Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/12
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Anno di | Cristo xii. Indizione xv. Cesare Augusto imper. 56. |
Consoli.
Germanico Cesare e Caio
Fontejo Capitone.
Tiberio Giulio Germanico Cesare, nipote e figliuolo per adozione di Tiberio Cesare, e nipote, a cagion d’essa adozione, di Augusto, pel merito acquistato nelle guerre della Germania, Pannonia e Dalmazia, ottenne quest’anno il consolato e inoltre gli ornamenti trionfali1. Nelle calende di luglio a Capitone fu[p. 36] sostituito nel consolato Cajo Visellio Varrone. Con esso Germanico venne anche Tiberio2, nell’anno presente a Roma. Le guerre sopravvenute gli aveano impedito il trionfo destinatogli dal senato per le guerre da lui felicemente terminate nella Pannonia e Dalmazia. Ricevette egli ora quest’onore, con entrare trionfalmente in Roma. Prima di passare al Campidoglio, scese dal carro trionfale, e andò ad inginocchiarsi ai piedi d’Augusto, che con gran festa l’accolse. Seco era Batone, che già vedemmo capo della sollevazion della Pannonia ed è chiamato re di quella provincia da Rufo Festo, ma impropriamente. A costui professava non poca obbigazione Tiberio, perchè nella guerra pannonica trovandosi egli stretto in un brutto sito, e circondato dai ribelli, Batone generosamente il lasciò ritirarsi in luogo sicuro. Per gratitudine Tiberio gli fece de’ grandissimi doni, e il mise di stanza a Ravenna. Seguita a dire Svetonio, aver Tiberio dato un convito al popolo con mille tavole apparecchiate, ed oltre a ciò un congiario, cioè un regalo di trenta nummi per testa. Dedicò eziandio il tempio della Concordia, mettendo nell’iscrizione, come asserisce Dione3 d’averlo rifatto egli con Druso suo fratello già defunto. V’ha chi crede fatta cotal dedicazione nell’anno di Cristo X, e chi nel precedente IX, tirando ciascuno4 al suo sentimento le parole di Dione. Ma dacchè lo stesso Dione confessa che prima di questa dedicazione Tiberio era passato in Germania, da dove solamente nell’anno presente ritornò, nè essendo verisimile che in lontananza egli dedicasse quel tempio; sembra ben da anteporsi l’autorità di Svetonio che mette quel fatto sotto l’anno presente, che è inoltre autore più vicino a questi tempi, che non fu Dione. Dedicò parimente lo stesso Tiberio il tempio di Polluce e di Castore sotto il nome suo o del fratello Druso, mettendo ivi le spoglie de’ popoli soggiogati.
Quantunque Augusto si trovasse in età molto avanzata, e con vacillante sanità, pure non lasciava di pensare al pubblico bene5. Perciò in quest’anno fece pubblicare una legge contro i Libelli famosi, ordinando che fossero bruciati, e castigati i loro autori. E perchè intese che gli esiliati da Roma con gran lusso viveano, e andando qua e là si ridevano delle delizie di Roma, nè parea loro di essere gastigati; ordinò che non potessero soggiornare se non nelle isole distanti dalla terra ferma per cinquanta miglia, a riserva di Coo, Rodi, Sardegna e Lesbo. Ristrinse ancora i lor comodi e la lor servitù. Per cagione poi della poca sua sanità mandò a scusarsi coi senatori, se da lì innanzi non poteva andar a convito con loro, pregandoli nello stesso tempo di non portarsi più a salutarlo in casa, come fin qui avevano usato di fare non tanto essi, ma eziandio i cavalieri ed alcuni della plebe. Finalmente raccomandò Germanico al senato, ed il senato a Tiberio con una polizza: segno ch’egli si sentiva già fiacco di forze, e vicino ad abbandonar questa vita. Molti pubblici giuochi furono fatti nell’anno presente dagl’istrioni e dai cavalieri nella piazza d’Augusto; e Germanico diede una gran caccia nel Circo, dove furono uccisi dugento lioni dai gladiatori. Fece ancora la fabbrica e la dedicazione del portico di Livia, in onore di Cajo e Lucio Cesari defunti. Abbiamo da Svetonio6, che in quest’anno, nel dì 31 di agosto, venne alla luce Caio Caligola, che fu poi imperadore, figliuolo di esso Germanico Cesare, e di Giulia Agrippina, nata da Marco Agrippa, e da Giulia figliuola di Augusto. Chi il fa nato in Treveri, chi in Anzio in Italia. Di poca conseguenza è questa disputa, perchè egli non diede motivo ad alcun luogo di gloriarsi della di lui nascita.