Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/11
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Anno di | Cristo xi. Indizione xiv. Cesare Augusto imper. 55. |
Consoli.
Manio Emilio Lepido e Tito
Statilio Tauro.
Ad alcuni non par certo il prenome di Manio nel primo di questi consoli. Numio è da essi creduto piuttosto. Marco fu appellato da altri. Un’iscrizione legittima potrebbe decidere questa poco importante quistione. Ad Emilio Lepido fu sostituito nelle calende di luglio Lucio Cassio Longino. Sotto questi consoli, narra Dione, che Tiberio e Germanico con autorità proconsolare fecero un’irruzione nella Germania, misero a sacco un tratto di quel paese; ma niuna battaglia diedero, perchè niuno si opponeva; nè sottomisero alcun di que’ popoli, perchè, ammaestrati dalle disgrazie di Varo, non volevano esporsi a pericolosi cimenti. Svetonio, benchè poco d’accordo con Dione, anch’egli attesta1 che Tiberio (avvezzo per altro a far di sua testa le risoluzioni) nulla intraprese in questa spedizione senza il parere de’ suoi primari uffiziali. Aggiugne, aver egli osservata una rigorosa disciplina nell’esercito; e che sebben egli non amava di azzardar la fortuna ne’ combattimenti, pure non avea difficoltà a combattere, se nella precedente notte all’improvviso si fosse smorzata da sè stessa la sua lucerna, benchè vi fosse dell’olio; perchè dicea d’aver egli e i suoi maggiori trovato sempre questo un segno di buona fortuna; tanto si lasciavano gli antichi pagani travolgere il capo da tali inezie. Ma riportata vittoria un dì, poco mancò che un di que’ barbari non l’uccidesse, siccom’egli confessò di poi ne’ tormenti di aver meditato. Dovette ancora succedere in quest’anno ciò che narra Vellejo Patercolo2, cioè che essendo insorto un fiero tumulto e dissensione della plebe[p. 34] in Vienna del Delfinato.j, città allora floridissima, accorse colà Tiberio; e senza adoperar le scuri, quietò quella pericolosa commozione. Sappiamo inoltre da Dione, che dopo l’incursione fatta nella Germania, Tiberio e Germanico si ritirarono al Reno, e quivi stettero sino all’autunno: nel qual tempo fecero giuochi pubblici in onore del natale d’Augusto, e similmente un combattimento di cavalleria. Poscia verso il fine dell’anno se ne tornarono in Italia.
Intanto Augusto mise in Roma un po’ di freno alla astrologia giudiciaria, ch’era e fu anche da lì innanzi in gran voga in quella città, proibendo di predire la morte d’alcuno, benchè egli per sè niun pensiero si mettesse della vanità di quest’arte, ed avesse lasciato correre in pubblico l’oroscopo suo. Vietò ancora per tutte le provincie, che nulla più del consueto onore si facesse ai governatori ed altri ministri pubblici, durante il loro impiego, nè per due mesi dopo la loro partenza, imperciocchè per ottener simili dimostrazioni, si commettevano molte iniquità. Ora qui insorge fra gli eruditi una gran contesa, cioè in qual anno fosse Tiberio dichiarato Collega nell’Imperio, cioè ornato di quella stessa podestà tribunizia e proconsolare, che godeva lo stesso Augusto. In vigore dell’ultima era conceduto il comando di tutte le armate fuori di Roma colla stessa balìa che godevano i consoli. Da questo principio si pensano alcuni letterati di poter dedurre l’anno quindicesimo di Tiberio, enunziato da s. Luca. Non è facile la decision della quistione, perchè gli stessi antichi istorici son fra loro discordi, non già nell’assegnare il giorno, credendosi fatta tal dichiarazione dal senato nel dì 28 di agosto, ma bensì quanto all’anno. Svetonio scrive3 che, essendo ritornato Tiberio dalla Germania dopo due anni a Roma, per decreto del senato gli fu conceduto di amministrar le provincie comunemente con Augusto. Ma la autorità di Vellejo Patercolo merita ben di essere preferita a quelle di Svetonio per aver egli scritto le avventure de’ suoi tempi; e militato allora sotto lo stesso Tiberio, laddove Svetonio visse e scrisse cento anni dipoi. Ora abbiamo da Velleio4 che, a requisizione d’Augusto, il senato e popolo romano concedette a Tiberio l’uguaglianza nella podestà pel governo delle provincie e delle armate: Ut aequum ei jus in omnibus provinciis, exercitibusque esset. Dopo di che Tiberio se ne tornò a Roma. Adunque piuttosto all’anno presente si dee riferire l’esser egli divenuto collega dell’imperio. Anche da Tacito5 possiam raccogliere la stessa verità, scrivendo egli, che Tiberio Collega Imperii, consors Tribuniciae Potestatis adsumitur, omnesque per exercitus ostentatur. Pare che Tacito anticipi di qualche anno questa dignità; ma certamente fa intendere la medesima a lui conferita, mentr’esso era all’armata, e non già allorchè fu giunto a Roma. Però assai fondamento abbiamo per credere che dall’anno presente, a cagione di questo innalzamento di Tiberio, alcuni cominciassero a numerare gli anni del suo imperio; sentenza adottata dal padre Pagi e da altri.