Libro terzo - Capitolo XVIII
- Hanno tra le loro più secrete memorie gli antichi maestri delle sante cose, essere una Reina in quelle isole, che io dico, Fortunate, bellissima e di maraviglioso aspetto e ornata di cari e preziosi vestiri e sempre giovane. La qual marito non vuole già e servasi vergine tutto tempo, ma bene d’essere amata e vagheggiata si contenta. E a quegli che più l’amano ella maggior guiderdone dà de’ loro amori, e convenevole, secondo la loro affezione, a gli altri. Ma ella di tutti in questa guisa ne fa pruova. Perciò che venuto che ciascuno l’è davanti, che è secondo che essi sono da lei fatti chiamare or uno or altro, essa, con una verghetta toccatigli, ne gli manda via. E questi, incontanente che del palagio della Reina sono usciti, s’addormentano, e così dormono infino a tanto che essa gli fa risvegliare. Ritornano adunque costoro davanti la Reina un’altra volta risvegliati, e i sogni che hanno fatti dormendo porta ciascuno scritti nella fronte tali, quali fatti gli hanno, né più né meno, i quali essa legge prestamente. E coloro i cui sogni ella vede essere stati solamente di cacciagioni, di pescagioni, di cavagli, di selve, di fiere, essa da sé gli scaccia e mandagli a stare così vegghiando tra quelle fiere, con le quali essi dormendo si sono di star sognati, perciò che dice che, se essi amata l’avessero, essi almeno di lei si sarebbono sognati qualche volta, il che poscia che essi non hanno fatto giamai, vuole che vadano e sì si vivano con le lor fiere. Quegli altri poi a’ quali è paruto ne’ loro sogni di mercatantare o di governare le famiglie e le comunanze o di fare somiglianti cose, tuttavvia poco della Reina ricordandosi, essa gli fa essere altresì quale mercatante, quale cittadino, quale anziano nelle sue città, di cure e di pensieri gravandogli e poco di loro curandosi parimente. Ma quelli che si sono sognati con lei, essa gli tiene nella sua corte a stare e a ragionar seco tra suoni e canti e sollazzi d’infinito contento, chi più presso di sé e chi meno, secondo che essi con lei sognando più o meno si sono dimorati ciascuno. Ma io per aventura, Lavinello, oggimai troppo lungamente ti dimoro, il quale più voglia dei avere o forse mestiero di ritornarti alla tua compagnia, che di più udirmi. Senza che oltre a ciò a te gravoso potrà essere lo indugiare a più alto sole la partita, che oggimai tutto il cielo ha riscaldato e vassi tuttavia rinforzando -.
- A me voglia né mestiero fa punto che sia, Padre, - diss’io - ancora di ritornarmi, e dove a voi noioso non sia il ragionare, sicuramente niuna cosa mi ricorda che io facessi giamai così volentieri, come ora volentieri v’ascolto. Né di sole che sormonti vi pigliate pensiero, poscia che io altro che a scendere non ho, il che ad ogni ora far si può agevolmente -.
- Noioso a gli antichi uomini non suole già essere il ragionare, - disse il buon vecchio - che è più tosto un diporto della vecchiezza che altro. Né a me può noiosa esser cosa che di piacere ti sia. Per che seguasi -. E così seguendo, disse: