Alice regina

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VIII X


"To’, questo è magnifico! — disse Alice, — non mi sarei mai aspettato d’essere Regina così presto... e vi dirò che cosa c’è, vostra Maestà, continuò in tono severo (ella a volte affettava di sgridare se stessa) — non è bene stare a trastullarsi a quel modo sull’erba. Le Regine debbono avere della dignità."

Si levò e si mise a passeggiare... con una certa rigidezza in principio, per timore che la corona le cascasse; ma si confortò al pensiero che in quel momento non c’era nessuno che la vedesse:

"E se io veramente sono Regina, — si disse sedendosi di nuovo sull’erba, — potrò in breve condurmi a dovere."

Ogni cosa accadeva così stranamente che non si sorprese affatto di trovarsi sedute accanto la Regina Rossa e la Regina Bianca, dall’uno e l’altro lato: avrebbe voluto domandare come fossero giunte colà, ma temè che non fosse buona educazione.

Però, non vi sarebbe stato alcun male, si disse, a domandare se il giuoco fosse finito.

— Per favore, volete dirmi... — cominciò, guardando timidamente la Regina Rossa.

— Parla quando ti s’interroga! — la interruppe bruscamente la Regina.

— Ma se tutti ubbidissero a questa regola, rispose Alice, che aveva sempre in serbo qualche ragione da dire, — e parlassero soltanto se interrogati, e gli altri li aspettassero per incominciare, nessuno direbbe mai nulla.

— Sciocchezze! — esclamò la Regina. — Non vedi, bambina... — qui s’interruppe, aggrottò le ciglia, e dopo aver pensato un istante, cambiò il soggetto della conversazione: — Che intendi col dire: "Se sei veramente una Regina?" Che diritto hai di chiamarti così? Tu non puoi essere Regina, sai, se non sostieni l’esame regolare. E più presto cominciamo, meglio sarà!

— Io dissi soltanto "se"... — si scusò la povera Alice con umile accento.

Le due Regine si guardarono, e la Regina Rossa osservò con un piccolo brivido:

— Essa dice di aver detto "se..."

— Ma essa disse molto più di questo! — geme la Regina Bianca, torcendosi le mani. — Oh quanto di più!

— È vero, sai, — disse la Regina Rossa ad Alice. — Di’ sempre la verità... pensa prima di parlare.... e poi mettilo in carta.

— Io certo non intendevo... — cominciò Alice, ma la Regina Rossa la interruppe impaziente:

— Ed è proprio questo che deploro! Tu avresti dovuto intendere. A che credi che serva una bambina che non intende?... Anche uno scherzo deve avere un intendimento... e una bambina è più importante d’uno scherzo, credo. Tu non potresti negarlo, anche se ti ci mettessi mani e piedi.

— Io non nego le cose con le mani e coi piedi, — obiettò Alice.

— Nessuno ha detto che lo hai fatto, — disse la Regina Rossa. — Ho detto che non potresti, se ti ci provassi.

— Essa è in una condizione di mente, — disse la Regina Bianca, — che ha bisogno di negar qualche cosa. O non sa che negare.

— Un brutto, odioso carattere, — osservò la Regina Rossa, e poi vi fu un silenzio imbarazzante per uno o due minuti.

La Regina Rossa ruppe il silenzio col dire alla Regina Bianca:

— Io t’invito al pranzo d’Alice per questo pomeriggio.

La Regina Bianca sorrise debolmente, e disse:

— E io invito te.

— Io non sapevo affatto di dover dare un pranzo, — disse Alice, — ma se ve n’è da essere uno, credo che dovrei invitare io gli ospiti.

— Noi ti abbiamo dato l’opportunità di farlo, — osservò la Regina Rossa, — ma io oso dire che tu non hai ancora avuto molte lezioni di buona maniera.

— Le buone maniere non s’insegnano con le lezioni, — disse Alice. — Le lezioni insegnano a fare le quattro operazioni e cose simili.

— Sai fare l’addizione? — chiese la Regina Bianca. — Quanto fa uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno?

— Non so, — disse Alice, — ho perduto il conto.

— Non sa fare l’addizione! — interruppe la Regina Rossa. — Sai fare la sottrazione? Togli nove da otto.

