Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/30

Audizione Noci

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SENATO DELLA REPUBBLICA CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI


RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI MARTEDI’ 22 FEBBRAIO 2000


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI

I lavori hanno inizio alle ore 12,07

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente) Audizione del signor Maurizio Noci

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all’audizione di Maurizio Noci, che ringrazio per avere accolto, con cortese disponibilità, il nostro invito.

Avverto che i nostri lavori si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del nostro Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Qualora da parte dell’onorevole Noci o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Preciso che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico, che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alla persona ascoltata e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo apportandovi le correzioni di forma che riterranno, in vista della pubblicazione negli Atti parlamentari.

Ricordo che l’onorevole Noci è stato parlamentare, per più di una legislatura, nelle fila del Partito socialista e che ricopriva la carica di Sottosegretario all’agricoltura nel settimo governo Andreotti, all’epoca cioè del commissariamento della Federconsorzi da parte del ministro pro tempore Goria.

Onorevole, il giorno 17 maggio 1991 il Ministro dispose, con proprio decreto, il commissariamento della Federconsorzi. La invito a riferire alla Commissione quanto a sua conoscenza sui seguenti temi.

In primo luogo, sulle ragioni, modalità e circostanze del commissariamento.

In secondo luogo, sulla scelta dei commissari e, in particolare, del dottor Locatelli che, come ci ha confermato il presidente Andreotti, sembra essere stato designato dal Psi, che quindi ne sarebbe stato preventivamente informato.

In terzo luogo, la posizione politica del Partito socialista. In quarto luogo, la finalità dei progetti di Goria e, infine, le ragioni dell’opzione per il concordato preventivo.

NOCI. Signor Presidente, gli argomenti in oggetto non sono cose da poco, devo quindi riordinare un po’ i miei ricordi.

Per quanto riguarda le ragioni del commissariamento, presumo che esse vadano oltre la capacità di intervento di un Sottosegretario o forse addirittura dello stesso Ministro. Il fatto che il Ministro non abbia sottoscritto il bilancio della Federconsorzi - e ricordo che il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali aveva un potere di intervento, vigilanza e indirizzo al riguardo - evidentemente non è stata una decisione assunta in modo indipendente; c’era dietro una volontà politica molto precisa. Per quanto io abbia rispettato le capacità politiche di Giovanni Goria - ne ero anche un amico personale - non presumo che la questione sia dipesa da lui. La questione sarà dipesa sicuramente da ragioni politiche, che potevano far capo anche alla Presidenza del Consiglio, dal momento che la mancata firma di quel bilancio scatenò - se mi è permesso affermarlo – la lobby dei rappresentanti della Coldiretti nell’ambito della Democrazia cristiana. Mi ricordo gli alti lai di Lobianco - certo, molti dei quali preparati apposta per quel momento - e il comportamento di altri colleghi della cosiddetta lobby della Coldiretti, nell’ambito del Gruppo parlamentare della DC. Se quegli alti lai fossero stati veritieri, se fossero stati argomentati, se avessero rappresentato veramente la sincerità, se cioè non vi fosse stata veramente consonanza, avendo la lobby della Coldiretti all’interno della DC un potere molto più forte di quello di un singolo Ministro come Goria, quel bilancio sarebbe stato molto lealmente sottoscritto da quest’ultimo. Era infatti una questione troppo grossa, non era una cosa da poco. Si metteva cioè in dubbio una delle più belle opere di ingegneria istituzionale del nostro paese. La Federconsorzi, se noi la vediamo nella sua realtà di organismo messo al servizio del mondo dell’agricoltura, era un’istituzione molto ben fatta. Una volta, quando ero Sottosegretario, mi recai in Francia all’incontro con l’Opec e un Ministro della Nuova Zelanda - il paese dove adesso sta gareggiando "Luna Rossa" - mi chiese di fargli avere una copia del progetto relativo a questa nostra istituzione perché lo giudicava interessante. La stessa richiesta la ebbi dopo poco tempo da un Ministro algerino e, addirittura, anche da parte di Kinkel, l’allora Ministro dell’agricoltura tedesco, il quale mi disse che era a conoscenza di questa nostra istituzione e che la voleva conoscere dall’interno ed io, per pura cortesia, gli spedii gli atti relativi alla sua costituzione.

Per far saltare un impianto del genere, con tutti i difetti di gestione che aveva, occorreva una volontà politica che andasse ben oltre quella del ministro Goria.

PRESIDENTE. Per la verità, abbiamo registrato dal presidente della Coldiretti del tempo, onorevole Lobianco, una sorta di avversione da parte della stessa Coldiretti al commissariamento. Alla luce di quello che lei ci dice, può essere accaduto che non si fosse d’accordo su quello che doveva avvenire dopo il commissariamento?

NOCI. Sicuramente sì.

PRESIDENTE. E quindi il disaccordo sarebbe stato non sul fatto di procedere o meno al commissariamento, ma su quello che sarebbe avvenuto dopo, su come gestire il post commissariamento?

NOCI. È chiaro che vi aspettate la mia tesi…

PRESIDENTE. Lei è un testimone del tempo, che ha vissuto queste vicende.

NOCI. …quello che le mie antenne possono aver captato. L’impressione era (devo parlare in questo modo perché ho fatto il parlamentare e non il poliziotto) che gli alti lai della lobby della Coldiretti fossero teleguidati: se avessero voluto fare seriamente, avrebbero fatto di più.

CHIUSOLI. Era un gioco delle parti.

NOCI. È così.

Semmai, il "problemaccio" è nato dopo. In verità, il presidente Lobianco, con altri colleghi della Coldiretti, aveva cercato, poco prima dello scioglimento della Federconsorzi, di mandare avanti un piano che, secondo me, non poteva essere ben visto dalla Presidenza del Consiglio e neanche dal mondo parlamentare ed economico italiano, perché era la brutta fotocopia del famoso "Programma Quadrifoglio" degli anni Settanta. Chiamavano questo piano "progetto Aquila", per il quale occorrevano - se non vado errato - dai 18.000 ai 25.000 miliardi. Tenete presente che parlo del 1991 e non del 2000. Naturalmente, non potendo essere accolto quel tipo di richiesta, in considerazione del fatto che la Federconsorzi era già fortemente indebitata ed aveva una gestione che lasciava molto a desiderare, si arrivò allo scioglimento.

Comunque, posso confermare - perché è stata anche una mia impressione - che la vera lite nacque dopo, sulle modalità con cui dividere i nobili e molto lucrosi resti della Federconsorzi.

PRESIDENTE. Ci faccia capire bene, onorevole Noci. È possibile che la Coldiretti fosse d’accordo sul commissariamento e successivamente non si sia trovata d’accordo su come questo è stato gestito?

NOCI. Penso di sì. Forse non hanno ben calcolato i tempi o certe conseguenze, perché quando si arriva al commissariamento di un’azienda molto complessa come la Federconsorzi (capita del resto anche in aziende molto più semplici), la cattiva gestione viene a galla. Inoltre, per quanto Lobianco potesse non sapere di una cattiva gestione, era sicuramente a conoscenza del fatto che la gestione non era buona. Quindi sono nati dei problemi.

