Nuovi ricolti e produzioni dell’Isola

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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Nuovi ricolti e produzioni dell’Isola
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Nuovi ricolti e produzioni dell’Isola.



C
ominciava ora la mia condizione ad essere, benchè non meno sfortunata pel tenore di vita a cui mi vedeva costretto, più facile nel mio pensiere a tollerarsi. Come più con la costante lettura delle sacre carte e con l’abitudine di pregar Dio volsi i miei pensieri a cose di più alta natura, trovai entro me stesso una copia di conforti de’ quali finora io non aveva avuto il menomo sentore. Tornatemi ancora la mia salute e le mie forze, diedi opera a procurarmi ciascuna delle cose ond’io mancava, ed a regolare il corso del mio vivere quanto meglio per me si poteva.

Dal 4 al 14. Armato sempre del mio moschetto, impiegai questo intervallo a far le mie passeggiate, ma adagio e com’uomo che andava ricuperando a poco a poco e dopo una grave malattia le sue forze; che è difficile l’immaginarsi quanto queste fossero depresse ed [p. 122 modifica]a qual debolezza io fossi ridotto. Il metodo ch’io aveva usato per guarire era nuovo del tutto, nè forse fu mai operato dianzi per curare una febbre; nè da vero consiglierò ad alcuno il metterlo in opera dietro al mio esperimento; perchè se bene un tal rimedio mi liberasse dall’accesso febbrile, contribuì non so dir quanto a debilitarmi, oltre all’aver portate ne’ miei muscoli e nervi frequenti convulsioni che mi durarono per qualche tempo. In questa occasione imparai un’altra avvertenza, vale a dire come l’andare attorno nelle stagioni piovose fosse la cosa più pericolosa che immaginar si potesse: specialmente se queste piogge andavano accompagnate da temporali e turbini, come e quasi sempre di quelle che cadono ne’ mesi asciutti. Trovai di fatto esser queste assai più nocive delle altre che vengono in settembre e in ottobre.

Erano già più di dieci mesi da che io dimorava in quest’isola malaugurata, ove sembrava che ogni speranza di uscirne mi fosse tolta, ed ove io credea fermamente che nessun essere umano avesse mai posto piede. Dopo avere assicurata pienamente, a mio avviso, la mia abitazione, nacque in me il desiderio di fare una più ampia investigazione dell’isola per discoprire quali altre produzioni da me ignorate finora vi si contenessero.

15. In questo giorno cominciò la mia indagine. Andato primieramente alla calanca ove, come ho già accennato, condussi le mie zattere alla spiaggia, m’accorsi, dopo aver camminato due miglia al di sopra di essa, che la marea non andava alta di più. Trovai quivi unicamente un ruscelletto d’acqua corrente, dolce e buonissima; ma correndo la stagione asciutta era cosa difficile lo scoprire acqua in veruna parte di esso, o almeno in guisa sensibile. Dalla riva di quel fiumicello notai molte piacevoli praterie o savanne1, tutte uniformi e di bell’erba coperte. Nelle parti più alte di esse in vicinanza delle montagne (ove, come ognuno può immaginarsi, non correva mai l’acqua) rinvenni una grande copia di tabacco i cui verdi gagliardi steli crescevano ad una notabile altezza, poi diverse altre piante ch’io non conosceva e delle quali io non sapeva le proprietà, benchè forse avessero virtù loro proprie ignorate da me.

Andai in cerca della radice di cassava, onde gl’Indiani nella generalità di questo clima formano pane, ma non mi riuscì di trovarne. [p. 123 modifica]Vidi grandi piante d’aloè di cui parimente ignorava le proprietà e parecchie canne di zucchero, ma salvatiche, e per mancanza di coltivazione imperfette. Contento per ora a queste scoperte, tornai addietro pensando fra me stesso qual metodo potrei adoperare per conoscere le virtù e prerogative d’ogni frutto e pianta che mi venisse fatto scoprire; ma ciò senza venire a nessuna conclusione, perchè in sostanza io aveva fatte sì scarse osservazioni quando era nel Brasile che conosceva ben poco delle piante de’ campi, o almeno il poco ch’io ne aveva imparato non poteva essermi d’alcun vantaggio nelle mie angustie presenti.

Dal 16 al 18. Nel seguente giorno tenni la stessa via dell’antecedente, ma andando poco più innanzi, ove trovai che il ruscello e le praterie cominciando a mancare davano luogo ad una campagna più boscosa di prima. Quivi trovai diversi frutti e particolarmente grande abbondanza di poponi sul terreno e di grappoli d’uva su gli alberi. Su questi di fatto si estendeano le viti, e i copiosi loro racimoli erano in istato di perfetta maturità. Fu questa una sorprendente scoperta che mi empiè di giubilo, benchè andassi assai cauto nel profittarne. L’esperienza mi aveva insegnato a mangiarne parcamente, ricordandomi tuttora come, allorchè mi trovai su le spiagge di Barbaria, il cibarsi d’uva fosse cagione di morte a molti de’ nostri Inglesi schiavi colà e per effetto dell’uve stesse colpiti da flussi e da febbre. Immaginai ciò non ostante un eccellente modo di avvantaggiarmi di tali grappoli. Consistea questo nel prepararli e seccarli al sole, conservandoli come si conservano le uve secche; pensai che sarebbero per me sane e gradevoli, come furono a mangiarle quando non si poteva averne di fresche.

