Libro secondo - Capitolo XIV
Di poco avea così detto Gismondo, quando Lavinello, il quale lungamente s’era taciuto, con queste parole gli si fe’ incontro: - Cattivi testimoni aresti trovati, Gismondo, se questi allori parlassero, a quello che tu intendi di provarci. Perciò che se essi ritratto fanno al primo loro pedale, sì come è natura delle piante, essi non amarono giamai. Perciò che non amò altresì quella donna che primieramente diè al tronco forma, del quale questi tutti sono rampolli, se quello vero è che se ne scrive.
- Male stimi, Lavinello, e male congiugni le cose da natura separate - rispose incontanente Gismondo. - Perciò che questi allori bene fanno ritratto al primo loro pedale, sì come tu di’, ma non alla donna, la quale se stessa lasciò, quando ella primieramente la buccia di lui prese.
Questi, come ancho quello fece, amano e sono amati altresì, essi la terra e la terra loro, e di tale amor pregni partoriscono al lor tempo ora talli, ora orbache, ora frondi, secondo che esso, da cui tutti nacquero, partoriva, né mai ha fine il loro amore, se non insieme con la lor vita. Il che volesse Idio che fosse ne gli uomini, che Perottino non arebbe forse ora cagion di piagnere così amaramente, come egli fa vie più spesso che io non vorrei. Ma la donna non amò già essendo amata, sì come tu ragioni; la qual cosa perciò che fu contro natura, forse meritò ella di divenir tronco, come si scrive. E certo che altro è, lasciando le membra humane, albero e legno farsi, che, gli affetti naturali abandonando molli e dolcissimi, prendere i non naturali, che sono così asperi e così duri? che se questi allori parlassero e le nostre parole avessero intese, a me giova di credere che noi ora udiremmo che essi non vorrebbono tornare uomini, poi che noi contro la natura medesima operiamo, la qual cosa non aviene in loro; non che essi buoni testimoni non fossero, Lavinello, a quello che io ti ragiono.