Libro primo - Capitolo XXVIII
Conosciuti adunque separatamente questi mali, o donne, del disiderio, dell’allegrezza, della sollecitudine e del dolore, a me piace che noi mescolatamente e senza legge alquanto vaghiamo per loro. E prima che io più ad un luogo che ad un altro m’invii, mi si para davanti la novità de’ principii che questo malvagio lusinghiero dà loro ne gli animi nostri, quasi se di sollazzo e giuoco, non di doglia e di lagrime e di manifesto pericolo della nostra vita fossero nascimento. Perciò che mille fiate adiviene che una paroletta, un sorriso, un muover d’occhio con maravigliosa forza ci prendono gli animi, e sono cagione che noi ogni nostro bene, ogni onore, ogni libertà tutta nelle mani d’una donna riponiamo, e più avanti non vediamo di lei. E tutto ’l giorno si vede che un portamento, un andare, un sedere sono l’esca di grandissimi e inestinguibili fuochi. E oltre a ciò quante volte avenne, lasciamo stare le parti belle del corpo, delle quali spesse fiate la più debole per aventura stranamente ci muove, ma quante volte avenne che d’un pianto ci siamo invaghiti? e di quelle, il cui riso non ci ha potuti crollare di stato, una lagrimetta ci ha fatti correre con frezzolosi passi al nostro male? A quanti la pallidezza d’una inferma è stata di piggior pallidezza principio? e loro, che gli occhi vaghi e ardenti non presero ne’ dilettevoli giardini, i mesti e caduti nel mezzo delle gravose febbri legarono, e furono ad essi di più perigliosa febbre cagione? Quanti già finsero d’esser presi e, nel laccio per giuoco entrati, poi vi rimasero mal loro grado con fermissimo e strettissimo nodo miserabilmente ritenuti? Quanti volendo spegnere l’altrui fuoco, a se medesimi l’accesero e ebbero d’aiuto mestiero? Quanti sentendo altrui ragionar d’una donna lontana, essi stessi s’avicinarono mille martiri? Ahi lasso me, questo solo vorre’ io aver taciuto. -