Asolani/Libro terzo/XI

Libro terzo - Capitolo XI

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Ispeditosi Lavinello del dire delle tre canzoni, i suoi primieri ragionamenti così riprese: - Questo poco, Madonna, che io v’ho fin qui detto, sarebbe alle nostre donne potuto per aventura bastare per dimostramento della menzogna che l’uno e l’altro de’ miei compagni sotto le molte falde delle loro dispute aveano questi giorni, sì come udito avete, assai acconciamente nascosa; ma non a voi, né pure alla vostra fanciulla, che così vagamente l’altr’hieri alle tavole di Vostra Maestà cantando, ci mostrò quello che io dire ne dovea, poscia che i miei compagni, per le pedate dell’altre due mettendosi, aveano a tacerlo. Nella qual cosa tuttavia ben provide senza fallo alcuno al mio gran bisogno la fortuna di questi ragionamenti. Perciò che andando io questa mattina per tempo, da costor toltomi e del castello uscito, solo in su questi pensieri, posto il piè in una vietta per la quale questo colle si sale, che c’è qui dietro, senza sapere dove io m’andassi, pervenni a quel boschetto, che, la più alta parte della vaga montagnetta occupando, cresce ritondo come se egli vi fosse stato posto a misura. Non ispiacque a gli occhi miei quello incontro, anzi, rotto il pensar d’amore e in sul piè fermatomi, poscia che io mirato l’ebbi così dal di fuori, dalla vaghezza delle belle ombre e del selvareccio silenzio invitato, mi prese disiderio di passar tra loro, e messomi per un sentiero, il quale appena segnato, dalla vietta ove io era dipartendosi, nella vaga selva entrava, e per entro passando, non ristetti prima, sì m’ebbe in uno aperto non molto grande il poco parevole tramitello portato. Dove come io fui, così dall’uno de’ canti mi venne una capannuccia veduta, e poco da lei discosto tra gli alberi un uom tutto solo lentamente passeggiare, canutissimo e barbuto e vestito di panno simile alle corteccie de’ querciuoli, tra’ quali egli era. Non s’era costui aveduto di me, il quale in profondo pensiero essendo, sì come a me parea di vedere, tale volta nello spaziare si fermava e, stato ched egli era così un poco, a passeggiare lento lento si ritornava; e così più volte fatto avea, quando io mi pensai che questi potesse essere quel santo uomo, che io avea udito dire che a guisa di romito si stava in questo dintorno, venutovi per meglio potere, nello studio delle sante lettere dimorando, pensare alle alte cose. Per che volentieri mi sarei fatto più avanti per salutarlo e, se egli era colui che io istimava che egli fosse, ricordandomi che io avea oggi a dire dinanzi a Vostra Maestà, per avere da lui eziandio alcun consiglio d’intorno a’ miei ragionamenti. Perciò che io avea inteso che egli era scienziatissimo e che, con tutto che egli fosse di santa e disagevole vita, sì come quegli che di radici d’erbe e di coccole salvatiche e d’acqua e sempre solo vivea, egli era nondimeno affabilissimo, e poteasi di ciò, che altri avesse voluto, sicuramente dimandarlo, ché egli a ciascuno sempre dolce e humanissimo rispondea. Ma villania mi parea fare a torlo da’ suoi pensieri; e così mirandolo mi stava in pendente. Né stetti guari, che egli si volse verso la parte dove io era e, veggendomi, occasione mi diede a quello che io cercava; perciò che, incontro passandogli, con molta riverenza il salutai.