— Nove da otto, sapete, non si può, — rispose subito Alice, — ma...

— Non sa fare la sottrazione, — disse la Regina Bianca. — Sai fare la divisione? Dividi un pane con un coltello... Che hai?

— Io credo... — cominciò Alice.

Ma la Regina rispose per lei:

— Pane e burro, naturalmente. Prova a fare un’altra sottrazione. Togli un osso da un cane. Che rimane?

Alice, pensandovi un po’, rispose:

— L’osso non rimarrebbe se io lo prendessi... e il cane non rimarrebbe; mi morderebbe... e certo non rimarrei neanche io.

— Allora credi che non rimarrebbe nulla? — disse la Regina Rossa.

— Credo che la risposta sia questa.

— Male, come al solito, — disse la Regina Rossa, — rimarrebbe la bile del cane. 

— Ma io non veggo come...

— Ebbene, guarda, — gridò la Regina Rossa, — il cane avrebbe della bile, non è vero?

— Forse, — rispose cauta Alice.

— Allora, se il cane se n’andasse, la bile gli rimarrebbe! — esclamò la Regina con un accento trionfale.

Alice non potè fare a meno dal pensare: "Quante sciocchezze stiamo dicendo!"

— Essa non sa fare le quattro operazioni, — dissero insieme le due Regine con grande energia.

— E voi sapete le quattro operazioni? — disse Alice, volgendosi improvvisamente alla Regina Bianca, perchè non le piaceva di far così brutta figura.

La Regina chiuse gli occhi anelante:

— Posso fare l’addizione, — disse, — se mi dai tempo... ma non faccio sottrazioni in nessuna circostanza.

— Tu leggi l’abbicì, naturalmente, — disse la Regina Rossa.

— Sì, che lo leggo.

Anch’io, — mormorò la Regina Bianca. — Noi spesso lo diciamo insieme, cara? E ti dirò un segreto... so leggere le parole di una sola lettera. Che te ne pare? Però, non ti scoraggiare. Col tempo ci arriverai anche tu!

Qui cominciò di nuovo la Regina Rossa:

— Hai imparato le nozioni utili? — essa disse. — Come si fa il pane?

— Questo lo so! — disse subito Alice. — Si prende del fior di fa...

Dove cogli il fiore? — chiese la Regina Bianca. — In un giardino o nelle siepi?

— Ma non si coglie affatto. Si fa la pasta...

— Pasta reale o pasta sfoglia? — disse la Regina Bianca. — Quante cose dimentichi!

— Rinfrescale la testa col ventaglio, — interruppe ansiosamente la Regina Rossa. — Col pensare tanto, le verrà la febbre.

Così si misero a farle vento con mazzi di foglie, finchè essa dovè pregare che cessassero, chè le scompigliavano i capelli.

— Ora si sente bene, — disse la Regina Rossa. — Conosci le lingue? Come si dice in francese "Fiddle-de-di?"

— Fiddle-de-di, non è una parola italiana, — disse Alice con gravità.

— Chi mai ha detto che era italiano?

E Alice questa volta credè di vedere una via di scampo.

— Se mi direte di che lingua è "Fiddle-de-di" io vi dirò come si dice in francese! — ella esclamò trionfante.

Ma la Regina Rossa assunse un aspetto solenne, e disse:

— Le Regine non scendono mai a patti!

"Ma le Regine non dovrebbero mai fare domande", — disse fra sè Alice.

— Non ci far litigare, — disse la Regina Bianca con accento d’ansia. — Qual’è la causa del lampo?

— La causa del lampo, — disse risolutamente Alice, perchè era quasi certa di questo, — È il tuono... no, no! — si corresse in fretta... — volevo dire viceversa...

— È troppo tardi per correggersi, — disse la Regina Rossa...: — quando hai detto una cosa, e così, e ne devi subire le conseguenze.

— Questo mi rammenta... — disse la Regina Bianca, abbassando gli occhi e intrecciandosi e sciogliendosi irrequietamente le dita... abbiamo avuto una tale tempesta martedì scorso. Voglio dire un martedì della scorsa serie.

Alice si mostrò confusa.

— Nel nostro paese, — notò, — c’è solo un giorno alla volta.