Una persona che potrebbe descrivere con precisione qual era la situazione è sicuramente il dottor Pellizzoni, che era direttore generale della Federconsorzi in quel momento, oltre al ragionier Scotti, che era il presidente. Allora, nell’immediato, si parlava di consulenze un po’ "ricche" rispetto a certe esigenze. Questo creava delle dissonanze, non c’era più un’unità di intenti.

Poi ci furono – parlo sempre da non poliziotto - delle cose strane. Allora non compresi bene (ma non lo capirono neanche il dottor Cigliana, il professor Gambino e il dottor Locatelli, che erano i tre commissari) come mai la Polenghi Lombardo partì in quinta per essere messa all’asta dal tribunale di Milano. Parlando con i rappresentanti della Polenghi Lombardo (mi riferisco al direttore ed ai rappresentati sindacali, cioè non a persone che vogliono apparire, ma a coloro che hanno la testa sulle spalle e che conoscono la situazione dell’azienda), si poteva capire che si trattava di un bene patrimoniale e commerciale di valore molto superiore a quello che venne identificato per mettere l’azienda all’asta.

Non voglio dire sciocchezze, però al tempo si pensava che la Polenghi Lombardo fosse più vicina ai 300 miliardi che non ai circa 100 miliardi per cui fu messa all’asta: due aste andarono deserte e la Polenghi Lombardo fu acquistata per un boccone di pane, se non erro poco più di 50 miliardi. Scusatemi l’imprecisione, esprimo soltanto quella sensazione di disagio che si viveva allora per un’asta molto frettolosa e due aste andate deserte con riferimento ad un bene così importante messo all’asta per un valore che forse non era neanche la metà del suo.

Non so bene come si possa definire il caso di più imprenditori che si mettono d’accordo per non rompersi le scatole in una gara d’asta, forse si può parlare di turbativa d’asta. Ecco, se potessi parlare come ex sindaco di una piccola cittadina, direi che è impossibile che questo non sia avvenuto di fronte all’asta della Polenghi Lombardo, scusate la franchezza. C’erano cinque o sei imprenditori di grande livello nel nostro paese; perché mai hanno lasciato che un bene di quasi 300 miliardi venisse acquistato per 55 miliardi senza che nessuno intervenisse prima?

PRESIDENTE. Vorrei completare il discorso che stavamo facendo in precedenza. Può essere accaduto che, all’interno di quelle lobby di cui lei parlava, sia stato scatenante il fatto che la Coldiretti da un certo periodo di tempo, prima del commissariamento, cominciava ad assumere certe posizioni autonome che potevano disturbare la DC?

NOCI. Onestamente fin lì non arrivo. Ho conosciuto fior di parlamentari all’interno della Coldiretti: posso citare Bruni, Campagnoli (presidente della Commissione agricoltura), gente di buona preparazione, con una buona tensione morale attorno all’etica politica. Ho lavorato anche bene con loro, ma non posso esprimere pareri attorno ad un giudizio del genere, cioè se questa lobby volesse staccarsi o meno dalla DC.

Secondo me, diciamo che non era più sopportabile una lobby di quella natura, con i costi che cominciava ad assumere. Non valeva più la pena far fronte alla continua richiesta di migliaia di miliardi per tenere in piedi una gestione che non era la migliore. Per me era questo il problema. All’interno del partito della Democrazia Cristiana (un partito interclassista, con tante esigenze e tanti problemi, ma composto anche da dirigenti di grosso livello), forse non era più sopportabile una situazione che costava tanto e già da allora andava un po’ in controtendenza - anzi un po’ troppo in controtendenza - rispetto al comportamento delle economie agricole degli altri Stati.

Non voglio fare grande politica economica, non è il mio mestiere, però la piccola proprietà agricola in Italia era troppo sminuzzata. La Coldiretti, negli anni di Bonomi, aveva un grande significato (infatti li chiamavano "bonomiani") e la piccola proprietà serviva a sviluppare l’agricoltura. Negli anni Ottanta, dopo che, per la prima volta a livello europeo, furono varate delle normative per dividere le quote (prima per il latte, poi anche per la soia e altri prodotti), venne a galla una delle situazioni arcaiche del nostro sistema agricolo, cioè la lavorazione di fondi molto piccoli. Erano fondi di pura sussistenza, non erano economicamente validi; non erano più condotti sotto l’aspetto imprenditoriale perché non rendevano. Cioè, con 50 mucche in stalla - mi riferisco alla Valpadana - non si riesce a chiudere il bilancio alla fine dell’anno ed allora la Coldiretti, per mantenere questo suo tessuto sociale ed economico, che poi si tramutava anche - non bisogna scandalizzarsi - in potere politico, forniva sempre più assistenza, quasi fosse diventata una Eca (anche se queste organizzazioni erano state già sciolte), per cui favoriva non l’imprenditorialità ma l’assistenza, che risultava controproducente, anche perché molte delle decisioni relative al mondo agricolo non venivano più prese dal Ministero dell’agricoltura ma a Bruxelles. Noi eravamo chiamati ad applicare tali decisioni in Italia e, nella loro applicazione, ci si accorgeva che vi erano diversi settori retrogradi, che cioè rimanevano indietro. La Coldiretti aveva tradizionalmente sempre difeso quel tipo di mondo, che però non reggeva più all’impatto economico, per cui ciò risultava sempre più costoso.

PRESIDENTE. Quale era la posizione del Partito socialista rispetto al commissariamento?

NOCI. In un primo tempo il partito voleva vederci chiaro, in particolare si volevano conoscere le ragioni del perché si era verificato questo tipo di situazione; in merito mi ricordo che anche in casa socialista ci furono due riunioni. Sono state due riunioni, lo dico molto chiaramente, che non hanno portato a dei risultati particolari, anche perché i convocati erano esponenti socialisti nel mondo dell’economia agricola. Ad esempio, c’erano, tra gli altri, il rappresentante dei socialisti nel mondo delle cooperative, nonché Giuseppe Avolio, il presidente della CIC; quest’ultimo era preoccupato perché qualcosa "saltava", altri, invece, erano felicissimi perché finalmente questo qualcosa era "saltato".

Comunque a delle conclusioni non si arrivò mai. Si cerco di capire le ragioni di tale situazione e queste risultarono abbastanza chiare: non era un fatto avvenuto per caso; non era una cosa che poteva essere voluta da un singolo Ministro.

MAGNALBO’. Signor Presidente, vorrei fare una domanda specifica all’onorevole Noci. Secondo lei, il ministro Goria, nel momento in cui commissariò la Federconsorzi prevedeva o era a conoscenza del comportamento che avrebbero tenuto le banche oppure sapeva qualcosa di diverso, anche tenuto conto che era un personaggio che conosceva il mondo bancario, essendo stato in precedenza anche Ministro del tesoro?

Goria sapeva ciò che sarebbe accaduto, del resto facilmente prevedibile?

NOCI. Secondo me Goria sapeva ciò che sarebbe accaduto; non poteva non saperlo; posso però dire che non si aspettava delle proposte così finanziariamente limitate, se si può dire qualcosa al riguardo senza - scusatemi la franchezza - essere "fucilati" sul posto. Si presumeva cioè che il patrimonio della Federconsorzi si aggirasse intorno ai 3.000-4.500 miliardi, tutto compreso. Chi vi parla non conosceva e non conosce tutta la complessità delle aziende che facevano parte della Federconsorzi, però allora si parlava di un patrimonio di questo ammontare e, se non erro, la proposta che poi fu fatta dalle banche risultò di gran lunga inferiore. Goria sapeva che qualcuno doveva intervenire (le banche è chiaro che sarebbero intervenute), però non si aspettava delle proposte così misere. Io ne sapevo molto meno di lui.

