Asolani/Libro secondo/VIII

Libro secondo - Capitolo VIII

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Ora si può accorgere Perottino come, senza volere io ripigliare alcuno antico o moderno scrittore, i suoi frigoli argomenti ripigliati e rifiutati per se stessi rimangono. Ma per non tenervi io in essi più lungamente che huopo ci sia, oggimai ne gli amorosi miracoli e nelle loro discordanze passiamo, dove son quelli che vivono nel fuoco come salamandre, e quegli altri che ritornano in vita morendo e muoiono similmente della lor vita. Alle quali maraviglie sallo Idio che io non so che mi rispondere, che io di Perottino non mi maravigli, il quale, o folle credenza di farloci a credere che lo rassicurasse, o sfrenato disio di ramaricarsi che lo trasportasse, non solamente non s’è ritenuto di così vane favole raccontarci per vere, ma egli ancora con le sue canzoni medesime, quasi come se elle fossero le foglie della Sibilla Cumea o le voci delle indovinatrici cortine di Phebo, ce l’ha volute racconfermare. La qual cosa tuttavia questo ebbe di bene in sé, che a noi le sue canzoni, per quello che io di voi m’accorsi e in me conosco, non poco di piacere e di diletto porsero, ramorbidando gl’inacerbiti nostri spiriti dall’asprezza de’ suoi ruvidi e fieri sermoni. Le quali se tanto di verità avessero in sé considerandole, quanto udendole esse hanno avuto di novità e di vaghezza, io incontro di Perottino non parlerei. Ora che vi debbo io dire? Non sa egli per se stesso ciascun di noi, senza che io parli, che queste sono spezialissime licenze, non meno de gli amanti che de’ poeti, fingere le cose molte volte troppo da ogni forma di verità lontane? dare occasioni alla lingua o pure alla penna ben nuove, bene per adietro da niuno intese, bene tra se stesse discordanti e alla natura medesima importabili ad essere sofferute giamai? Deh, Perottino, Perottino, come se’ tu folle, se tu credi che noi ti crediamo che a gli amanti sia conceduto il poter quello che la natura non può, quasi come se essi non fossero nati uomini, come gli altri soggiacenti alle sue leggi. Dico adunque che i tuoi miracoli altro già che menzogne non sono. Perciò che niente hanno essi più di vero in sé, di quello che de’ seminati denti dall’errante Cadmo o delle feraci formiche del vecchio Eaco o dell’animoso arringo di Phetonte si ragioni o di mille altre favole ancora di queste più nuove. Né pure incominci tu questa usanza ora, ma tutti gli amanti, che hanno scritto o scrivono, così fecero e fanno ciascuno, o lieti o infortunati che essi stati sieno o essere si truovino de’ loro amori; se pure i lieti a scrivere delle loro gioie o pure a parlarne si dispongono giamai, il che suole alcuna volta di quelli avenire, che tra gli otii soavi delle Muse cresciuti, poi nelle dolci palestre di Venere essercitandosi, non possono sovente non ricordarsi delle loro donne primiere. I quali le più volte di quelli medesimi affetti favoleggiano che fanno i dolorosi, non perciò che essi alcuno di que’ miracoli pruovino in sé che i miseri e tristi dicono sovente di provare, ma fannolo per porgere diversi suggetti a gl’inchiostri, acciò che con questi colori i loro fingimenti variando, l’amorosa pintura riesca a gli occhi de’ riguardanti più vaga. Perciò che del fuoco, col quale si fatica Perottino di rinforzare la maraviglia de gli amorosi avenimenti, quali carte di qualunque lieto amante che scriva non sono piene? né pur di fuoco solamente, ma di ghiaccio insieme e di quelle cotante disagguaglianze, le quali più di leggiero nelle carte s’accozzano che nel cuore? Chi non sa dire che le sue lagrime sono pioggia, e venti i suoi sospiri, e mille cotai scherzi e giuochi d’amante non men festoso che doglioso? chi non sa fare incontanente quella che egli ama saettatrice, fingendo che gli occhi suoi feriscano di pungentissime saette? La qual cosa per aventura più acconciamente finsero gli antichi uomini, che delle cacciatrici Ninfe favoleggiarono assai spesso e delle loro boscareccie prede, pigliando per le vaghe Ninfe le vaghe donne che con le punte de’ loro penetrevoli sguardi prendono gli animi di qualunque uomo più fiero. Chi non suole ora sé ora la sua donna a mille altre più nuove sembianze ancora, che queste non sono, rassomigliare? Aperto e comune e ampissimo è il campo, o donne, per lo quale vanno spaziando gli scrittori, e quelli massimamente sopra tutti gli altri che, amando e d’Amore trattando, si dispongono di coglier frutto de’ loro ingegni e di trarne loda per questa via. Perciò che oltra che egli si fingono le impossibili cose, non solamente a ciascun di loro sta, qualunque volta esso vuole, il pigliar materia del suo scrivere o lieta o dolorosa, sì come più gli va per l’animo o meglio li mette o più agevolmente si fa, e sopra essa le sue menzogne distendere e i suoi pensamenti più strani, ma essi ancora uno medesimo suggetto si recheranno a diversi fini, e uno il si dipignerà lieto, e l’altro se lo adombrerà doloroso, sì come una stessa maniera di cibo, per dolce o amara che di sua natura ella si sia, condire in modo si può, che ella ora questo e ora quell’altro sapore averà, secondo la qualità delle cose che le si pongon sopra.