La Regina Rossa soggiunse:

— È un modo veramente miserabile di far le. cose. Qui invece, per la maggior parte, abbiamo giorni e notti a due e tre alla volta, e a volte nell’inverno ne abbiamo tanti come per cinque notti di fila... per il caldo.

— Cinque notti sono più calde di una notte, allora? — s’avventurò a chiedere Alice.

— Cinque volte più calde, naturalmente.

— Ma per la stessa ragione dovrebbero essere cinque volte più fredde...

— Appunto così, — gridò la Regina Rossa. Cinque volte più calde e cinque volte più fredde... appunto come io sono cinque volte più ricca di te e cinque volte più capace.

Alice sospirò, scoraggiata.

— È come un indovinello senza soluzione, essa pensava.

— Lo vide anche Unto Dunto, — continuò la Regina Bianca a voce bassa, quasi come se parlasse a se stessa. — Venne alla porta con un turacciolo in mano...

— E che voleva? — disse la Regina Rossa.

— Disse che voleva entrare, — continuò la Regina Bianca, — perchè cercava un ippopotamo. Ora, non ce n’era in casa quella mattina.

— Ordinariamente ce ne sono? — chiese Alice meravigliata.

— Sì, ma solo i giovedì, — disse la Regina.

— Lo so perchè venne, — disse Alice: senza dubbio voleva punire il pesce, perchè...

E ricominciò la Regina Bianca:

— Fu una tempesta tale da non potersi immaginare! ("Essa non lo potrebbe", disse la Regina Rossa). Parte del tetto si scoperchiò, e vi entrò tanto tuono, e andò rotolando per la stanza e battendo sulle tavole e sui mobili... finchè ebbi tanta paura che non mi ricordavo più come mi chiamassi.

Alice diceva fra sè:

"Io non cercherei mai di ricordarmi il nome, nel caso d’una disgrazia. A che mi gioverebbe?" Ma non disse questo ad alta voce per non offendere la suscettibilità della povera Regina.

— Vostra Maestà deve scusarla, — disse la Regina Rossa ad Alice, prendendo una mano della Regina Bianca nella sua, e gentilmente accarezzandola. — In generale ella pensa bene, ma non può fare a meno dal dire delle sciocchezze.

La Regina Bianca guardava timidamente Alice, la quale comprendeva di dover dire qualche cosa di gentile, ma in verità non sapeva in quell’istante pensare a nulla.

— Essa in verità non fu mai bene educata, — continuò la Regina Rossa; — ma ha un’indole meravigliosamente dolce. Dàlle un colpetto in testa e vedrai come ne sarà lieta.

Ma Alice non aveva tanto coraggio.

— Con un po’ di gentilezza... e arricciandole i capelli, otterrai un monte da lei.

La Regina Bianca cacciò un profondo sospiro, e mise la testa sulla spalla di Alice.

— Ho tanto sonno, — essa gemè.

— È stanca, poveretta! — disse la Regina Rossa. — Allisciale i capelli... prestale la tua cuffietta e cantale una dolce ninnananna.

— Non ho la cuffia qui, — disse Alice, tentando di ubbidire alla prima indicazione: — e non conosco nessuna dolce ninnananna.

— Debbo cantarla io allora, — disse la Regina Rossa, e cominciò:


" Su dormi signora, nel grembo d’Alice;
schiacciamo un sonnetto; beato e felice;
al ballo n’andremo, finito il festino,
Regine ed Alice pianino pianino."

— E ora tu sai le parole, — ella aggiunse, e s’appoggiò con la testa sull’altra spalla di Alice; — ora cantale per me. Anch’io ho sonno.

Nell’istante dopo entrambe le Regine erano immerse nel sonno e russavano rumorosamente.— Che debbo fare? — esclamò Alice, guardandosi intorno perplessa, appena una testa e poi l’altra le rotolarono dalle spalle e le caddero come due grosse palle in grembo. — Non credo che sia mai accaduto a nessuno di dover badare a due Regine addormentate insieme. No, nella storia di nessuno Stato, — e non sarebbe potuto accadere, naturalmente, perchè non vi è mai più d’una regina alla volta. Svegliatevi, su, svegliatevi, chè pesate! ella continuò con tono impaziente; ma non le rispose che un soave russare.