MAGNALBO’. Secondo lei, Goria faceva affidamento e conto su una specie di garanzia da parte di qualcuno circa il fatto che le banche avrebbero tenuto un certo comportamento? Aveva avuto assicurazioni al riguardo da un mondo politico, che forse era ad un livello più alto di lui?

NOCI. Secondo me Goria - tenete presente che con lui avevo un rapporto amicale, non eccezionale però buono: avevo sempre trovato in lui un uomo molto leale - sicuramente ricevette un’assicurazione da parte del suo mondo politico, cioè quello della Democrazia cristiana, che non sarebbe stato "fucilato" qualora non avesse firmato, perché il bilancio della Federconsorzi era una cosa grossa. Non so se avesse avuto altre garanzie, ma non penso. L’uomo aveva i suoi pregi e i suoi difetti ma non era macchinoso o machiavellico; era una persona che portava a compimento un progetto quando tutte le "caselle" erano a posto. Lui cioè usava dire: "Fin qui arriva il mio compito, oltre non vado". Secondo me, dopo la mancata firma del bilancio della Federconsorzi all’80 per cento il suo compito era terminato.

PRESIDENTE. Le volevo chiedere a questo proposito se lei è in grado di dirci quali furono le ragioni che portarono all’opzione del concordato preventivo; fu infatti in questa sede che poi quel valore di cui lei parlava venne di gran lunga diminuito, quasi dimezzato.

NOCI. Io non l’ho vissuta in prima persona quella questione perché avevo preferito dedicarmi ad altri affari ministeriali. Mi spiego meglio: se una persona viene coinvolta a pieno titolo in un’operazione di carattere politico ci crede, magari anche ingenuamente, e cerca di viverla con dignità, fino in fondo. Se quella stessa persona, nel qual caso il sottoscritto, si accorge però che dopo il bailamme politico iniziano gli accordi per trovare soluzioni economiche e viene a mano a mano allontanata dal problema, non consultata o non presa in considerazione, allora preferisce dedicarsi ad altre cose. Per cui, ciò che potrei riferire al riguardo è soltanto quanto ho "orecchiato" ma non sarebbe neanche corretto perché non so se ho "orecchiato" bene o male.

PRESIDENTE. Quando le fu sottoposto il bilancio del 1990 della Federconsorzi per la firma lei, in assenza del Ministro, rifiutò di farlo; riferì successivamente questo fatto in sede politica?

NOCI. Non firmai il bilancio per due ragioni. In primo luogo, perché onestamente ero Sottosegretario, quindi gerarchicamente spettava al Ministro farlo e quest’ultimo, dopo due giorni, sarebbe arrivato; non stava cioè via per molto. In secondo luogo, se permettete, questa scelta fu dovuta ad un mio limite di carattere politico e culturale: non ho mai amato quel mondo. Da quel che sapevo per quanto appariva sui giornali e per quel poco che conoscevo non era la gestione migliore del mondo; perché mai io, che avevo la delega, avrei dovuto firmare quel bilancio, quando dal punto di vista gerarchico toccava al Ministro? Scusatemi la franchezza, ma è così. Non ero ben predisposto. Comunque, anche se fosse stato un bilancio molto migliore c’era questo limite.

PRESIDENTE. La nomina di Locatelli da parte del Psi fu per caso fatta al fine di verificare dei sospetti che potevano portare a non sottoscrivere il bilancio?

NOCI. Questo non lo so. Naturalmente Goria mi fece sapere che venivano nominati questi tre commissari, ma a me personalmente non ha mai detto che il dottor Locatelli era di espressione socialista. Lessi dopo dai giornali che uno dei tre commissari era stato indicato dai socialisti.

Ne chiesi ragione all’onorevole Amato, allora vice segretario del Partito socialista italiano. Egli mi disse che poteva anche essere così, ma comunque non erano passati da lui. Chiesi ragione di questo perché lo appresi dai giornali.

MANCUSO. Onorevole Noci, le chiedo la cortesia di spiegarmi le ragioni per cui lei ritiene non finanziariamente ma giuridicamente anomala o comunque perdente l’alienazione della Polenghi Lombardo. Lei mi ha fatto capire che si trattava di una procedura giudiziaria, perché ha citato la competenza del tribunale di Milano in questa attività. Era dunque una procedura giudiziaria quella che portò all’esitazione di quest’azienda? Ovvero lei non ha ben chiara la competenza giurisdizionale in materia di alienazione di beni patrimoniali?

NOCI. Non sono un giurista.

MANCUSO. Però lei ha detto che l’alienazione è avvenuta a cura del tribunale di Milano ed ha accennato ad alcune fasi, attraverso cui è avvenuta questa alienazione, che sono tipiche della procedura fallimentare (la fissazione del prezzo e l’eventuale incremento del prezzo medesimo a seguito d’asta).

Quindi, per cortesia, può ricostruire alla Commissione le ragioni giuridiche – quelle economiche sono intuitive – per le quali l’alienazione di questa azienda sarebbe stata anomala, tale da essere considerata complessivamente negativa? NOCI. Se si aspetta da me che affronti questioni giuridiche, le assicuro la mia grande ignoranza in materia. Mi limito ad affermare che, nel momento in cui si vuole far valutare tutto il pacchetto Federconsorzi perché possa essere messo sul mercato, se si comincia ad alienare un pezzo tra i più pregiati, è chiaro che poi il pacchetto nell’insieme ne risente. Il modo di procedere mi sembrava anomalo solo per una valutazione di questa natura. Era già stato sentito un certo banchiere per arrivare ad un’offerta, quindi non ho capito perché sia partita subito la gara d’asta. Mi limito a fare questa considerazione.

MANCUSO. Sono convinto della ragionevolezza delle sue osservazioni, cioè che un bene, depauperato nel suo cespite, nel complesso ne risente.

NOCI. La valutazione è solo questa, non un’altra.

MANCUSO. Però lei ha indicato che questa anomalia e questa dannosità complessiva dell’operazione è avvenuta nell’ambito di quella che ha fatto intendere essere una procedura di liquidazione giudiziaria, sarà stata una liquidazione concorsuale, un fallimento o un altro procedimento. Giacché la sua valutazione riguarda anche questo particolare aspetto che non conosco, cioè una procedura governata da un ufficio giudiziario la quale avviene con quelle modalità pregiudizievoli, le rinnovo la domanda: quali sono le sue cognizioni in ordine alle modalità e all’essenza di questa liquidazione? Come è avvenuta? Sicuramente non a trattativa privata.

NOCI. No, è stata messa all’asta.

MANCUSO. Ma all’asta in che senso?

NOCI. Sono ignorante in materia. È stata messa all’asta con una valutazione…

MANCUSO. Lei ha parlato del tribunale di Milano.

NOCI. Sì, se non vado sbagliato. Mi sembra che fosse 158 miliardi…

MANCUSO. Questa era la valutazione di partenza.

