Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Capitolo X
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X.
Desiderio di apprendere.
È singolare però che io nutrivo brama ardentissima di sapere, e che allettato pochissimo dai trattenimenti pueririli leggevo sempre, e più ostinatamente quelle cose che meno intendevo per avere la gloria di averle intese. Parte dunque per questa lettura, e parte perchè alla scuola qualche cosa dovevo imparare a mio marcio dispetto, ebbi nome di giovanetto colto e studioso, e passai sempre per un dottore fra tutti quelli della mia età. Per altro erano tutte ciarle ed ingegno, ma in verità sapevo niente, ed anzi neppur sapevo qualcosa, e come dovessi studiare per farmi dotto. Questa mancanza di direzione e di metodo ha guastati tutti i miei successivi travagli. Ho aperto infinità di libri, ho studiato infinità di cose, ma tutto senza scopo, senza guida e senza profitto; sicchè arrivato agli anni maturi e aperti gli occhi ho confessato a me stesso che io non so cosa alcuna, e mi sono rassegnato a vivere e morire senza esser dotto, quantunque di esserlo avessi nudrita cupidissima voglia. Mentre però vivevo alquanto umiliato per questa conoscenza si è andato aprendo agl’occhi miei il libro del mondo, ed ho veduto che si può essere uomo senza esser dotto, e che ordinariamente a se stessi ed agli altri giovano più gli uomini che i dottori. Con questa persuasione mi sono un po’ consolato, e studiando il mondo gli uomini, nella società negli affari, e nella storia le occasioni mi hanno fatto conoscere che stavo al rango di molti, e che forse tutto il mio tempo non si era perduto. Alcuni, e forse molti, sentendomi ciarlare, e vedendomi sbrigare qualche cosa abbastanza bene mi suppongono buona dose di dottrina, ma questi non sono entrati nel mio fondaco, e non conoscono il mio segreto. Quanto apparisce in me non è dottrina e letteratura, ma prudenza esperienza, buon senso, con qualche tintura apparente di scienza, perchè alla fine a forza di leggere qualche cosa mi sarà rimasta nella mente.