Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870)/Rassegna bibliografica/Illustri bergamaschi, Studj critico-biografici

Gabriele Rosa

Illustri bergamaschi, Studj critico-biografici ../La Nunziatura in Francia del cardinale Guido Bentivoglio ../Documenti dei re italiani e borgognoni dal 888 al 947 IncludiIntestazione 21 gennaio 2018 100% Da definire

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Illustri bergamaschi. Studi critico-biografici di Pasino Locatelli. Bergamo, Pagnoncelli, 1867-69. Vol. 2.


Tre secoli sono correva il proverbio, non è terra senza passeri e senza bergamaschi; la famosa maschera Arlecchino veniva dalle valli di Bergamo, il cui dialetto notevole per specialità montana, dal secolo XIII lasciò traccie notevoli ne’ teatri italiani, e nelle traduzioni di poemi epici. Laonde nel medio evo, quando le distanze erano o parevano immense rispetto ai tempi nostri, quando la massima parte non esciva per tutta la vita dalla valle, dalla provincia nativa, il nome bergamasco era già noto in tutta Italia, diffuso da mercanti di panni e di utensili di ferro e di legno, da coltellinai, da arrotini, da muratori e decoratori, che sapevano anche salire all’altezza dell’arte. Laonde quando si spandette rumorosa la fama dei Tasso, dei Barziza, di Calepino, di Tiraboschi, di Mai, di Donizzetti originati dalle valli degli operai bergamaschi, non sembrò nuovo il nome di quell’alpestre sito d’Italia. [p. 185 modifica]

Pasino Locatelli, amoroso professore di letteratura italiana nel liceo di Bergamo, liceo detto Sarpi non so come, diede ai due volumi che annunciamo, il nome indeterminato di illustri bergamaschi, perchè non intese comprendere tutti i personaggi celebri prodotti da quella provincia, ma di eleggere solo gli artisti, siccome quelli che sono meno noti comunemente, e da lui con predilezione studiati. E col titolo fece altra sorpresa, perchè non si limitò a biografie sconnesse ed isolate, intese solo a fare spiccare gli individui, ma, come il maestro delle biografie, coordinò quelle per modo che come in lungo quadro, rappresentassero popolarmente la oscura storia dell’arte bergamasca. Ed ora proponendo di porre in mostra critica i tipi delle arti bergamasche dal secolo XIV ai tempi nostri, per la prossima esposizione provinciale a Bergamo, accenna di volere anche cogli oggetti dare perfezione al suo lavoro.

Quanta parte prenda l’arte nella civiltà, nella vita dei popoli, l’arte ministra e fomite di religione, di poesia, di spirito nazionale, si mostra dall’Egitto, dall’Etruria, dalla Grecia, dall’Italia segnatamente. Come si può conoscere bene e giudicare profondamente la storia de’ nostri paesi, se non se ne sono anche scrutate le vicende artistiche? Qui l’arte rimonta sino alle epoche della pietra, e non si spense mai, e risorse per iniziativa propria, e seguì le fasi delle libertà. La quale fu più tenace ne’ luoghi riposti delle alpi e degli appennini, quindi nell’Umbria, nel Friuli, nelle valli retiche, sui laghi lombardi anche nel medio evo l’arte fu mattiniera.

Quelle famiglie d’artisti euganei, umbri, etruschi che alla invasione gallica ripararono tra le penne delle alpi retiche, non si spensero mai, tramandarono da padre in figlio e nipote le pratiche secrete, onde vennero i magistri comacini de’ tempi longobardi, che continuano tuttavia, e che costrussero i duomi di Vercelli, di Como, di Milano, la S. Maria di Bergamo, la torre di Cremona e via dicendo. Dalle valli di Bergamo escivano specialmente i decoratori di stucco, di intaglio, di mosaico, di intarsio, di pittura; dal lago di Lugano segnatamente li scarpellini e scultori; dalla Val Camonica i costruttori senza cemento. Per questa valle scendevano nel medio evo gli eserciti germanici, ond’essa fu più militare che [p. 186 modifica]artistica, pure avendo a lato la Valle Seriana artistica per eccellenza. Sono cose curiose queste che sino ad ora passarono inosservate.

I veri focolari dell’arte non sono nelle città, ma nelle valli. Gli artisti operarono nelle città che li allettavano colle paghe, ma erano nati fuori. La massima parte de’ pittori e scultori di Venezia non nacque nelle isole. Gli stranieri che studiano le storie nostre vanno da città in città, non hanno tempo nè mezzi di salire alle umili culle montane degli artisti, de’ comunelli, onde nelle storie diligentissime straniere delle libertà, delle arti nostre, rimangono lacune, che voglion riempirsi dalla lunga e paziente diligenza de’ conterranei. I quali ponno fare scoperte importanti, come vedemmo nei lavori di Ricci, di Marchese, di Caffi, di Cavalcasene, del Conte di Arco, di Calvi, ed ora troviamo nell’opera del Locatelli, e come attendiamo dagli studi di Giovanni Morelli sull’arte lombarda, di D. Stefano Fenaroli sulla bresciana.

Bergamo sentì sempre l’orgoglio nobile delle sue tradizioni artistiche, onde parecchi di lei uomini egregi ne illustrarono amorosamente la storia artistica. Tra essi sono più noti Marensi, Pasta, Maironi, Salvoni, Sozzi. Ma pure lasciarono molto da spigolare e da giudicare più largamente e finamente al Locatelli.