Presidente, se lei vuole desisto, però penso che sia doveroso domandarsi come il tribunale di Milano può essere intervenuto in questa materia, cioè se in sede preventiva, in sede di dichiarazione di fallimento, in sede di concordato o in sede di esecuzione immobiliare.

NOCI. Questo non glielo so dire, sono ignorante in materia.

MANCUSO. Qui non si tratta di essere ignoranti, si tratta di sapere fatti su cui lei si è intrattenuto.

NOCI. Io mi sono intrattenuto non sulla forma, ma sulla sostanza. Potrà anche essere una mia grandissima lacuna, ma a me era questo che interessava.

Mi sono limitato a dire che si trattava di un bene sicuramente di valore molto più elevato di quello per cui è stato messo all’asta e ho considerato che ben due aste sono andate deserte.

MANCUSO. Questo è ciò che normalmente avviene in una trattativa malriuscita sul piano privato, in una operazione fallimentare non coronata da successo. Cioè l’amministrazione è costretta a vendere quasi in perdita, il che avviene…

PRESIDENTE. Usualmente.

MANCUSO. Ora mi sono fissato sul fatto che quest’anomalia sarebbe avvenuta nel corso di una procedura sotto…

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Mancuso, diversamente da lei io ho compreso che l’osservazione dell’onorevole Noci era che fosse proprio il sistema a consentire questa forma di depauperamento del valore della Polenghi Lombardo, pur rispettandosi le procedure. Se non ho capito male, l’onorevole Noci era sorpreso del fatto che nessun operatore del sistema economico si fosse interessato di partecipare all’asta per la vendita della Polenghi Lombardo, a fronte di un prezzo piuttosto basso, di circa 50 miliardi - al quale è stata poi venduta -, e considerando il valore stimato di tale azienda, pari invece a circa 300 miliardi, tanto che egli ipotizzava l’esistenza di qualche accordo; ma non c’entra niente la regolarità della procedura.

NOCI. Difatti.

MANCUSO. Ma io mi chiedo: qual è stata la procedura che ha avuto tale esito infelice? Di che cosa parliamo, di una procedura di liquidazione fallimentare?

PRESIDENTE. Parliamo di una procedura di amministrazione controllata.

MANCUSO. Mi scusi, io lo avevo intuito; sarebbe stato lo stesso se mi avesse detto che si trattava di una vera e propria procedura di liquidazione fallimentare. Siccome nell’un caso e nell’altro il governo di questa procedura è giudiziale, tant’è che è stato citato il tribunale di Milano, l’illazione che in una procedura così governata siano intervenuti addirittura fatti di alterazione della par condicio mi sembra che dobbiamo prenderla in considerazione, ma questa dovrebbe essere ben motivata al di fuori delle intuizioni. Vi sarebbe cioè una procedura di liquidazione governata dal tribunale di Milano nella quale si è inserita la causa invalidante di un reato; ma questo lo si afferma senza disporre di prove.

NOCI. Attenzione, onorevole Mancuso; io mi sono limitato ad affermare, e ne assumo tutte le responsabilità, che allora sembrò piuttosto strano che, esistendo 5-6 operatori di grande livello in Italia nel settore agricolo-alimentare, sia andata per due volte deserta una gara d’asta di questo tipo, fino a far precipitare il prezzo a 55 miliardi. Questa è una affermazione di cui mi assumo la responsabilità. Certo, magari il magistrato non lo sapeva, ci mancherebbe; ma come mai in un momento come quello, con lo scioglimento della Federconsorzi e l’attesa per una proposta di acquisto, dopo che era stata indetta una gara d’asta, sicuramente in modo legittimo, e pur in presenza di 4-5 imprenditori agricolo-alimentari, non solo di Roma ma anche delle mie parti, le prime due sessioni andarono deserte? Vorrei ricordare che i giornali finanziari dell’epoca fissarono il prezzo della Polenghi Lombardo ad un livello quasi doppio di quello stabilito dall’asta.

PRESIDENTE. Su questo credo che il tribunale di Perugia potrà dire la sua; credo infatti che ci sia un rinvio a giudizio di cui vedremo poi gli esiti.

MANCUSO. Mi perdoni, Presidente, non torno a insistere, ho capito benissimo che nell’intendimento del nostro ospite la sua valutazione economica o politica si è sovrapposta alla sua non perfetta conoscenza delle garanzie che una procedura giudiziaria di questo genere comunque fornisce. Ci tengo che questo aspetto sia ben presente a noi tutti.

PRESIDENTE. Su questo non credo vi siano dubbi.

MAGNALBO’. Signor Presidente, riferendomi a quanto affermato dall’onorevole circa il fatto che non intendeva firmare il bilancio, vorrei sapere chi consultò per valutare quest’ultimo.

NOCI. Non consultai nessuno. A tal proposito devo farvi presente una questione che a voi potrà dire poco ma che per me significa molto. Dopo una settimana che ero Sottosegretario non avevo ancora le deleghe. Avevo un buon rapporto con il ministro Goria e legavo abbastanza con lui, perché quando egli era Ministro del tesoro io ero il Capogruppo socialista nella Commissione bilancio del Senato (da ex metalmeccanico mi avevano mandato lì). Per cui mi aspettavo che, dopo la sua nomina a Ministro, mi dessero le deleghe che spettavano tradizionalmente al rappresentante socialista nel Ministero dell’agricoltura. Parlai con Fabio Fabbri, che era stato Sottosegretario prima di me in tale Ministero e che poi divenne anche Ministro della difesa, e lui mi fece avere una copia del documento contenente le deleghe che a suo tempo, nel 1982, gli erano state conferite. Goria venne a Cremona, nella mia provincia, dopo dieci giorni che io ero stato nominato Sottosegretario. Poiché non avevo ancora le deleghe, quando mi fu chiesto di intervenire ad un convegno sull’agricoltura, siccome il presidente dell’associazione agricoltori della mia provincia mi aveva detto che si aspettava qualcosa da me, in quanto ero un cremonese, anche se non della sua parte politica, risposi che ci si doveva aspettare poco perché il Ministro non mi aveva dato neanche una delega (il mio carattere è stato sempre aggressivo e poco diplomatico). Fui molto chiaro e dissi che a livello nazionale un altro Sottosegretario stava pressando il Ministro perché "spaccasse" le mie deleghe: sostenni cioè che, o mi davano le deleghe che spettavano ai socialisti, tradizionalmente parlando, o dovevano dimostrare che io ero un subnormale e allora tanto valeva che non facessi il Sottosegretario. Si viveva un clima di quella natura quando sul tavolo, il 16 maggio, giunse quel bilancio. Si era preferito "brontolare". Non ero nelle condizioni; in primo luogo la firma spettava al Ministro, toccava a lui; in secondo luogo, non ero onestamente ben predisposto nei confronti della Federconsorzi, sbagliando, per l’amor di Dio.

PRESIDENTE. Tutto ciò attiene alla forma ma, riguardo ai contenuti del bilancio, le fu riferito o ebbe dei sospetti che fosse non veritiero in alcune parti.

NOCI. Non consultai nessuno.

PRESIDENTE. Quindi, non entrò nel merito; non firmò semplicemente per le questioni di forma che lei ora ci ha rassegnato.

