Asolani/Libro secondo/XIII

Libro secondo - Capitolo XIII

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A questo rispostogli dalle belle donne che tanto di loro piacere era, quanto era di suo, e che dove a lui non increscesse il favellare, comunque egli il facesse, a loro l’ascoltarlo non increscerebbe giamai, esso cortesemente ringraziatenele, e già atteso da ciascuna, poi che egli ebbe il braccio sinistro alquanto inverso le attendenti donne sporto in fuori, pregandole che attentamente l’ascoltassero, perciò che, dove poche delle parole che egli a dire avea si perdesse, niente gioverebbe l’aver parlato, del pugno che chiuso era due dita forcutamente levando inverso il cielo, così incominciò e disse: - In due parti, o donne, dividono l’animo nostro gli antichi filosofi: nell’una pongono la ragione, la quale con temperato passo muovendosi lo scorge per calle spedito e sicuro; dall’altra fanno le perturbazioni, con le quali esso travalicando discorre per dirottissimi e dubbiosissimi sentieri. E perciò che ogni uomo, quello che bene pare ad esso che sia, e di tener disidera e, tenuto, si rallegra di possedere, e similmente niuno è che il pendente male non solleciti, e pochi sono coloro che il sopracaduto non gravi, quattro fanno gli affetti dell’animo altresì: Disiderio, Allegrezza, Sollecitudine e Dolore; de’ quali, due dal bene, o presente o futuro, e due medesimamente dal male, o avenuto o possibile ad avenire, hanno origine e nascimento. Ma perciò che e il disiderar delle cose, dove con sano consiglio si faccia è sano, dove da torto appetito proceda è dannoso; e il rallegrarsi non è biasimato in alcuno, se non in quanto egli ha i termini del convenevole trapassati; e lo schifar de’ mali che avenir possono, secondo che noi o bene o male temiamo, così egli e di lodevole piglia qualità e di vituperoso, quinci aviene che questi tre affetti in buoni e in non buoni dividendo, a quella parte dell’animo, che con la ragione s’invia, danno l’onesto disiderio, l’onesta allegrezza, l’onesto temere; all’altra gli stremi loro, che sono il soverchio disiderare, il soverchio rallegrarsi, la soverchia paura. Il quarto, che è de’ mali presenti la maninconia, non dividono come gli altri; ma perciò che dicono d’alcuna cosa, che avenga nella vita, il prudente e costante uomo né affligersi né attristarsi giamai, e soverchio e vano sempre essere ogni dolore delle avenute cose, questo solo affetto intero pongono nelle perturbazioni. Così aviene che tre sono le sagge e regolate maniere de gli affetti dell’animo, e quattro le stolte e intemperate. Oltre a ciò, perciò che certissima cosa è che male alcuno la natura far non può, e che solamente buone sono le cose da lei procedenti, le tre maniere, sì come quelle che buone sono, affermano ne gli uomini essere naturali altresì, le quattro dicono in noi fuori del corso della natura aver luogo; quelle ragionevoli affetti secondo natura, queste contro natura disordinate perturbazioni chiamando e nominando. Sono adunque due, sì come di sopra s’è detto, le strade dell’animo, o donne: l’una della ragione, per la quale ogni naturale movimento s’incamina; l’altra delle perturbazioni, per cui hanno i non naturali a’ loro traboccamenti la via. Ora non credo io che voi crediate che alcun non naturale movimento possa con la ragione dimorare, perciò che, dimorando con esso lei, bisognerebbe che egli fosse naturale; ma naturale come può esser cosa che naturale non sia? Né è da dire altresì che affetto alcuno naturale si mescoli nelle perturbazioni, con ciò sia cosa che mescolandosi tra loro gli bisognerebbe essere non naturale; ma naturale e non naturale per certo niuna cosa essere puote giamai. Divise adunque le passioni dell’animo e trattate nella maniera che udito avete, recatevi questo sovente per la memoria, che affetto naturale alcuno non può ne gli animi nostri con le perturbazioni aver luogo. Ora ritorniamo a Perottino, il quale pose Amore nelle perturbazioni, e ragioniamo così: che se Amore è cosa che contro natura venga in noi, non può altrove essere il cativello che dove l’ha posto Perottino; ma se egli pure è affetto a gli animi nostri donato dalla natura, sì come cosa a cui buona conviene essere altresì, con la natura caminando, non potrà in maniera alcuna nelle perturbazioni ree e ne gli affetti dell’animo sinistri e orgogliosi trapassare. Ora che vi voglio io, avedute giovani, o pure che vi debbo io più oltre dire? Bisogna egli che io vi dimostri che naturale è l’amore in noi? Questo si fe’ pur dianzi, quando noi dell’amore che a’ padri, a’ figliuoli, a’ congiunti, a gli amici si porta ragionavamo. Senza che io mi credo che non pur voi, che donne siete, anzi ancora questi allori medesimi, che ci ascoltano, se essi parlar potessero, ne darebbono testimonianza. -