Andria/Atto quinto/Scena IV
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CRITONE, CREMETE, SIMONE, E PANFILO.
- Critone
- LAsciate i preghi, già ognuna di queste
Cagioni persuadonmi il farlo;
Perche voi lo cercate, perchè il fatto
E’ vero, e perch’io bramo il bene di
Gliceria?
- Cremete
- E’ quegli Criton d’Andro?
Certo
E’ desso.
- Critone
- Bene stia, Cremete.
- Cremete
- Che
Vuol dir, che fuor del solito voi siete
In Atene?
- Critone
- Mi è occorso; ma è Simone
Quegli?
- Cremete
- Si è.
- Simone
- Di me cercate forse?
Siete voi quel, che dice, che Gliceria
E’ Cittadina d’Atene?
- Critone
- Il negate?
- Simone
- Così tu vieni quì apparecchiato?
- Critone
- Apparecchiato a che?
- Simone
- A che, mi dì?
Tu farai queste cose senza alcuna
Punizione? Menerai la mazza
Ai giovanetti semplici, e di buona
Nascita, e lor pasto dai, con dare
Loro speranze, e promesse?
- Critone
- Se’ tu
In cervello?
- Simone
- E fermar vorresti gli
Amori d’una poltrona con le
Nozze?
- Panfilo
- Io ho gran paura, che rimanga
Di sotto il forestiere.
- Cremete
- Se sapeste,
Simone, chi è costui, non vi parrebbe
Così, ch’egli è uomo dabbene.
- Simone
- Da
Bene? E so dire egli è venuto appunto
Oggi così a tempo delle nozze,
E prima e’ non si è mai veduto quì?
Parvi Cremete, ch’egli sia da credergli?
- Panfilo
- S’ io non temessi mio Padre, io avrei
Da suggerirli sopra questo fatto
Un buono avvertimento.
- Simone
- Giuntatore.
- Critone
- Orsù.
- Cremete
- Critone, non ne fate molto
Caso ch’egli è di questa taglia.
- Critone
- Ed egli
Vedrà poi poi di che taglia son’io;
Che s’e’ seguiterà a dirmi ciò,
Ch’ei vuole, e potrà forse udir di ciò,
Che non vuole. Son’io forse cagione?
Importa a me di queste cose? e voi
Non avete a portar vostre sciagure
In pace? Ei si puô ben venir in chiaro,
Se quel, che dico è vero, o no. Già tempo
Ruppe un certo Ateniese, e fu gettato
Sul lido d’ Andro: e seco pure questa
Fanciulla allor piccina; e il poverello
Per sorte fu alloggiato in casa il padre
Di Crisida.
- Simone
- La favola incomincia.
- Cremete
- Lasciatel dir.
- Critone
- Così ne m’interrompe?
- Cremete
- Seguite pur.
- Critone
- Colui che ricovrollo
Era parente mio: onde da lui
Intesi, ch’egli era di Atene, e quivi
A morte venne.
- Cremete
- Che nome aveva egli?
- Critone
- Voletel voi saper sì tosto? Fannio.
- Cremete
- Oime, son morte.
- Critone
- In verità mi pare,
Che fosse Fannio, e questo so per certo,
Ch’egli dicea d’esser Rannusio.
- Cremete
- O Dio!
- Critone
- E allora in Andro queste cose istesse
Furo udite da molti.
- Cremete
- Voglia Iddio,
Che sia la cosa come spero; ma
Dite un poco, Criton, che dicea egli
Di quella fanciullina? Dicea forse,
Ch’ella era sua?
- Critone
- Non già.
- Cremete
- Ma di chi dunque?
- Critone
- Di un suo Fratello.
- Cremete
- Ah certo ella è mia figlia.
- Critone
- Che dite?
- Simone
- Che mai dite?
- Panfilo
- Sta in orecehi,
O Panfilo.
- Simone
- O Cremete, gli credete
Voi?
- Cremete
- Questo Fannio, ch’ei dice fu mio
Fratello.
- Simone
- Io lo conobbi, e so.
- Cremete
- Costui
Quindi fuggendo i mali della guerra,
Venia per ritrovarmi in Asia: e avendo
Timore a lasciar là sola mia figlia,
La menò seco: da allora in qua,
Questa è la prima volta, ch’io so
Quel che di lui accadessesi.
- Panfilo
- Appena
Io sono in me, cotanto son battuto
Da timor, da speranza, da letizia
Di un ben così miracoloso, e tanto
Repentino.
- Simone
- Rallegromi da vero
Che per tanti riscontri conosciate
Costei per vostra figlia.
- Panfilo
- Io ve lo credo,
O Padre.
- Cremete
- E’ mi rimane però uno
Scrupolo ancor, che non mel lascia credere.
- Panfilo
- Con tante sottigliezze date pena.
Cercate cinque piè al mattone.
- Critone
- Che
Scrupolo?
- Cremete
- Il nome non s’incontra.
- Critone
- In vero,
Da picciolina ella ne aveva un’altro.
- Cremete
- Vi ricordate Criton, qual ei fosse?
- Critone
- Vo malinando.
- Panfilo
- Sofferirò dunque,
Che la poca memoria di costui
Soprattenga il mio bene, quando io posso
Da me porgermi aita? Certo no.
O Cremete, sapete quale è il nome
Che voi fantasticate? egli è Pasibula.
- Critone
- Ella è dessa.
- Cremete
- Sì certo.
- Panfilo
- Mille volte
L’ho udito di sua bocca.
- Simone
- O il mio Cremete,
Io credo ben, che voi pensiate, come
Tutti ne siamo consolati.
- Cremete
- Se
Dio mi guardi, lo penso.
- Panfilo
- Che rimane
Ora, o mio Padre?
- Simone
- Il fatto stesso mi ha
Già appiacevolito.
- Panfilo
- O caro Padre.
Circa il prenderla in moglie, poichè l’ebbi
Come tale in poter, Cremete, non
Muterà la faccenda.
- Cremete
- La ragione
E’ buonissima, purche qualche nuova
Cosa non voglia vostro padre.
- Panfilo
- Bene.
- Simone
- Io per me lo confermo.
- Cremete
- Avrà sei mila
Scudi di dote.
- Panfilo
- Ed io l’accetto.
- Cremete
- Volo
A trovar mia figliuola. Olà, Critone,
Venite meco; poichè credo, ch’ella
Non mi conosca.
- Simone
- E perchè non la fate
Condur in casa nostra?
- Panfilo
- Dite il vero.
Io darò questa cura a Davo.
- Simone
- A Davo?
Non si può già.
- Panfilo
- Perchè.
- Simone
- Perch’egli ha cure
Per se vie più importanti.
- Panfilo
- Che affar ha?
- Simone
- Egli è legato.
- Panfilo
- Oh padre egli è legato
Malamente.
- Simone
- Pur l’ho fatto legare
Bene.
- Panfilo
- Io vi prego fate, ch’ei si lasci.
- Simone
- Si ch’io voglio.
- Panfilo
- Ma presto.
- Simone
- Io vo dentro.
- Panfilo
- Oh giorno in cui mi cola
Mele, e zucchero!