NOCI. Esatto. Non entrai nel merito del problema. Seppi solo dopo qualcosa, prima no.

OCCHIONERO. Signor Presidente, adesso non ricordo in quale libro che ho letto in queste settimane c’è scritto che quando si parlò di commissariare la Federconsorzi vi furono due riunioni presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Onorevole Noci, lei le deleghe a quel tempo le aveva e rappresentava all’interno del Ministero dell’agricoltura la componente socialista. Alla seconda riunione, che si tenne nella stanza attigua a quella del Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre a quella del Ministro vi fu un’altra presenza socialista; si parlò di una sua presenza a livello informale per quanto riguardava le questioni successive al commissariamento.

NOCI. Le assicuro, onorevole, che io non c’ero affatto e che non sono a conoscenza di quanto lei mi ha chiesto. Non sapevo nemmeno quanto poi appresi dai giornali e cioè che il dottor Locatelli fosse stato proposto da parte socialista come commissario. Chiesi notizie al riguardo all’onorevole Amato, allora vice segretario del partito socialista; lui mi rispose che poteva anche essere, ma che sicuramente lui non era stato consultato. Mi fermai lì, perché poi avrebbe significato fare dietrologia (ormai c’ero). Non sono a conoscenza di questo fatto, anche se non lo escludo.

OCCHIONERO. Dalla sua valutazione si evince che quando dopo il congresso di Chianciano la Coldiretti, al di la’ dell’autonomia dall’organizzazione, presentò il progetto "Aquila" per 24.000 miliardi, Avolio, anche se sostanzialmente non era d’accordo, guardò con simpatia al progetto di rilancio dell’agricoltura. All’interno del mondo cooperativo, ma anche del mondo parlamentare e politico, erano invece tutti sostanzialmente contrari; ciò emerge anche dalle valutazioni che lei ha fatto sul problema di un’agricoltura assistita, che continuava nella piccola proprietà, nella proprietà familiare eccetera.

Lei afferma che Goria, giustamente, non avrebbe potuto decidere da solo; questo significa che all’interno della Democrazia cristiana la stragrande maggioranza del gruppo dirigente della segreteria nazionale era d’accordo per smantellare quel processo?

NOCI. Presumo di sì. La questione era troppo grossa per essere affidata ad un Ministro, sia pur nobile, nonché ex Presidente del Consiglio, come Goria; troppo grande per una persona sola.

OCCHIONERO. Secondo lei questo accordo derivò dalle continue e assillanti richieste della Coldiretti oppure da una valutazione politica circa il fatto che quel "baraccone" doveva essere smantellato perché la Coldiretti dava fastidio?

NOCI. Questo potete saperlo voi meglio di me, che oggi siete "in trincea"; io non lo sono più. Quando una lobby - la definisco tale, ma non in senso offensivo, per l’amor di Dio - esiste in un grande partito e ha una sua rappresentanza parlamentare, questa è ben voluta nella misura in cui non chiede tantissimo e porta un bel po’ di consenso. Quando il consenso va in crisi e le richieste aumentano, allora si è portati a pensare che forse questo "pane" costa troppo.

Nel 1990 la Coldiretti non era più quella degli anni ’70 o dei primi anni ’80, aveva subìto anche sul campo di battaglia non poche perdite. Ad esempio, la questione delle quote latte gli aveva fatto perdere tantissime simpatie, mi riferisco al centro-nord; ne posso parlare anche con cognizione di causa, perché vivendo in Valpadana ho rapporti con diversi coltivatori diretti che sono stati democristiani. Cioè, le quote latte, firmate nel 1984 dall’allora ministro Pandolfi - con Bettino Craxi alla Presidenza del Consiglio - non incontrarono le esigenze dei nostri coltivatori. Vi rubo un attimo di tempo per far capire quale era il clima in cui si lavorava. Vi fu una grandissima polemica con l’associazione nazionale che riunisce i produttori di latte (Unalat), la quale avrebbe fornito a Pandolfi cifre false. Quelle cifre erano più legate al vero fatturato dei produttori di latte. Parliamoci chiaro, qualcuno non dichiarava nemmeno il 50 per cento di quanto produceva; prima, pagare le tasse era quasi un peccato. Quella dichiarazione relativa alle quote latte servì perloppiù per l’ufficio imposte che non a un Ministro che doveva recarsi a Bruxelles per fare "a secchiate di latte" con i Ministri degli altri Stati. Già allora, pur dichiarandosi circa 84 milioni di tonnellate di latte, si ipotizzava che la produzione si attestasse invece intorno ai 100 milioni di tonnellate. Poi, naturalmente, iniziò in Italia una "guerra tra poveri"; non essendo soddisfatti di quanto si portava a casa da Bruxelles si iniziò a dire, ad esempio, che il Ministro tal dei tali aveva favorito le mucche che non ci sono al Sud o che un altro Ministro del Nord aveva fatto gli affari suoi. Non voglio entrare nel merito, però vi prego di capire che, lavorando in un ambiente di tale confusione, ed essendone condizionata, la Coldiretti perse moltissimi colpi dal 1984 al 1990-1991.

Per cui un partito che doveva avere una lobby che costava e basta rispetto a quanto rendeva avrà fatto i suoi "conticini", presumo. Non dico la mia opinione, era così.

RUBINO Paolo. Onorevole Noci, lei è intervenuto più volte scusandosi per la sua franchezza. Credo però che è quello di cui c’è bisogno. Gradirei anzi che fosse ancora più schietto, perché nel suo discorso alcune cose non mi quadrano.

Lei dice che non è un economista, né un giurista, che questo settore dell’agricoltura non le piaceva molto, che era mal predisposto verso di esso, eppure stranamente, di fronte ad una questione così complicata (che noi abbiamo conosciuto a posteriori, anche se sulla Federconsorzi prima si era già scritto), lei non solo non firma la relazione sul bilancio della Federconsorzi, ma avverte anche Goria che, firmandola, rischia di ustionarsi le dita, secondo quanto dichiara Lobianco nel suo libro, riferendo una sua affermazione. In sostanza, lei dà consigli ad un Ministro.

NOCI. Non ho letto quel libro, sono curioso di leggerlo. Comunque non sono mai stato un estimatore di Lobianco.

RUBINO Paolo. Di fatto, però, lei non firma la relazione; ciò significa che lei doveva avere le idee chiare sulla faccenda per dare anche dei consigli ad un Ministro. Allora, se aveva le idee chiare (altrimenti non si spiega per quale ragione si sia comportato in quel modo), forse adesso potrebbe aiutare anche noi a capire un po’ meglio tutta la questione.

L’impressione che ne ricavo è che questa vicenda è andata avanti per una lotta di potere tra schieramenti. Forse non avevano calcolato i danni e quindi hanno usato la clava: il PSI verso la DC per reclamare il suo ruolo (la DC non gli dava le deleghe e allora sollevava polemiche pubblicamente) e, all’interno della DC, la vecchia e la nuova agricoltura tra di loro, cioè tra coloro che pensavano ad una agricoltura assistita e coloro che pensavano ad una agricoltura moderna, forse non calcolando quello che poi sarebbe venuto fuori. Ma questa è una valutazione politica.