Il russare diventava ogni minuto più forte, e sembrava sempre più simile a un’arietta; finalmente ella distinse delle parole e si mise ad ascoltare con tanta avidità, che quando le due grosse teste svanirono dal suo seno, quasi non se n’accorse.

Si trovò in piedi innanzi a una porta ad arco, sul quale erano le parole "Alice Regina" in grandi lettere, e all’uno e all’altro lato dell’arco v’era un cordone di campanello: su uno era scritto: "Campanello del visitatore", e sull’altro "Campanello dei servi."

— Aspetterò finchè sia finita la canzone, pensava Alice, — e poi sonerò il... il... quale campanello debbo sonare? — continuò, confusa dalle indicazioni. — Io non sono una visitatrice, io non sono una serva. Ve ne dovrebbe essere un altro, con l’indicazione "Regina."

Proprio allora la porta si aperse un poco, e una creatura con un lungo becco mise fuori la testa per un momento e disse:

È vietato l’ingresso fino alla settimana dopo la prossima, — e chiuse, sbattendo la porta.

Alice picchiò e suonò invano per molto tempo; ma finalmente un vecchio Ranocchio, che sedeva sotto un albero, si levò e saltellò lentamente verso di lei.

— Che c’è? — disse il Ranocchio con profonda raucedine.

Alice si voltò subito, disposta a trovar tutti in colpa:

— Dov’è il servo che ha l’ufficio di rispondere alla porta? — cominciò irata.

— Quale porta? — disse il Ranocchio.

Alice quasi si mise a scalpitare per quel modo strascicato di parlare del Ranocchio.

Questa porta; qual’altra porta?

Il Ranocchio guardò per un minuto coi suoi grandi ed ottusi occhi la porta; poi s’avvicinò e la sfregò col pollice, come per assicurarsi se se ne fosse andata la vernice, poi guardò Alice.

— Rispondere alla porta? — egli disse. — Che ha chiesto la porta?

Era così rauco che Alice poteva appena udirlo.

— Io non so che volete intendere, — essa disse.

— Parlo latino forse? — continuò il Ranocchio, — o sei sorda? Essa che ha chiesto?

— Nulla! — disse Alice impaziente, — Io l’ho picchiata.

— Male, male! Questo non si deve fare, non si deve fare... borbottò il Ranocchio. — Le dispiace, sai. — Poi salì su e diede alla porta un calcio con uno dei suoi grandi piedi. — Se tu la lasci stare, — egli balbettò mentre ritornava salterellando al suo albero, — essa ti lascerà stare.

In quel momento la porta si spalancò, e una voce penetrante si sentì cantare:

— Nella casa dello Specchio disse Alice: "Io son Regina,
e mi metto sulla testa la corona ogni mattina:
della Casa dello Specchio cittadini ed abitanti
a pranzar con la Regina or v’invito tutti quanti."

E centinaia di voci si aggiunsero in coro:

— Presto i calici colmate e riempite i belliconi,
e la tavola di crusca sparpagliate e di bottoni;
entro il tè mettete i gatti ed i topi nel caffè
viva Alice la Regina, viva trenta volte tre.

Poi seguì un confuso strepito di applausi, e Alice diceva fra sè: "Trenta volte tre fanno novanta. Chi sa se qualcuno fa il conto." Dopo un minuto si fece di nuovo silenzio, e la stessa voce penetrante cantò un altra strofa:

"Della Casa dello Specchio, cittadini ed abitanti,
è un onore per me grande di vedervi tutti quanti:
è un ambito privilegio darvi un pranzo e darvi il tè
con le due belle Regine Bianca e Rossa e poi con me"

E si sentì di nuovo il coro:

"Presto i calici colmate con inchiostro e teriaca
e con ciò che più vi piace, dolce a ber che non ubbriaca
E mischiate lana e vino o la sabbia col caffè,
ed Alice salutate, più di cento volte tre"

— Cento volte tre, — esclamò Alice disperata. — Oh, questo non si farà mai. Sarebbe meglio entrare subito.

Entrò subito, e si fece un silenzio mortale nell’istante che ella apparve. Alice diede una rapida occhiata alla mensa, mentre si dirigeva alla gran sala, e scorse che v’erano una cinquantina di ospiti di tutte le specie: alcuni erano quadrupedi, altri uccelli, ed alcuni fiori.

