Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Capitolo XXI
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XXI.
Stato della economia domestica.
Il mio patrimonio rendeva dalli sei alli ottomila scudi ogni anno, ed era bastantemente assestato, ma i miei congiunti, ottimi ed amorosissimi, non erano tagliati per il regime economico e saggio di una famiglia. Nelli quattordici anni della età mia pupillare si dovevano pratticare risparmi onesti e mantenuta la casa con decoro sufficiente si dovevano pagare alcuni debiti antichi del patrimonio, e prepararmi un capitale bastante almeno a dotare la mia sorella la quale fra poco aveva da maritarsi. Il mio prozìo canonico Carlo si sarebbe regolato così, ma i miei zii stimavano che qualunque diminuzione nel lusso, e nel tuono domestico fosse un disdoro, e la mia ottima Madre non contradiceva a veruno, sicchè il buon vecchio dovè cedere sempre e fare a modo degli altri. Alcune circostanze autorizzavano in qualche modo il volere de’ zii, perchè avendo essi all’ammogliarsi di mio padre rinunziate le porzioni rispettive, affine di constituire un magiorascato si stimavano, almeno equitativamente, in diritto di interloquire nella direzione di quel patrimonio nella cui formazione erano concorsi. Si trattò dunque mia Madre vedova come una sposa, si conservò un treno luminoso, si diedero villeggiature splendide, trattamenti continui, e in somma tanto ci era tanto si spese, senza creare nuovi debiti, ma senza estinguere i vecchi, e senza lasciarmi un baiocco di avvanzo. Allora io pure approvavo quel metodo come uno stordito, ma in seguito ho sentito bene e sento quali altra vita e figura mi sarebbero toccate al mondo se nella età pupillare si fosse risparmiato il quarto delle mie rendite. Iddio però tolga da me l’idea di farne rimprovero alla memoria onorata dei miei cari parenti. Essi mi fecero male prodigando allora le mie sostanze, e me ne fecero assai di più lasciandomi la briglia sul collo di diciotto anni soli, perchè non si deve condiscendere ai desiderî improvvidi della gioventù, come non si condiscende ai bambini se domandano ancora con le lagrime cibi nocivi; ma essi operarono con persuasione di operare rettamente, e senza prevedere le conseguenze di quelli errori, ed io le sopporto e le sopporterò con rassegnazione, e non farò torto all’amore che gli ho professato, e alla riconoscenza che gli devo per la cordialità sviscerata che mi hanno dimostrata in tutte le occasioni. Finchè sono vissuti, e quando mi hanno pressato angustie economiche le più atroci, nè una parola nè un cenno mio gli han detto mai, «Voi potevate avermi risparmiato questo travaglio». Lieti ora, come spero di contemplare nella ampiezza di Dio la totalità delle cose e dei pensieri, vedranno che non avevano accordato l’affetto loro ad un uomo senza cuore, e senza riconoscenza.