Passata quivi tutta la sera, non tornai addietro alla mia abitazione: prima notte ch’io passassi fuori di casa. All’imbrunire m’attenni alla mia prima invenzione guadagnando la cima d’un albero, ove dormii molto bene; indi nella seguente mattina procedei innanzi nella mia scoperta, camminando circa per quattro miglia (come potei argomentarlo dalla lunghezza della valle) vôlto sempre a tramontane e circondato da una catena di monti così a destra come a sinistra.

Al termine di questo cammino giunsi ad un aperto ove parea che la campagna declinasse verso ponente, mentre una piccola sorgente d’acqua dolce che sgorgava dal lato della montagna postami a fianco scorreva nell’opposta direzione, cioè verso levante. Questo tratto di [p. 124 modifica]paese mi apparve ventilato da un’aria sì temperata, sì florido e rigoglioso, ogni cosa di esso in uno stato di sì costante verdura, di tal fioritura da primavera, che per poco non mi credei trasportato in un giardino artifiziale.

Io mi trovava Re e Signore assoluto di tutto quel paese

Sceso alcun poco lungo la pendice di questa valle sì deliziosa, la contemplai con una specie di segreta contentezza, non disgiunta ciò non ostante da altri molesti pensieri. Ma il pensier primo si fu che tutto questo era di mia piena proprietà; ch’io mi trovava re e signore assoluto di tutto quel paese con ampio diritto di possederlo e che, se avessi potuto trasportarlo, avrei anche potuto ergerlo in maggiorasco con tutta l’autorità compartita intorno a ciò ad ogni lord possessore di una signoria nell’Inghilterra. Vi scopersi copia d’alberi di cocco, aranci, limoni, cedri, ma tutti salvatici e ben pochi fruttiferi, almeno in allora. Pure i limoni verdi da me colti erano non solamente buoni al palato, ma sanissimi; onde in appresso, spremuto il loro sugo nell’acqua, ne composi una bevanda salubre e oltremodo fresca e refrigerante.

Capii allora che avrei avute faccende abbastanza nell’adunare e portarmi a casa tutto questo ricolto; risolvei pertanto di adunare una provvigione così di grappoli d’uva come di limoni, per esserne fornito all’uopo nell’umida stagione ch’io sapeva esser vicina. Per conseguenza disposi un grande strato di grappoli in un luogo, un minore in un altro; ed in un altro una grande quantità di limoni e di poponi. Indi toltimi con me pochi d’ognuno di tali frutti, m’avviai verso casa coll’intenzione di tornare qui un’altra volta portando meco un sacco o quel mezzo di trasporto che potrei procurarmi, per condurmi a casa quanto allora era da levarsi di lì. Così, dopo avere impiegati tre giorni in questo viaggio, me ne venni a casa (chè d’ora in poi chiamerò così la mia tenda e la mia grotta); ma prima ch’io arrivassi, i grappoli d’uva erano andati a male; l’abbondanza de’ grani e il peso del sugo gli aveva infranti e stritolati sì fattamente che non furono buoni da nulla o ben da poco; quanto ai limoni, li trovai intatti, ma aveva potuto portarne meco ben pochi.

19. M’avvicinai verso il luogo stesso dopo avermi fatti due sacchi per trasportare a casa il mio ricolto; ma rimasi sorpreso allorchè arrivando vidi il mio strato di grappoli sì abbondanti e belli quando li colsi, tutti sparpagliati, gualciti, trascinati un qua un là, gran copia di essi addentati o mangiati; d’onde conchiusi esservi in quei [p. 125 modifica]dintorni alcuni grossi viventi di selvaggia natura che soli potevano aver fatto ciò, ma che razza di viventi fossero, io non sapeva immaginarmelo. Vidi pertanto che non era il caso nè di stendere strati d’uva sul terreno per seccarla, nè di portarne via i grappoli entro un sacco. Non la prima cosa, perchè la mia provvigione sarebbe stata distrutta come fu l’altra; non la seconda, perchè l’uva si sarebbe gualcita entro il sacco. Pigliai ad un altro espediente; raccosi cioè una grande quantità di grappoli attaccandoli ai rami degli alberi e lasciandoli ivi tanto che si stagionassero e seccassero al sole. Circa ai limoni, ne portai via tutto quel numero sotto il cui peso fui buono a reggere.


Note

  1. Questo nome conviene tanto alle foreste del Canadà quanto alle praterie di varie parti dell’America.