— Son lieta che siano venuti senza aspettare l’invito, — ella pensava, — se no, non avrei saputo chi invitare.

V’erano tre sedie a capotavola; le Regine Bianca e Rossa ne avevano già occupate due; ma quella di mezzo era vuota. Alice vi si sedè, piuttosto impacciata per quel silenzio, sperando che qualcuno parlasse.

Finalmente la Regina Rossa cominciò:

— Sei arrivata dopo la minestra e il pesce,— disse. — Servitele il cosciotto di montone.

E i camerieri misero una coscia di montone innanzi ad Alice, che la guardò con un certo imbarazzo, perchè non aveva mai trinciato la carne a tavola.

— Tu sembri intimorita: lascia che ti presenti a questa coscia di montone, — disse la Regina Rossa. — Alice... Montone: Montone... Alice.

La coscia di montone si levò sul piatto e fece una piccola riverenza ad Alice; e Alice restituì l’inchino, non sapendo se dovesse spaventarsi o divertirsi.

— Posso darvene una fetta? — ella disse, prendendo il coltello e la forchetta e guardando ora una Regina ora l’altra.

— Ma no, — disse risolutamente la Regina Rossa, — non è educazione fare a pezzi la persona a cui si e stati presentati. Portate via il cosciotto.

E i camerieri lo portarono via, e tornarono con un gran pasticcio.

— Non mi presentate al pasticcio, per favore! — esclamò Alice, — oppure non si pranzerà più. Posso darvene un poco?

Ma la Regina Rossa tutta imbronciata, brontolò:

— Pasticcio... Alice: Alice... Pasticcio. Portate via il pasticcio.

E i camerieri lo portarono via con tanta rapidità che Alice non potè restituirgli l’inchino.

Però, essa non capiva perchè la Regina Rossa dovesse esser la sola a dare degli ordini; così, per fare una prova, gridò:

— Cameriere, riporta il pasticcio.

E rieccolo innanzi a lei in un istante, come in giuoco di prestidigitazione.

Era così grande, che essa non potè non esserne un po’ intimorita, come innanzi al montone; però ella vinse, con un gran sforzo, la propria timidezza, e ne tagliò una porzione e la offerse alla Regina Rossa.

— Che impertinenza, — disse il Pasticcio. — Io vorrei sapere che cosa diresti, se tagliassi una fetta da te, miserabile creatura!

Parlava in una densa e succosa specie di voce; ed Alice non seppe rispondere una parola: rimase a guardarlo a bocca aperta.

— Di’ qualche cosa, — disse la Regina Rossa, — è ridicolo lasciar tutta la conversazione al Pasticcio.

— Non sapete, oggi mi sono stati recitati tanti versi, — cominciò Alice, un po’ sgomenta come vide che, non appena aveva accennato a parlare, s’era fatto un silenzio mortale, e tutti gli occhi erano intenti su di lei, — ed è strano credo,... che ogni poesia trattasse in qualche maniera di pesci. Chi sa perchè in queste parti piacciano tanto i pesci.

Ella parlava alla Regina Rossa, che non rispose molto a proposito:

— Quanto ai pesci, — ella disse, molto lenta e solenne, avvicinando le labbra all’orecchio di Alice, — Sua Maestà Bianca sa un bell’indovinello... tutto in poesia... tutto intorno ai pesci. Lo deve ripetere?

— Sua Maestà la Regina Rossa è molto gentile per ricordarlo, — mormorò la Regina Bianca all’altro orecchio di Alice, con una voce che sembrava quella d’una tortorella. — Sarebbe un tal piacere. Posso?

— Sarà un vero favore, — disse con molta cortesia Alice.

La Regina Bianca sorrise di piacere e carezzò la guancia di Alice. Poi cominciò:

"Prima il pesce bisogna acchiappare"
(Facilissimo un bimbo può prenderlo)
"Quindi il pesce bisogna comprare...."
con un soldo dovunque si ha.

"Ora il pesce bisogna lessare...."
facilissimo.... l’acqua è già tepida....
"In un piatto lasciatelo stare?"
Assai facil... sul piatto già sta.