Rispetto al suo intervento, non mi quadra questa rappresentazione di chi non conosce la situazione ma che poi, al momento opportuno, dimostra di conoscerla meglio degli altri, tanto da consigliare al Ministro di non firmare.

NOCI. Se può servire, le assicuro che non ero – e non lo sono ancora – a conoscenza di alcunché del bilancio della Federconsorzi (l’ho detto che era un mio limite). Sapevo solo di una certa prevenzione nei confronti della gestione della Federconsorzi.

Ero parlamentare dal 1979. Non sono mai stato un imprenditore agricolo, però vivo in una cittadina lombarda, nella provincia di Cremona, dove ancora oggi il 72 per cento dell’economia si fonda sull’agricoltura. Quindi in qualche modo, sia pure a livello di autodidatta, conoscevo un po’ il mondo agricolo; sentivo i coltivatori parlare e avevo rapporti con il direttore del consorzio agrario della mia provincia. Così venni a sapere che l’unico consorzio agrario in Italia che aveva una lira in attivo nel bilancio era quello della provincia di Cremona, che quello di Reggio Emilia – che volevano chiudere – aveva 125 miliardi di debiti, che quello di Ferrara aveva oltre 100 miliardi di debiti, che quello di Vibo Valentia neanche l’avevano finito, che quello dell’Irpinia costava "l’ira di Dio" e dentro c’erano 90 persone che non sapevano cosa fare con due foglie di tabacco.

Dopo essere venuto a conoscenza di certe situazioni (e badate che non ero ancora Sottosegretario, ero un parlamentare come voi, curioso di sapere le cose), come facevo ad essere ben predisposto nei confronti di quella gestione? La mia minima avversione non si basava sui fumetti, ma su una conoscenza di come giravano le cose in quel mondo, pur non essendo un tecnico, un giurista o un economista. Il consorzio agrario di Modena aveva un deficit di 90 miliardi, quello di Como aveva un deficit di tre miliardi e volevano ripianarlo vendendo la Centrale del latte. Soltanto che la Centrale del latte valeva dieci miliardi e quindi era assurdo vendere un bene di quel valore per ripianare un debito di tre miliardi. C’erano situazioni di questo tipo e non erano cose da poco.

Ci si accorgeva che la Coldiretti perdeva consenso. Le critiche venivano dagli stessi adepti di quel mondo più che dall’esterno, cioè dai piccoli imprenditori e dai dirigenti della Coldiretti che lavoravano sul territorio, i quali provavano tutti i giorni cosa significava essere portatori di un tipo di politica economica assistenziale rispetto a un mondo che andava avanti, mentre loro erano in controtendenza. Come si fa ad assicurare un imprenditore con quaranta mucche? Come farà costui a guadagnare alla fine dell’anno? Dovrebbe vendere il latte a 3.000 lire al litro per guadagnarci qualcosa. Con quaranta mucche non si riesce neanche a pagare il veterinario alla fine del mese, perché le mucche che producono latte sono come le Ferrari da collezione, costano, perciò bisogna averne almeno un centinaio per essere minimamente presenti sul mercato.

Il mondo agricolo, invece, era tutto frastagliato a quel tempo. Le assicuro, onorevole, che non conoscevo minimamente le cifre, si trattava solo di una brutta predisposizione. Ho pensato che quel bilancio dovesse firmarlo il Ministro, non io. Mi sembrava anche giusto: è il professore, non il bidello, a trarre le conseguenze.

PRESIDENTE. Vorrei leggerle un brano di una intervista di Lobianco rilasciata ad Antonio Saltini e pubblicata nel libro "Un progetto per l’agricoltura": "Amante dei piaceri della vita non meno che dei doveri della politica, Giovanni Goria, da Presidente del Consiglio declassato Ministro dell’agricoltura, è in ferie; al suo posto siede, provvisoriamente, Maurizio Noci, socialista, che Craxi è riuscito ad insediare, col titolo di Sottosegretario, nel Ministero da sempre costituente la città proibita dei riti democristiani. Noci, che ha alle spalle un mandato analogo alle Finanze, legge la relazione, concepisce qualche sospetto, pretende copia del bilancio, ha conferma dei sospetti, invia i due documenti a tecnici di sicura fiducia al Ministero che si affaccia sul lato opposto di via Venti Settembre, gli viene riferito che sarebbero un caleidoscopio di irregolarità. Il Sottosegretario non firma e, al ritorno del Ministro, lo convince che firmare quella relazione comporta il rischio di ustionare le dita".

Questa ricostruzione è poco veritiera rispetto alle cose che lei ci ha detto. Infatti, lei ha affermato che nelle questioni del bilancio non ci è voluto entrare.

NOCI. Presidente, se fosse vero quello che ha detto Lobianco, chi le parla non sarebbe un parlamentare pensionato dal 1992. Nella mia vita non ho mai avuto neanche un decimo dell’importanza che egli mi attribuisce. Le pare possibile che un Sottosegretario raccomandi a Giovani Goria, anche se in un rapporto amicale, di non firmare perché c’è del marcio? Allora forse consideravo Giovanni Goria un sottosviluppato mentale? È mai possibile che una persona che ha fatto per cinque anni il Ministro del tesoro (quando andava a suonare i campanelli per farsi pagare le cambiali agricole) e che è stato Presidente del Consiglio (magari non il migliore del mondo, ma con tanta nobiltà) aspetti che un Sottosegretario gli dica cosa c’è dentro un bilancio come quello della Federconsorzi?

Non ci fosse stata la legge n. 180, non si sarebbe lasciato in libertà uno che fa certe affermazioni! Lo ringrazio per l’importanza che mi dà, ma non mi permetterei mai di comportarmi così. Anzi, se me lo fossi permesso, sarei stato della sua levatura morale, ma per fortuna non lo ero e non lo sono. Magari la storia dicesse che Noci ha fatto scoppiare la Federconsorzi, avrei un titolo di merito. Ma ce l’ho ugualmente, quello di vivere con correttezza e con rispetto. Ma cosa va a dire quell’uomo lì! Non ero a conoscenza di quelle cose, non scherziamo.

PRESIDENTE. Ho voluto leggerlo testualmente perché non fosse considerata una mia interpretazione.

In base alla documentazione in nostro possesso sembra che il PSI, in quella prima fase successiva al commissariamento, premesse per la liquidazione coatta amministrativa. Le risulta?

NOCI. Dopo la mancata firma del bilancio della Federconsorzi scoppiò la polemica sollevata da Lobianco e da qualcuno dei suoi. Oso dire che non tutti lo seguirono, anzi la maggior parte; era lui che sbraitava in piazze e piazzette anche quando non c’era nessuno che lo ascoltava e si capiva che quella polemica era un atto dovuto. Giustamente, però, la preoccupazione c’era. Avevamo di fronte a noi un patrimonio che era stato costituito e realizzato con il danaro pubblico; non era possibile assistere in modo indecoroso alla sua divisione e distruzione in mille pezzi. Quindi, la preoccupazione esisteva.

Vi assicuro poi che non so cosa potevano dirsi i partiti ad alto livello, pur essendo a quel tempo amico di Giuliano Amato e avendo dei rapporti con Bettino Craxi che – vi assicuro – non sapeva niente. Sono andato a trovarlo quattro volte ad Hammamet, eravamo amici da trent’anni e so che mai gli è venuto in mente qualcosa riguardo a questa vicenda, di cui è venuto a conoscenza Amato solo quando è scoppiata.

