Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/168

Anno 168

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Anno di Cristo CLXVIII. Indizione VI.
SOTERO papa 7.
MARCO AURELIO imperad. 8.
LUCIO VERO imperadore 8.
Consoli

APRONIANO e LUCIO VETTIO PAOLO.

Tutti gli antichi fasti ci danno consoli sotto quest’anno Aproniano e Paolo. Par ben difficile che tutti si sieno ingannati. Una sola iscrizione riferita dal Panvinio1257 e dal Grutero, ci dà consoli Lucio Vettio Paolo e Tito Giunio Montano. Ma verisimilmente un Aproniano sarà stato console ordinario con Paolo, ed a lui, o per morte o per sustituzione, sarà succeduto Montano, parendo poco probabile che Montano fosse lo stesso che [p. 545 modifica]Aproniano. Già inclinato al lusso e a tutti gli sfoghi della sensualità Lucio Vero Augusto1258, maggiormente dacchè si fu allontanato dagli occhi del fratello imperadore, si era abbandonato, siccome di sopra accennammo, ad ogni sorta di piaceri, anche più abbominevoli, deludendo l’intenzion del fratello stesso che l’aveva inviato là, per isperanza che le fatiche militari il guarirebbono: speranza vana, come si conobbe dagli effetti. Ritornato che fu l’Augusto giovane a Roma, andava egli bensì alquanto ritenuto, per nascondere i suoi vizii al saggio imperadore Marco Aurelio, ma in secreto faceva alla peggio. Volle una cucina a parte nel suo appartamento; e, dopo essere stato alla parca cena di Marco Aurelio, passava colà a soddisfare la sua ghiottoneria, con farsi servire a tavola da persone infami, e con volere dei combattimenti di gladiatori a quelle private cene, le quali andavano sì a lungo, che talvolta egli abborracchiato si addormentava sopra i cuscini o letti, sui quali si adagiavano gli antichi stando alla mensa, e conveniva portarlo di peso alla sua stanza. In uso era allora di non far tavola, dove fossero più di sette persone; e diverse tavole verisimilmente si mettevano nelle grandi occasioni, perchè passavano per proverbio: Sette fanno un convito, nove fanno una lite. Lucio Vero fu il primo a voler dodici convitati alla medesima mensa, e con una profusione spropositata di regali; perchè ai paggi, agli scalchi ed ai commensali si donavano piatti, bicchieri d’oro, d’argento e gioiellati, vari animali, vasi d’oro con unguenti, e carrozze con mule guernite di ricchi finimenti. Costava cadauno di questi conviti una tal somma, che nè pure mi arrischio a nominarla: tanto è grande nel testo di Capitolino. Il resto poi della notte si soleva per lo più spendere in giuoco, vizio, oltre a tanti altri, imparato in Soria. Fecesi anche fabbricare una suntuosa villa nella via Clodia, dove se la passava in gozzoviglie co’ suoi liberti, e con quegli amici che godeano beni in quelle parti. Marco Aurelio sapea tutti questi disordini, e quantunque se ne rammaricasse non poco, pure fingeva ignorarli, per non romperla col fratello; anzi invitato da lui alla suddetta villa, non ebbe difficultà di andarvi, per insegnargli coll’esempio suo, come si dovea far la villeggiatura. E vi si fermò cinque giorni, attendendo anche allora alla spedizion delle cause, mentre Lucio Vero si perdeva ne’ conviti, o era affaccendato per prepararli. Dicono di più, che questo sregolato imperadore passò ad imitare i vergognosi costumi di Caligola, di Nerone e di Vitellio, coll’andar di notte travestito e incappucciato per le bettole e nei bordelli, cenando con dei mascalzoni, attaccando delle risse, dalle quali tornò talvolta colla faccia maltrattata da pugni, e rompendo i bicchieri delle taverne col gittar in aria delle grosse monete di rame. Sopra tutto era egli spasimato dietro alle corse de’ cavalli nel Circo, mostrandosi a spada tratta parziale in que’ giuochi della fazione Prasina, che portava la divisa verde; di maniera che anche mentr’egli col fratello Augusto assisteva a quegli spettacoli, più volte gli furono dette delle villanie dall’emula fazione Veneta, vestita d’azzurro. Innamorato specialmente di un suo cavallo, appellato Volucre, o sia Uccello, fece fare la statua di esso d’oro, e seco la portava. Invece d’orzo voleva che gli si desse uva passa con pinocchi; e per cagion di esso s’introdusse il dimandare per premio de’ vincitori nel corso un cavallo d’oro. Morto questo cavallo, gli fece alzare un sepolcro nel Vaticano. E tali erano i costumi e le capricciose azioni di Lucio Vero Augusto. Fin quando si facea la guerra de’ Parti, se ne preparò un’altra al settentrione contra de’ Romani1259. Avevano cominciato i Marcomanni, creduti oggidì abitatori della Boemia, ad infestare il [p. 547 modifica]paese romano; ma i generali che custodivano quelle parti, per non esporre l’imperio a questa pericolosa guerra, nel tempo che si facea l’altra più importante coi Parti, andarono sempre