Il Locatelli non rimonta a quelle umili tradizioni casalinghe per le quali le arti nostre pigliavano a risorgere colle libertà, senza l’effluvio dell’arte umbra e tosca e veneta, sino dal 1100 quando si costruivano torri e palazzi del popolo, e cattedrali e battisteri. Sin là salirà il Morelli. Egli piglia le mosse dai De Nova che dipinsero a Bergamo in famiglia dal 1340 al 1400. Egli colla scorta di Caleppino trova qui celebrati nel secolo XV Vincenzo Foppa da Brescia, Giovanni Bellini da Venezia e Gentile da Fabriano. Mostra come il Foppa ed il Civerchio a Crema si levarono prima di sentire l’influenza di Leonardo da Vinci. Il Civerchio educò Bernardino Zenale e Bernardino Buttinone da Treviglio. Mentre da Bergamo andavano a Venezia a perfezionarsi nell’arte presso Giorgione ed i Bellini Andrea Previtali e Palma il Vecchio.

Più tardi mostra il Locatelli come a Roma fossero attirati altri artisti bergamaschi, e come là emergessero Polidoro [p. 187 modifica]Caldara da Caravaggio, discepolo di Raffaello, e Castello Castelli da Gandino.

È un’opera amena quella del Locatelli; un misto di storia e di fantasia, e la parte poetica non si può raccogliere qui, si vuol leggere. E noi andiamo contenti solo ad accennare di essa i fatti notevoli, ed atti a sollecitare gli studiosi a cercarla. Con essa si sale a rintracciare il nido di Antonio Boselli a S. Gio. Bianco, di Iacopino da Scipione ad Averara, paesello semenzaio di artisti, dei Gasarni a Poscante, di S. Croce a Spino, di Palma a Serina, del Morone a Bondo di Val Seriana. Il quale fu a Brescia per studiarvi sotto Bonvicino o Moretto, la cui famiglia dovea avere con quella del Morone affinità, perchè anche la Bonvicina veniva dalla Valle Seriana, da Ardese.

Il nostro scrittore ci dà buone e curiose notizie de’ due sommi bergamaschi del secolo XVI, Talpino o Salmeggia pure di Val Seriana, e Lorenzo Lotto che altri vogliono veneziano. Col primo volume siamo già entrati nella splendida fase dell’arte, quando questa per le vivide luci di Raffaello e di Michelangelo da Roma, di Tiziano da Venezia, di Andrea del Sarto da Firenze, di Leonardo da Milano, non era più di alcuna speciale città, ma italiana. Il tipo della pittura bergamasca smarrivasi.

Nel secondo volume il Locatelli piglia l’arte a questa altezza e la conduce per biografie sino al nostro secolo, mostrandone le trasformazioni, le influenze delle varie scuole, de’ maggiori modelli. Vi discorre del Cariani ovvero Giovanni Busi da Fuipiano in Valle Brembana giorgionesco discepolo di Barbarelli, de’ pittori d’Averara, di Gianfrancesco Terzi, di Francesco Bonetti, degli scolari del Morone e del Talpino e del Cavagna, di Carlo Ceresa, de’ Preti Roncelli e Cotta, di Cristoforo Tasca, di Enrico Albrici, di Antonio Cifrondi, e finalmente de’ paesisti che morirono in questo secolo, Gozzi, Deleide, Ronzoni. Sono molto curiose, e nuove in parte le notizie che reca de’ pittori d’Averara.

Averara, egli dice, è una vallicella di Valle Brembana superiore, alpestre e tutta chiusa da alte giogaie. Quivi s’esercitarono forse ne’ primi passi all’arte gli Scipioni, i Della Vite, i De Borgatti, gli Scanardi, i Baschenis, i Guerinoni. Col Tassi [p. 188 modifica]trova primo atto rammentante i pittori d’Averara del 1477. S’intrattiene su questi pittori perchè «lo studio minuto dei numerosi artisti valligiani è qualche cosa di episodico nella grande istoria dell’arte». Ma non ci svela il secreto perchè in quella vallicella più che altrove allora sorgessero tanti pittori, perchè ora poi quella fecondità sia esaurita ad Averara. Se avesse cercato quale mestiere in origine esercitavano quelli di tale valletta, sarebbe stato sulla via del vero.

Quest’opera è scritta per dialoghi seguendo la tradizionale forma greco-italica per amenizzare la trattazione di materie aride per loro natura ed avere opportunità di dire molte cose accessorie divagando. Per rendersi popolare il Locatelli pone tra le discussioni e le notizie, episodi romantici, alcuni dei quali veramente sono commoventi e tutti scritti col cuore. Ma che poi abbia raggiunto lo scopo è difficile accordarlo. Perchè chi studia la storia dell’arte salta a piè pari il romanzo; chi va in cerca di letture piacevoli s’impazienta alla aridità di alcune notizie biografiche e d’arte. Molto più che l’opera venne su quasi a caso, sembra una ricucitura di parecchi articoli da giornale. Non venne predisposta con concetto generale storico ed artistico. Onde col secondo volume si empiono lacune del primo. Se l’autore volesse rifarla, la ridurrebbe ad un volume solo, in cui le materie fossero fuse. S’allarga tanto e s’accumula il sapere ogni giorno; anche i dotti ignorano tante cose necessarie, che diventa ognora più urgente e preziosa l’economia nello scrivere i libri, quella economia della quale diedero gli esempi migliori i Latini.

L’opera del Locatelli sarà vivamente cercata anche dagli stranieri che ora più che mai vivamente s’interessano alla storia dell’arte italiana, e che già sanno quanta parte di quest’arte ebbe pigliato Bergamo. A quelli specialmente dorrà di dover pescare qua e colà le notizie desiderate. Ma in patria quell’opera che mette in bella luce tante glorie e sì care contribuirà ad alimentare e rieccitare l’amore e l’intelletto dell’arte onde tanto si onorano i bergamaschi.

G. Rosa.