Libro primo - Capitolo IX
Così detto e risposto e contentato, dopo un brieve silenzio di ciascuno, Perottino, quasi da profondo pensiero toltosi, verso le donne levando il viso, disse:
- Ora piglisi Gismondo ciò che egli si guadagnerà; e non si penta, poscia che egli questo argine ha rotto, se per aventura e a lui maggiore acqua verrà addosso che bisogno non gli sarebbe d’avere, e di voi altramente averrà che il suo aviso non sarà stato. Ché, come che io non speri di potere in maniera alcuna, quanto in così fatta materia si converrebbe, di questo universale danno de gli uomini, di questa generalissima vergogna delle genti, Amore, o donne, raccontarvi, perciò che non che io il possa, che uno e debole sono, ma quanti ci vivono, pronti e accorti dicitori il più, non ne potrebbono assai bastevolmente parlare; pure e quel poco che io ne dirò, da che io alcuna cosa ne ho a dire, parrà forse troppo a Gismondo, il quale altramente si fa a credere che sia il vero, che egli non è, e a voi ancora potrà essere di molto risguardo, che giovani sete, ne gli anni che sono a venire, il conoscere in alcuna parte la qualità di questa malvagia fiera -.
Il che poi che esso ebbe detto, fermatosi e più alquanto temperata la voce, cotale diede a’ suoi ragionamenti principio: - Amore, valorose donne, non figliuolo di Venere, come si legge nelle favole de gli scrittori, i quali tuttavia in questa stessa bugia tra se medesimi discordando il fanno figliuolo di diverse Idie, come se alcuno diverse madri aver potesse, né di Marte o di Mercurio o di Volcano medesimamente o d’altro Idio, ma da soverchia lascivia e da pigro ozio de gli uomini, oscurissimi e vilissimi genitori, nelle nostre menti procreato, nasce da prima quasi parto di malizia e di vizio; il quale esse menti raccolgono e, fasciandolo di leggierissime speranze, poscia il nodriscono di vani e stolti pensieri, latte che tanto più abonda, quanto più ne sugge l’ingordo e assetato bambino. Per che egli crescie in brieve tempo e divien tale, che egli ne’ suoi ravolgimenti non cape. Questi, come che, di poco nato, vago e vezzoso si dimostri alle sue nutrici e maravigliosa festa dia loro della prima vista, egli nondimeno alterando si va le più volte di giorno in giorno e cangiando e tramutando, e prende in picciolo spazio nuove faccie e nuove forme, di maniera che assai tosto non si pare più quello che egli, quando e’ nacque, si parea. Ma tuttavia, quale che egli si sia nella fronte, egli nulla altro ha in sé e nelle sue operazioni che amaro, da questa parola, sì come io mi credo, assai acconciamente così detto da chiunque si fu colui il quale prima questo nome gli diè, forse a fine che gli uomini lo schifassero, già nella prima faccia della sua voce avedutisi ciò che egli era. E nel vero chiunque il segue, niuno altro guiderdone delle sue fatiche riceve che amaritudine, niuno altro prezzo merca, niuno appagamento che dolore, perciò che egli di quella moneta paga i suoi seguaci, che egli ha, e sì n’ha egli sempre grande e infinita dovizia, e molti suoi tesorieri ne mena seco che la dispensano e distribuiscono a larga e capevole misura, a quelli più donandone, che di se stessi e della loro libertà hanno più donato al lusinghevole signore. Per la qual cosa non si debbono ramaricar gli uomini se essi amando tranghiottono, sì come sempre fanno, mille amari e sentono tutto ’l giorno infiniti dolori, con ciò sia cosa che così è di loro usanza, né può altramente essere; ma che essi amino, di questo solo ben si debbono e possonsi sempre giustamente ramaricare. Perciò che amare senza amaro non si può, né per altro rispetto si sente giamai e si pate alcuno amaro che per amore. -