temporeggiando e pazientando, finchè venisse un tempo più opportuno da fiaccar loro le corna. Terminata con felicità l’impresa dell’Oriente, maggiormente crebbe l’insolenza di essi Marcomanni; anzi si venne a scorgere che quasi tutte le nazioni barbare abitanti di là dal Reno1260 e dal Danubio, cominciando dall’Oceano, fin quasi al mar Nero, erano in armi ai danni dei Romani, sia che fosse qualche lega fra loro, o pure che l’una imparasse dall’esempio dell’altra a disprezzar le forze della repubblica romana. Fra que’ popoli, tutti gente bellicosa e fiera, e che parea congiurata alla rovina de’ Romani, oltre ai Marcomanni principali fra essi, si contavano i Narisci, gli Ermonduri, i Quadi, i Suevi, i Sarmati, i Vandali, i Vittovali, i Rossolani, i Basterni, i Costobochi, gli Alani, i Jazigi ed altri, de’ quali non si sa il nome. Se dice il vero Dione, i Germani Transrenani vennero fino in Italia, e recarono de’ gravissimi danni: il che par difficile a credere. Fra i cadaveri di costoro uccisi, furono ritrovate molte femmine guernite di tutte armi. Così gli altri barbari saccheggiarono varie provincie, presero città, e sembra che s’impadronissero di tutta la Pannonia, o almeno di una parte di essa. Per attestato di Pausania1261, i Costobochi fecero delle scorrerie fino in Grecia. Portate così funeste nuove a Roma, riempirono tutta la città di spavento; e tanto più, perchè la peste avea fatto e facea tuttavia un fier macello anche delle milizie romane. Marco Aurelio1262, che con tutto il suo bel genio alla virtù, e con tutti i suoi studi, non giunse mai a conoscere la falsità della sua religione pagana, nè la verità della cristiana, di cui piuttosto fu persecutore, ricorse allora per aiuto agl’idoli, facendo venir da tutte le parti de’ sacerdoti, anche di religioni straniere, moltiplicando1263 i sagrifizii e le preghiere in così gran bisogno alle sorde sue deità. Fece ancora quanti preparamenti potè, per ammassar genti, e per reclutare le quasi disfatte legioni. Restò per un tempo ritardata la sua spedizione dalla peste tuttavia mietitrice delle vite umane; ma finalmente in quest’anno egli si mosse da Roma in persona con quelle forze che potè adunare. Insinuò egli segretamente al senato, essere necessaria l’andata di amendue gli Augusti, trattandosi di una guerra sì strepitosa e di tanta estensione; e questo fu decretato. Non si fidava il saggio imperador Marco Aurelio di mandar solo a cotale impresa il fratello Lucio Vero, perchè ne avea già sperimentata la codardia1264; e nè pur voleva lasciarlo solo in Roma, affinchè egli in tanta libertà maggiormente non s’immergesse negli eccessi, e crescesse il suo disonore. Si misero dunque in viaggio i due imperadori (ma Lucio Vero con interna ripugnanza e dispiacere) e pervennero sino ad Aquileja. Truovasi nelle medaglie1265 di questo anno, che i due Augusti presero per la quinta volta il titolo d’Imperadori. Non apparendo che vittoria alcuna, di cui questo titolo è indizio, si fosse per anche riportata contra de’ Marcomanni, improbabile non è, che sia con ciò significata quella che Avidio Cassio ebbe coi Bucoli, o sia coi pastori egiziani che si erano ribellati. Da Vulcazio Gallicano1266 abbiamo che Cassio si portò anch’egli alla guerra marcomannica; e però dovrebbe essere succeduta prima la ribellion d’essi pastori e la loro disfatta. Dacchè si sollevarono1267 i suddetti Bucoli, gente barbara e selvaggia, molti ne furono presi; ma gli altri vestiti con [p. 549 modifica]abiti donneschi, e fingendosi le mogli de’ prigionieri, invitarono un centurione romano a prendere l’oro preparato pel riscatto de’ prigionieri. In vece dell’oro, trovò egli le spade nemiche, che gli tolsero la vita. Cresciuto l’ardire in quella gente, e tirata nel suo partito la maggior parte degli Egiziani, con avere per capo un Isidoro, valorosissima persona, rimasero vittima del loro furore molte soldatesche1268 romane; saccheggi senza fine furono fatti; e poco vi mancò che non s’impadronissero della stessa Alessandria, capitale allora dell’Egitto. E sarebbe forse avvenuto, se non vi fosse accorso colle sue genti Avidio Cassio governatore della Soria. Non si attentò egli di venire a giornata campale con quella sterminata copia di gente fiera e disperata; ma gli riuscì bene di seminar fra loro la discordia: il che bastò per opprimere i pertinaci, e per ridurre gli altri alla sommessione. Quando ciò veramente succedesse in questi tempi, potrebbe ciò aver dato motivo agli Augusti di prender di nuovo il titolo d’Imperadori. Ma siccome le azioni e gli avvenimenti dell’imperio di Marco Aurelio sono a noi pervenuti senza distinzioni di tempo, così malagevol cosa è il poter fissarne gli anni precisi, e resta indeciso chi meglio in questa oscurità l’indovini.