Attraverso l'Atlantico in pallone/Capitolo 18 - L'assalto dei pesce-cani
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Capitolo 18
L’assalto dei pesce-cani
Udendo quel grido, che tradiva un terrore profondo, uscire dalle labbra di quell’uomo che non era così facile a impressionarsi, O’Donnell comprese subito che un tremendo pericolo lo minacciava.
Senza arrestarsi, volse il capo, e si sentì gelare il sangue e paralizzare le forze nello scorgere, a soli venti metri di distanza, tre enormi squali, lunghi non meno di dodici piedi, i quali muovevano dritto su di lui con potenti colpi di coda, mostrando le loro immense bocche semicircolari, irte di denti triangolari che si agitavano mercé la strana disposizione delle mascelle, come se già pregustassero quella succulenta preda.
I loro occhi, rotondi, con l’iride verde scura, e la pupilla azzurregnola, si erano già fissati sull’irlandese, il quale in quel supremo istante si sentiva come affascinato dalla luce strana che mandavano.
«O’Donnell» gridò l’ingegnere, con voce rotta dall'angoscia. «Fuggite!»
Quel grido strappò l’irlandese dalla sua immobilità. Comprese che un ritardo di pochi secondi era fatale, e, abbandonando l’anello di sughero, ma tenendo fra i denti il bowie-knife, si mise a nuotare con disperata energia verso la guide-rope.
I tre mostri, però, per niente spaventati dall’immensa ombra che i due palloni proiettavano sull’oceano e dalle grida dell’ingegnere, non si erano arrestati. L’irlandese li udiva dietro di sé percuotere furiosamente l’acqua con le loro possenti code, agitare le lunghe pinne triangolari e mandare dei rauchi sospiri che somigliavano al tuono udito ad una grande distanza. Malgrado facesse sforzi disperati, stava per essere raggiunto da quei mostri, che sono dotati di una muscolatura potente e che possiedono uno slancio straordinario.
Fortunatamente l’ingegnere stava per portargli soccorso. Comprendendo che O’Donnell sarebbe stato raggiunto prima di toccare la guide-rope, Kelly si era armato di una carabina a tiro rapido, di un winchester a dodici colpi, ed aveva aperto un fuoco infernale contro gli squali. Il primo, che si trovava a soli quindici metri dall’irlandese, colpito da parecchie palle, fece un balzo immenso, ricadde, dibattendosi furiosamente, poi si rovesciò, mostrando tutta intera la sua enorme bocca, che è situata sotto il muso, e la pelle del ventre, poi calò a picco, formando un piccolo risucchio. Gli altri due, vista la mala parata, s’arrestarono indecisi, poi si tuffarono di comune accordo. L’ingegnere, che li scorgeva benissimo attraverso l’acqua limpidissima, continuò il fuoco per impedir loro di giungere sotto le gambe dell’irlandese.
«In guardia, O’Donnell!» gridò, vedendo i due mostri nuotare verso l’irlandese.
«Sono salvo!» gridò il bravo giovanotto. «Presto, Mister Kelly, rovesciate i coni.»
Con un ultimo slancio, egli si era aggrappato alla guide-rope e con un ultimo sforzo si era issato sull’ancorotto, mettendosi a cavalcioni delle patte. Sfinito come era dalla fatica e per le terribili emozioni provate, non si sentiva, almeno per il momento, in grado di salire fino alla scialuppa. L’ingegnere, che vedeva avvicinarsi i due squali con fulminea velocità e che non ignorava che essi possiedono tale slancio da innalzarsi di parecchi metri sopra le onde, con una spinta rovesciò nell’oceano un sacco di zavorra del peso di sessanta chilogrammi, che aveva collocato sul bordo della scialuppa, poi con due furiose strappate capovolse i coni.
Il Washington, scarico di quel peso, s’innalzò rapidamente, nel momento stesso in cui i due squali giungevano a fior d’acqua, proprio sotto l’ancora. Vedendosi sfuggire la preda, con un potente colpo di coda si slanciarono fuori dai flutti con le bocche spalancate, credendo d’inghiottire d’un sol colpo ancorotto e uomo; ma era troppo tardi.
Il Washington che s’innalzava con estrema rapidità trascinando con sé l’irlandese, che si teneva aggrappato con estrema energia alla guide-rope fece perdere ai due feroci mostri ogni speranza: però rimasero in superficie, seguendo con sguardi ardenti la preda che fuggiva in aria.
Il vascello aereo salì fino a mille metri, nonostante il grande salasso fattogli dall’ingegnere per riguadagnare gli strati inferiori dopo la caduta dell’irlandese e del negro; rimase alcuni minuti immobile, come indeciso sulla via da prendere, poi una corrente lo spinse verso il sud-sud-est con una velocità di dodici miglia all’ora.
O’Donnell non lasciava la guide-rope ma non ardiva ancora risalire. Quell’immenso vuoto che lo circondava e quella spaventevole altezza che s’apriva sotto i suoi piedi fino alla superficie dell’oceano, lo atterrivano. Aveva per maggior precauzione chiuso gli occhi, temendo che lo cogliesse una vertigine.
«O’Donnell, mio coraggioso amico,» disse l’ingegnere «tenetevi saldo.»
«Non lascio la fune, Mister Kelly,» balbettò il giovanotto: «vi confesso, però che questo vuoto mi spaventa e che mi pare che la testa mi cominci a girare.»
«Avrete forza abbastanza per salire?»
«Lo spero, ma non ora. Sono sfinito ed ho le membra rattrappite.
«Prendete, amico mio.»
L'ingegnere calò fino a lui una bottiglia di whisky già sturata e una cintola di pelle.
«Bevete e legatevi alla guide-rope» disse.
«Grazie, Mister Kelly» riprese l’irlandese.
Si assicurò con la cintola per non cadere nel caso che lo cogliesse un capogiro per il forte liquore.
«Mi pare che le forze ritornino» disse dopo alcuni istanti. «Cercherò di raggiungervi, Mister Kelly.»
«Volete che apra le valvole e che ci abbassiamo?»
«No, Mister Kelly: avete sacrificato già troppo gas per raccogliermi. I nodi non sono lontani e mi riposerò»
«Non guardate l’abisso.»
«Chiuderò gli occhi.» Il coraggioso giovanotto sciolse la cintola, si issò, posando i piedi sulle patte dall’ancorotto, respirò alcuni istanti, poi cominciò quella pericolosa salita, adoperando i piedi, le mani e perfino i denti. Non osava guardarsi intorno, poiché si sentiva già prendere da un principio di vertigine, anche tenendo gli occhi chiusi: quell’immensità che si stendeva sotto di lui, lo attirava, lo affascinava.
L’ingegnere, più pallido forse di O’Donnell, seguiva ansiosamente, col cuore stretto d’angoscia, le mosse di lui e cercava di tener ferma la fune, che l’àncora faceva ondeggiare.