Vi assicuro che in casa socialista non c’era preparazione. Se vi fosse stato un problema nell’ambito del Ministero delle partecipazioni statali, nel settore industriale, si sarebbe saputo. Persone come De Michelis in qualche modo avevano creato una cultura in casa socialista e anche all’interno del Ministero delle partecipazioni statali esistevano dei referenti. Infatti, De Michelis, in qualità di Ministro, collocava uomini ovunque perché facessero cultura e rappresentassero punti di riferimento; in quel modo era possibile venire a conoscenza dei casi che sarebbero scoppiati.

Nel mondo dell’agricoltura i socialisti erano gli ultimi a sapere e venivano messi al corrente dei fatti solo quando erano già avvenuti. Non si sapeva nulla, nel modo più assoluto. Sono sempre stati tenuti distanti; il sottoscritto non aveva assolutamente il potere di compiere sfracelli ma solo quello di svolgere con dignità il proprio mestiere, compito al quale mi auguro di avere adempiuto con professionalità.

Nel Ministero dell’agricoltura i socialisti non avevano assolutamente alcuna voce in capitolo e quando su determinati temi si tentava di dar voce alla propria parte politica si veniva subito messi a tacere. Bisognava stare attenti a come ci si comportava; certo, il politico mostrava sempre un viso ufficiale, da amico, mentre dietro aveva i giannizzeri in divisa. Era una battaglia. I socialisti – ripeto – nel mondo dell’imprenditoria, all’interno del Ministero dell’agricoltura, contavano pochissimo; quando è cessata la mia carica magari non contavano molto di più ma quanto meno hanno fatto sentire la loro voce. PRESIDENTE. Sembra che la posizione dell’onorevole Fabbri fosse ostativa al concordato preventivo e favorisse invece la liquidazione coatta amministrativa. Allora si diceva che questa posizione intendesse far emergere le responsabilità. C’era questa battaglia? NOCI. Questa battaglia c’è stata.

Molte volte mi si è permesso di fare affermazioni che magari non erano ben accolte da nessuno. Si è sempre d’accordo nel perseguire certe responsabilità e quando queste sono personali vanno perseguite; vi prego però di comprendere che spesso, nella convinzione di far pagare chi ha sbagliato, si finisce per incolpare chi non conta nulla lasciando impunito il responsabile.

Nella Federconsorzi il presidente Scotti era tra coloro che meno erano al corrente dei fatti; veniva chiamato bonariamente "Piero Firma", cioè il grullo che firma quello che preparano gli altri. Nel mondo della giustizia Scotti, solo perché firmava, sarebbe stato sicuramente lapidato vivo. Perché dare a lui queste responsabilità? Io ho conosciuto poco il presidente Scotti ma era chiaro che non era lui a compiere le scelte; contava il presidente della Coldiretti che premeva in un senso, contava il presidente dei consorzio agrario di Ferrara che premeva in un altro e, perché così magari in quel collegio era più facile prendere voti, poteva presentarsi chiunque altro con un’altra carica e sarebbe stato accontentato anche lui. Scotti firmava la sintesi di queste volontà.

OCCHIONERO. Per quante legislature ha fatto il parlamentare?

NOCI. Due al Senato della Repubblica e una alla Camera dei deputati. Ho fatto parte del Senato dal 1979 al 1987 e della Camera dei deputati fino al 1992.

OCCHIONERO. Lei, quindi, ha vissuto l’epoca in cui Fabbri era Ministro per i rapporti con il Parlamento.

NOCI. Ero amico di Fabbri che è stato anche mio Capogruppo prima di diventare Ministro per i rapporti con le regioni e poi con il Parlamento.

OCCHIONERO. Pertanto, lei ha vissuto la fase in cui è stata discussa la manovra finanziaria nella quale si prevedeva un capitolo di spesa di 1.000 miliardi per i consorzi agrari. Fabbri è intervenuto dopo che l’onorevole Giuseppe Avolio gli inviò una lettera in cui si diceva che quella manovra era uno sconcio.

NOCI. Questi particolari non li conosco.

OCCHIONERO. Lei però sa che in discussione al Senato c’era una manovra finanziaria che conteneva un capitolo di spesa per i consorzi agrari ammontante a 1.000 miliardi, capitolo che, a seguito di una lettera scritta da Fabbri al Presidente del Consiglio, fu cancellato.

NOCI. Si dovrebbe trattare del secondo Governo Cossiga, prima ancora di quello Forlani. Fabbri era Capogruppo dei socialisti a quell’epoca.

OCCHIONERO. Fabbri, quindi, era Capogruppo dei socialisti e suo amico.

Credo che quando si discute di una legge finanziaria la consuetudine dei Gruppi parlamentari richieda che ci si riunisca per scambi di informazione.

Un capitolo di spesa della legge di bilancio del 1979-1980 per un ammontare di 1.000 miliardi sarà stato discusso e non fu qualcosa che passò sopra le vostre teste senza che fosse per voi possibile capirne il significato. Ci fu anche un contrasto con la DC.

NOCI. Ero membro della Commissione affari costituzionali ed essendo uno dei più giovani senatori - avevo poco più di quarant’anni - ero sempre tra i "soldatini" pronti a tappare i buchi in tutte le Commissioni.

I socialisti, per la verità, molte volte nelle Commissioni brillavano più per la loro assenza che per la loro presenza. Chiesi allora di essere spostato dalla Commissione affari costituzionali alla Commissione industria o alla Commissione agricoltura, perché le sentivo più vicine e il presidente Cippellini mi mandò in Commissione bilancio. Arrivai in questa Commissione con il primo governo Forlani; se non erro era la fine del 1981, inizio 1982, perché poi subentrò il governo Spadolini. Quella vicenda cui lei fa riferimento le assicuro che non l’ho vissuta, altrimenti la ricorderei molto bene.

