Andrea Doria/La Vita/19

La Vita
Capitolo 19

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Le condizioni di spirito e di salute di Carlo V erano giunte a tal punto che, in una riunione di famiglia, egli espresse la sua volontà di abdicare. La prima cerimonia dell’abdicazione in forma solenne si tenne a Gand il venerdì 25 ottobre 1555, dinanzi a tutti i membri della famiglia, a tutti gli ambasciatori stranieri, e ai dignitari e rappresentanti delle Fiandre: l’imperatore rinunciò in essa al Governo delle Fiandre, che passò al figlio. Cerimonia commovente, che fece scorrere le lagrime sul viso dei presenti. L’Imperatore. parlò, ricordando tutte le tappe del suo glorioso impero, tutto il suo immenso oprare per la grandezza delle Corone da Dio affidategli, e chiuse la sua esposizione dicendo, «sto in pace con tutti, e a tutti chiedo perdono, se ho offeso qualcuno». Raccomandò al figlio di onorare soprattutto la Religione Cattolica, di rispettare le leggi e i privilegi dei suoi sudditi, e gli augurò di potere, come lui, lasciare il governo dei suoi regni, all’ora stabilita dal destino, a un discendente capace di reggerli degnamente.

Fiaccato dallo sforzo e dalla emozione, Carlo V si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona, mentre il figlio, in ginocchio dinanzi a lui, si stringeva piangendo alle sue ginocchia, baciandole.

Il 16 gennaio successivo rinunciava, sempre in favore del figlio, ai regni di Spagna (Castiglia e Leon, Aragona) e ai domini d’Italia, e successivamente, in favore del fratello don Fernando, all’Impero e agli stati ereditari d’Austria.

Il 15 febbraio 1556, essendo ancora in corso gli strumenti per il passaggio dei poteri, l’Imperatore firmò con Enrico II la tregua di Vaucelles, alla quale volle anche far apporre la firma dal figlio, ormai suo successore. Tutte le pratiche di trasmissione furono ultimate soltanto nel mese di agosto, e finalmente, il 15 settembre, Carlo V poté imbarcarsi a Fleisingen per la Spagna, dove si ritirò nel convento di S. Giusto, presso Plasencia, nell’Estremadura. Quivi, contrariamente alle leggende dovute alla fantasia di alcuni storici non compié pazzie, né fu colpito da fissazioni. Seguì anzi - come precisa Eduardo Ibarra nella España bajo los Austrias - gli avvenimenti politici e militari dei suoi regni con speciale interesse, intervenendo sovente con consigli e suggerimenti presso il figlio: e anche la sua vita quotidiana - che disponeva di un seguito di sessanta persone al suo servizio – per quanto strettamente legata alle pratiche religiose, non fu quella di un penitente, specialmente per quanto ha riguardo alla lista dei suoi pranzi. Ebbe talora grandi crisi di malinconia, attribuite ai riflessi ereditari della madre, Giovanni la Pazza. La morte lo colse il 21 settembre 1558, a seguito di un forte attacco di febbri malariche. Grandi cerimonie funebri furono celebrate in tutti i suoi possedimenti, in Italia, in Inghilterra, e anche in Francia. Genova vide governanti, nobiltà e popolo riuniti in San Lorenzo, con a capo il Principe, che pianse pubblicamente il grande sovrano e il grande amico scomparso,

Mentre questi decisivi avvenimenti si svolgevano, in Italia, per colpa del Pontefice Paolo IV, che già da cardinale di Napoli si era opposto alla dominazione spagnola avendone gravi divergenze con l’Imperatore - il quale ben tre volte oppose in Conclave il veto alla sua elezione - veniva iniziata una guerra contro Napoli che, per avere il Papa richiesto l’aiuto della Francia, fece romper nel novembre 1556 la tregua d’armi di Vaucelles dopo soli nove mesi dalla sua firma, e ricacciò l’Europa in convulsione. Un fatto banalissimo servi all’ottantenne Pontefice per pretesto: e, benché Filippo II, pur costretto a marciare in guerra contro il potere temporale, avesse ordinato al duca d’Alba vicerè di Napoli ogni riguardo per la persona di Paolo IV, per la sua Corte e per Roma, sia il Re che il Vicerè vennero denunciati al Santo Uffizio e, ritenuti autori di attacco armato alla S. Sede, scomunicati. La Francia, nel febbraio del 1557 inviò in Italia il duca di Guisa, senza ottenere tangibili risultati. Solo per opporsi a tale intervento, il duca d’Alba entrò nel territorio pontificio e circondò Roma, trattenendo i suoi uomini, che avrebbero voluto entrare nella città, e saccheggiarla. Intanto le truppe francesi, già ridotte a mal partito per le malattie e specie per la malaria, venivano richiamate con urgenza in Francia, a seguito della rotta di S. Quintino, per coprire Parigi: e il duca d’Alba poté così trattar con Paolo IV la pace, che fu segnata il 19 settembre 1557, dopo aver ottenuto l’annullamento della scomunica per lui e per il suo Re.

Ma se in Italia la guerra non aveva assunto aspetti decisivi, con ben altri risultati era stata ripresa in Francia, dove il 10 agosto 1557 Emanuele Filiberto di Savoia, cugino del Re e comandante dell’esercito spagnolo, riportò una grande vittoria campale sui francesi, davanti alla città e alla fortezza di S. Quintino: e se Filippo, ascoltando il parere del Savoia e dello stesso Imperatore che, dal suo ritiro, gli mandò subito il suo consiglio, avesse inseguito l’esercito sconfitto e occupato Parigi, la Francia, messa in ginocchio, avrebbe cessato di essere, per lungo tempo, un elemento di pericolo per la Spagna.

Filippo temette il gesto risolutivo, e preferì ordinare l’assedio della vicina città di S. Quintino. Questo grande errore strategico fece proseguire la guerra per un altro anno, finché la nuova sconfitta che i francesi - per il tempestivo intervento della flotta inglese - subirono a Gravelines il 13 luglio 1558, li convinse a chiedere la pace che, dopo lunga trattativa, fu finalmente conchiusa il 3 aprile 1559 a Cateau Cambrésis. A facilitare l’accordo erano intervenuti due fatti luttuosi: la morte di Carlo V, che aumentò in Filippo il desiderio di rientrare in Spagna, e la morte di Maria Tudor regina d’Inghilterra e moglie di Filippo, avvenuta il 17 novembre 1558, che permise la combinazione di un nuovo matrimonio dinastico, tra Filippo e Isabella di Valois, figlia di Enrico II re di Francia. Questo matrimonio fu poi la causa indiretta della morte di Enrico Il, avvenuta per un incidente di torneo durante i festeggiamenti nuziali, nel luglio del 1559.

Nel trattato di Cateau Cambrésis, a seguito degli insistenti interventi di Andrea Doria presso il re Filippo II, fu incluso un articolo che disponeva la totale restituzione della Corsica alla Repubblica di Genova: il Re di Spagna, per far cosa grata al Principe, volle che tale clausola fosse eseguita subito, e comunicò ai Francesi che non avrebbe restituito San Quintino, finché la Corsica non fosse stata restituita ai Genovesi, come infatti avvenne.