Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Capitolo XV

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XV.

Partenza di mia sorella pel monastero.

Nell’anno 1790 avendo io quattordici anni, mia madre volle collocare in Monastero a Pesaro la mia sorella che aveva un anno meno di me. Non so ripetere quanto costasse al mio cuore quel distacco veramente acerbissimo. Vissuto sempre con essa e col fratello Vito, giacchè l’altro fratello Enea morì bambino, non mi ero mai familiarizzato con l’idea di un distacco e mi pareva che fossimo tre ossi da restare sempre congiunti in una stessa carne. Oltre di ciò il mio cuore non aveva sofferte ferite, perchè dopo lo sviluppo della ragione non era morta alcuna di quelle persone per le quali sentivo amore. La morte pertanto era tuttora per me un soggetto di semplice erudizione: sapevo che si doveva incontrarla ma non avendola mai veduta aggirarsi attorno di me la riguardavo come in Italia si riguardano le Terre Australi, e se talora mi era di pena il rammentare gli anni molti del Canonico Carlo Leopardi prozìo che amavo sommamente, mi andavo lusingando con gli esempi di longevità straordinaria che leggevo nelle istorie e nelle gazzette. La morte con un colpo della falce sua inesorabile non mi aveva destato dai sopori dell’infanzia, e non mi aveva avvertito che io dovevo morire prima delle persone a me care o vederle tutte morire prima di me. Perciò l’allontanamento della sorella fu un colpo atrocissimo al mio cuore, e nessuno mai ha versate lagrime più dolenti, più sincere. Quando [p. 20 modifica]nel 1822 il decreto di Dio ha troncato il corso dei giorni suoi immaturi, il fremito del dolore mi è scorso per tutte le membra, e il pianto mi ha bagnate le ciglia, ma il cuore aveva imparata la rassegnazione nella scuola delle avversità.