Mi ricordo anche quando arrivò Rigo, ma ciò avvenne successivamente. RUBINO Paolo. Signor Presidente, voglio dire con molta chiarezza che non mi ha convinto il modo di ragionare del nostro ospite, innanzi tutto perché non dobbiamo fare un congresso da ex socialisti per dividere i buoni dai cattivi, non ci interessa; in secondo luogo, perché non mi convince il suo argomentare. E’ vero che la Democrazia cristiana fino agli anni ’90 aveva fatto del Ministero dell’agricoltura un suo feudo, ma non mi convince quanto lei afferma, cioè che noi come socialisti non contavamo nulla in quella sede, quando conosciamo il peso, il potere e la capacità di determinazione dei socialisti, che arrivarono ad avere la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per una questione così conosciuta dal punto di vista politico - lasciamo stare il punto di vista giudiziario -, per una vicenda che ha segnato la storia d’Italia voi non avete sentito il dovere di porre l’esigenza di fare chiarezza e avete invece utilizzato il meccanismo del rifiuto della firma per fare venir fuori il problema; se lei sostiene che in quella sede non contavate nulla io a questa "favola metropolitana" non ci credo. Lei, che aveva colto nella sua città e in tutta Italia molte lamentazioni in merito, aveva il dovere di porre in sede politica il problema; non stiamo parlando di una cooperativa di Canicattì ma di una delle più grandi strutture economiche d’Italia. NOCI. La invito a leggere - se può, ma forse sarebbe una perdita di tempo - gli atti delle Commissioni agricoltura della Camera dei deputati e del Senato dai quali potrà vedere che a quei tempi sulle questioni della Federconsorzi fui molto chiaro anche in termini politici. I Presidenti di queste Commissioni erano espressione della Coldiretti. Il Presidente della Commissione agricoltura della Camera, l’onorevole Campagnoli, era di Pavia, quello della Commissione agricoltura del Senato era di Parma. Ricordo che fummo invitati a partecipare alla festa nazionale dell’Unità a Reggio Emilia e che in quella sede io sembravo un estremista, quasi che Capanna fosse un chierico; mi trovai di fronte a tutto un mondo e capii allora cosa voleva dire "compromesso storico". Sembravo il "Pierino" della situazione; io criticavo la vecchia gestione della Coldiretti ma gli altri la difendevano "con i denti". Potrò essere smentito però vi assicuro che l’atteggiamento era questo; eccetto l’onorevole Nardone, responsabile dell’agricoltura del Partito comunista prima e del Pds poi (che adesso non è più parlamentare perché è stato eletto Presidente della provincia di Benevento), il quale, pur se molte volte era d’accordo con me, in quella occasione dovette prendere un po’ le distanze perché gli sembravo forse troppo estremista. Non eravamo alla festa della parrocchia ma alla festa dell’Unità di Reggio Emilia del 1992.

RUBINO Paolo. Nardone era parlamentare di un partito di opposizione, lei era parlamentare di un partito di Governo; aveva quindi il dovere di utilizzare gli strumenti di governo di cui il suo partito disponeva, prima di andare in piazza a fare delle denunce o a fare il "Pierino". Un uomo coerente di Governo compie gli atti parlamentari di sua competenza.

NOCI. Può darsi che lei abbia ragione, però se devo fare il "Pierino" lo lasci valutare a me.

CHIUSOLI. Onorevole Noci, ho anch’io molti dubbi sul fatto che i socialisti non contassero nulla in quel settore, considerando gli uomini che avevano dislocati dappertutto, da Avolio a Bernardini. Comunque, la sua lettura è la seguente: la vicenda è da ricondurre ad una guerra tra bande nella Democrazia cristiana. Questo posso anche condividerlo.

NOCI. Non ho detto questo.

CHIUSOLI. E’ una mia interpretazione. Io però le vorrei fare una domanda molto semplice alla quale chiederei di darmi, se possibile, una risposta argomentata. Secondo la sua lettura, gli atti alla base del comportamento del ministro Goria erano contro Lobianco o a suo favore? E perché?

NOCI. Faccio una piccolissima premessa; forse vi aspettavate troppo da me considerando quanto ha detto Lobianco. Mi sembra proprio che nella Democrazia cristiana si fosse consenzienti ad una fuoriuscita dalla questione della Federconsorzi, non firmando il bilancio e compiendo gli atti conseguenti; non credo che ciò piacesse a Lobianco ma che egli l’abbia subìto.

CHIUSOLI. Ma lei prima ha parlato di un possibile gioco delle parti.

NOCI. Sì ma lui sapeva, ne era a conoscenza; non poteva non esserlo. Non si può snobbare un gruppo di 35 parlamentari (perché allora tanti erano i deputati e i senatori di espressione della Coldiretti) sia pure in un partito grande come la Democrazia cristiana; non mi sembra proprio.

CHIUSOLI. Onorevole Noci, non ci meravigliamo più di niente. Il Presidente del Consiglio dell’epoca ci ha detto che il Consiglio dei Ministri non si è mai occupato di questa vicenda. Secondo lei è credibile che ciò sia avvenuto?

NOCI. Posso dirle cosa penso al riguardo. Se il Consiglio dei Ministri avesse discusso di tale questione, chi vi parla, essendo legato da amicizia al vice presidente del consiglio Claudio Martelli, essendo questi eletto nella sua circoscrizione, lo avrebbe saputo. Se ne avessero parlato in sede di Consiglio dei Ministri, il Vice Presidente del Consiglio, che era a me legato da amicizia (ha voluto lui che facessi il Sottosegretario all’agricoltura, perché avevo rifiutato tre anni prima di fare il Sottosegretario al turismo e allo spettacolo, in quanto non mi sentivo adatto per quel mondo; inoltre, lui era stato eletto come "ospite" nella mia circoscrizione di Cremona-Mantova) mi avrebbe in qualche modo detto qualcosa.

Con riguardo al dottor Locatelli, io appresi solo dai giornali che questi era di ispirazione socialista, non lo sapevo prima.

CHIUSOLI. Non lo sapeva nemmeno Amato?

NOCI. Le ho già detto quanto mi riferì Amato.

PRESIDENTE. L’onorevole Noci ha già risposto a questa domanda.

MAGNALBO’. Onorevole, oltre ai contributi elettorali che la Federconsorzi elargiva, le risulta che da questo organismo, così semplice nei suoi bilanci, uscissero anche altri flussi finanziari per scopi diversi?

NOCI. Se avessi avuto le prove, le avrei usate diversamente e non ne parlerei oggi, ma l’avrei fatto all’epoca. Tuttavia, secondo me, si tratta non tanto dei consorzi agrari ma dei danni che vengono provocati usando male i consorzi stessi. Un consorzio agrario agisce secondo la sua ingegneria istituzionale - per esempio - con la cambiale agricola d’inverno; con il fare da agenzia nei confronti del coltivatore quando non ha ancora pronto il frutto; intervenendo su un determinato terreno attraverso la concessione di un credito agevolato al 5 per cento invece che al 9 per cento. In sostanza, se il consorzio agrario avesse risposto a tutti questi criteri, non ci sarebbero stati certi debiti.

Faccio un esempio: sono un direttore di banca e concedo ad un mio amico, che non ha soldi e per giunta ha il vizio di giocare a poker, un credito di 100 milioni, solo per il rapporto di amicizia che ci lega; ad un’altra persona che non conosco concedo i 100 milioni che mi chiede, ma gli ipoteco la casa: se posso minimizzare, questo esempio rappresenta il diverso comportamento che all’epoca veniva assunto. Ad alcune persone si aprivano le porte prima del loro arrivo, mentre ad altre si chiudevano in faccia (questo in termini figurati). In realtà anche economicamente solide, come mai i consorzi agrari fruttavano deficit non indifferenti?

MAGNALBO’. Le rivolgo, allora, la seguente domanda: secondo lei, i soldi venivano concessi per campagne elettorali degli onorevoli? NOCI. Le assicuro che fino a questo punto non ci arrivo.

PRESIDENTE. Con questa ultima affermazione dichiaro conclusa l’audizione. Ringrazio il signor Noci per la sua cortese disponibilità.

Informo i colleghi che la Commissione tornerà a riunirsi giovedì 24 febbraio 1999, alle ore 14, per procedere all’audizione del capo di Gabinetto dell’allora ministro dell’agricoltura Goria, dottor Riccardo Virgilio.

I lavori terminano alle ore 13,25.