i marinai e disse come avesse ricondotta la scialuppa e la gente della prima spedizione, ma che ci era voluto gran tempo prima di rinvenirli, ed altre ciance simili atte a tenerli a bada finchè fossero al fianco del bastimento. Il capitano e il suo aiutante primi a saltarvi entro, accopparono immantinente co’ calci de’ moschetti il secondo aiutante ed il carpentiere; poi ben secondati da tutti quelli del loro seguito, si assicurarono del ponte e del cassero; indi si diedero a chiudere i boccaporti, perchè quelli che erano nel fondo del vascello non potessero salire. Intanto l’altra scialuppa e la sua ciurma entrata dalla parte delle catene delle sarte, s’impadronì del castello di prua e della piccola boccaporta che metteva nella cucina, facendo lor prigionieri tre uomini ivi trovati.
Così disposte ed assicurate le cose tutte sul ponte, il capitano ingiunse all’aiutante di prender seco tre uomini e forzare la camera del consiglio (round-gouse) ove stava il ribelle capitano apparecchiandosi alla difesa. Costui, pigliate quant’armi da fuoco gli capitarono fra le mani, le distribuì a due uomini e ad un mozzo che erano nella stanza; quando poi l’aiutante accompagnato dalla sua
banda ne spalancò la porta, fece arditamente fuoco in mezzo agli assalitori; onde una palla di moschetto ne ferì due e ruppe un braccio all’aiutante, ma non uccise nessuno. Questi nondimeno, mal concio come era, e gridando per nuovi rinforzi, andò innanzi e scaricata una pistola sul nuovo capitano, la palla gli entrò per la bocca e gli uscì fuor d’un orecchio sì bene, che d’allora in poi non ha parlato mai più. Veduto ciò, tutti gli altri s’arresero, ed il vascello tornò al primo padrone senza che altre vite fossero compromesse.Nè andò guari che il capitano comandò si sparassero sette cannoni, segnale convenuto meco per farmi arrivare la notizia del buon successo. Io, senza andare a letto in quella sera, stetti seduto su la spiaggia in espettazione di questo segnale, e vi lascio pensare se non mi giunse gradito.
Dopo di ciò andai a coricarmi, ed essendo stata quella una giornata di grande fatica per me, dormii profondissimamente tutta la notte, finchè sul far del giorno non mi svegliò un colpo di cannone che allora mi fece qualche sorpresa. Saltato già dal letto, udiva gridare: Governatore! governatore! e riconobbi tosto la voce del capitano che mi chiamava dalla cima del monte della mia fortezza. Salitovi tosto anch’io, egli mi abbracciava additandomi il bastimento.
— «Mio amico e liberatore, egli dicea, è il vostro vascello, perchè è tutto vostro, e vostri siam noi e vostro quanto ad esso appartiene.»
Mi voltai a guardare il bastimento che galleggiava ad una distanza poco più d’un mezzo miglio dalla spiaggia; perchè appena il capitano ne fu tornato padrone diede le vele, ed essendo propizio il vento, lo fece venire all’âncora di fronte alla bocca della piccola darsena a voi nota; poi postosi entro il suo scappavia venne col favore dell’alta marea sino alla famosa calanca, ove feci capo una volta con le mie zattere, perlochè mi sbarcò, può dirsi, dinanzi alla porta.
Poco mancò non cadessi in deliquio alla beata sorpresa di vedere or posta sì evidentemente nelle mie mani la mia liberazione, spianate tutte le difficoltà ed un ampio bastimento a mia disposizione per andarmene ove mi fosse piaciuto. Su le prime, e per qualche tempo non fui buono di dire una parola, e, tenendomi egli fra le sue braccia, mi ci reggeva di peso, altrimenti sarei caduto. Accortosi di quella mia specie di svenimento, si trasse tosto di tasca una boccetta
di acqua cordiale, che avea portata seco ad ogni buon fine, e me ne fece bere alcune sorsate. Sedutomi indi su l’erba, ancorchè queste m’avessero tornato in me stesso, stetti un bel pezzo senza potergli parlare.
In tanto quel pover’uomo estatico anch’egli, se bene d’un’estasi non sì forte come la mia, si giovò d’ogni sorta d’espressioni ed atti amichevoli per ricomporre i miei spiriti e la mia ragione; ma tanta piena di gioia inondavami il petto, che spiriti e ragione vi si perdeano. Finalmente la mia esultanza trovò uno sfogo nel pianto, ed allora solamente riacquistai la parola. Venuta quindi la mia volta di abbracciarlo e ringraziarlo qual mio liberatore, parlammo e ci rallegrammo l’uno con l’altro. Gli dissi com’io ravvisassi in lui l’uomo inviato dal cielo in mio scampo, perchè tutte queste avventure apparivano una catena non interrotta di miracoli. Stava in esse una patente prova di quella segreta mano della Providenza che governa il mondo, ed una evidente dimostrazione del come l’occhio dell’Onnipotente possa cercare stromenti di salvezza nel più remoto angolo della terra e mandarli, ovunque gli piaccia, in soccorso d’un infelice. Nè certo dimenticai in tale occasione di sollevare il mio cuore pieno di gratitudine al cielo. Chi avrebbe nel caso mio potuto starsi dal ringraziare colui che non solamente aveva provveduto con modi miracolosi al mio sostentamento in mezzo ad un deserto e nella più desolata delle umane condizioni, ma dal quale, dobbiamo convenirne, può unicamente scaturire ogni liberazione?
Dopo alcuni discorsi seguìti fra noi, mi disse d’avermi menato alcune cose per ristorarmi, quali potea somministrare il suo bastimento, e fin dove era sperabile che ne avesse risparmiate la depredazione dei malandrini statine per sì lungo tempo i padroni. Allora gridò forte a quelli dello scappavia, ordinando loro di portare il dono destinato al governatore: e da vero era così fatto, come se io non avessi dovuto salpare di lì in sua compagnia, ma piuttosto continuare a dimorarvi tuttavia. Consistea questo presente primieramente in una cassa di boccette d’acque cordiali, sei fiaschi della capacità di due boccali l’uno di vino di Malaga, due libbre di eccellente tabacco, dodici bei pezzi di manzo e sei di maiale salato, un sacco di legumi e un quintale circa di biscotto. Mi portò in oltre una cassa di zucchero, un’altra di fior di farina, un canestro pieno di limoni, due fiaschi d’agro di cedro e altre cose in buon dato. Ma ciò che mi riuscì mille volte più accetto, fu il dono di sei belle camice nuove, con altrettante bellissime cravatte, di due paia di guanti, d’un paio di scarpe, d’un cappello, di un paio di calze, oltre ad un suo abito compito ch’egli avea portato ben rare volte: in una parola mi vestì da capo a piedi. Non potea farmi più bel regalo, nè che mi capitasse più a proposito; pur volete ridere? Non ho mai provata in vita mia una sensazione così aspra, così incomoda, così disgustosa, come il mettermi indosso questi abbigliamenti dopo tant’anni trascorsi, che me ne faceano parere questa la prima volta.