"Date qui, chè lo voglio mangiare";
 ecco fatto, portato è già in tavola;
"ma il coperchio bisogna levare,"
e il coperchio non giungo a scoprir.

Chi l’ha fatto col piatto saldare?
Io dispero il coperchio di togliere.
Di’, che cosa è più facile fare:
"questo piatto od un senso scoprir?"

— Pensaci un minuto, e poi rispondi, — disse la Regina Rossa. — Frattanto, noi beviamo alla tua salute... alla salute della Regina Alice! — essa strillò a squarciagola, e tutti i convitati cominciarono subito a bere, in modo stranissimo: alcuni si mettevano i calici in testa come spegnitoi, e bevevano tutto ciò che scorreva sulle loro facce; altri rovesciavano le bottiglie, e lambivano il vino quando scorreva dagli orli della mensa; e tre (che avevano l’aspetto di tre canguri) s’arrampicarono sul piatto dell’arrosto di montone, e cominciarono a leccare il sugo "come porci in brago", pensò Alice.

— Tu dovresti ringraziare con un bel discorso, — disse la Regina Rossa, guardando accigliata Alice.

— Noi ti sosterremo, — bisbigliò la Regina Bianca, mentre Alice si levava in piedi, obbediente, ma un po’ sgomenta.

— Grazie, — ella bisbigliò in risposta, — ma non ne ho bisogno.

— Come non ne hai bisogno? — disse con gran risoluzione la Regina Rossa.

Così provò con buona grazia a farsi sostenere.

( — Ed esse mi spinsero tanto! — ella disse dopo, quando narrò a sua sorella la storia del banchetto. — Si sarebbe creduto che avessero voluto spremermi come un limone!)

Infatti le fu piuttosto difficile stare al suo posto mentre faceva il discorso: le due Regine la premettero così da un lato e l’altro, che quasi la sollevarono in aria.

— Io mi levo a ringraziare... — cominciò Alice, e veramente si levò, mentre parlava, di parecchi centimetri; ma s’aggrappò all’orlo della tavola, e riuscì a star ferma.

— Bada! — strillò la Regina Bianca, afferrando Alice per le mani. — Accadrà qualche cosa.

E allora (come narrò dopo Alice) accaddero in un istante una gran quantità di cose. Le candele si allungarono fino al soffitto, e parvero canne con fuochi d’artificio in punta. Quanto alle bottiglie, ciascuna si prese un paio di piatti, se li adattò come ali, e con le forchette per gambe, andò svolazzando nella sala in tutti i sensi, e "sembrano tutti uccelli", diceva Alice fra sè, così come poteva, in quella tremenda confusione.

In quel momento sentì una voce rauca al suo fianco, e si volse a vedere che accadesse alla Regina Bianca; ma invece della Regina, sedeva sulla sedia il cosciotto di montone.

— Sono qui, — gridò una voce dalla zuppiera, e Alice si volse, e fu appena in tempo a vedere il largo e tranquillo viso della Regina che le sorrise per un momento sull’orlo della zuppiera e poi sparì nella minestra.

Non c’era da perdere un momento. Già parecchi degli ospiti giacevano nei piatti e il mestolo camminava sulla tavola verso la sedia di Alice, facendole con impazienza cenno di levarsi dinanzi.

— Io non posso resistere più a lungo, — essa gridò, levandosi e afferrando la tovaglia con ambo le mani; una stratta... e piatti, convitati e candele scrosciarono insieme in un fascio sul pavimento.

— Quanto a voi... — essa continuò, volgendosi fieramente alla Regina Rossa, ch’essa considerava come la cagione di tutto il male. Ma la Regina non c’era più al suo fianco: s’era improvvisamente rimpicciolita fino a sembrare una minuscola bambina, e correva allegramente sulla tavola dietro il suo scialle, che si trascinava dietro.

In tempo normale, Alice si sarebbe sorpresa a quella vista, ma quella volta era troppo esaltata, per sorprendersi di nulla al mondo.

— Quanto a voi, — essa ripetè, afferrando la piccola creatura che era appunto nell’atto di saltare su una bottiglia posatasi in quel momento sulla tavola, — ti darò agli artigli di un gattino, ti darò...