Andrea Doria/La Vita/16

La Vita
Capitolo 16

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La vita della Repubblica di Genova, in quel periodo era, come abbiamo visto, alquanto agitata: ma lo stesso si può dire anche per altri territori dell’Impero. In Germania la lotta fra i protestanti e i cattolici portò alla ribellione di molti baroni, che rifiutarono di partecipare al Concilio di Trento e di accettarne in seguito le conclusioni. Le truppe dell’Imperatore dovettero procedere militarmente ad occupare le città ribelli, senza poter con ciò dominare lo spirito avverso dei protestanti.

A Napoli, contro il vicerè don Pedro di Toledo nacque una fiera rivolta di popolo al grido di: Viva il Re e morte al Vicerè e al suo Consiglio! Il motivo di essa dovevasi ricercare nell’odio della popolazione contro don Pedro, per le sue vessazioni, e fu accentuato dall’annuncio dato dallo stesso, di stabilire anche nel Regno il tribunale dell’Inquisizione. La rivolta fu violenta, ma fu per poco apparentemente domata, avendo la polizia arrestato cinque capi, tre dei quali furono subito giustiziati ed esposti al pubblico. Tale crudeltà suscitò nuovi tumulti e nuovi eccessi popolani, che costarono la vita a più di mille spagnoli e a molti loro amici italiani, con saccheggi e distruzioni di case e di oggetti, che terminarono solo quando, con decisa azione, l’ordine fu ristabilito.

Don Pedro, che aveva dovuto rinchiudersi nel castello, non sarebbe stato in condizione di domar la popolazione inferocita e armatissima, senza validi aiuti di truppe, che gli vennero per mezzo delle galee del Principe. Questi, alle prime notizie, si rese conto della gravità del pericolo che correva quell’importante dominio imperiale e, subito accordatosi col Gonzaga, mandò Marco Centurione ad imbarcare a La Spezia il contingente di truppe proveniente da Milano, e a Pisa quello di Firenze, che così poterono celermente proseguire per Napoli a riportarvi, sia pure con aspra lotta, la pacificazione.

Il 30 marzo di quello stesso anno 1547, moriva a Rambouillet il fiero avversario di Carlo V, Francesco I, re di Francia. La sua morte lasciò all’Imperatore una maggior libertà per combattere contro il Protestantesimo, in quanto gli toglieva una costante minaccia e un avversario non mai domato. Infatti l’esercito imperiale, agli ordini di don Fernando di Toledo terzo duca d’Alba, stringendo i tempi, costrinse i ribelli a battaglia campale a Mühlberg, in un’ansa della Elba, e il 24 aprile inflisse loro una terribile sconfitta, che li fece sottomettere all’Imperatore.

Sempre preso dalle lotte religiose, Carlo V riunì nel febbraio 1548 un’altra Dieta ad Augsburg, nella quale venne a conclusioni e a concessioni che portarono una calma momentanea, ma che non contentarono nessuna delle due parti.

Benché colpito dalla gotta sempre più gravemente, egli si trasferì nelle Fiandre, dove richiamò di Spagna il figlio Filippo, per poterlo presentare ai suoi futuri sudditi, mandando a sostituirlo suo nipote Massimiliano, figlio di don Fernando suo fratello. Intanto la Spagna reclamava l’Imperatore, da troppo tempo lontano: gli indirizzi di devozione giunsero molto graditi al Sovrano, che promise di accontentare presto i suoi sudditi.

Andrea Doria ospitò a Genova nel suo palazzo Massimiliano col suo seguito, e per il viaggio suo e quello di Filippo fece preparare una quinquereme fornita di ogni attrazione d’arte, di bellezza e di comodità. Una flotta di quaranta navi scortò Massimiliano il quale, però, durante il viaggio fu colpito da una forte febbre che lo costrinse a ritardare la celebrazione delle nozze con sua cugina donna Maria, figlia dell’Imperatore. Le feste per tale avvenimento furono fastosissime e tra l’altro il Cardinale di Trento, che accompagnava Massimiliano, offrì ai Grandi di Spagna, e a tutte le alte personalità, fra le quali il Doria, un banchetto memorabile, preparato dai più famosi cucinieri venuti appositamente dall’Italia, nel quale furono servite ben trecentoquarantasette portate diverse.

Appena i due freschi sposi ebbero assunto la Reggenza, Filippo poté partire per raggiungere l’Imperatore. Si imbarcò infatti a Rosas il 2 novembre e, dopo una fortunosa traversata, giunse a Genova il 25. Ospitato dal Principe con la sua numerosa Corte e con una quantità di rappresentanti della nobiltà spagnola, ricevette l’omaggio di tutti i Principi italiani devoti alla sua Casa, di tutti gli Ambasciatori e di tutte le personalità spagnole residenti in Italia. Dopo sedici giorni di permanenza a Genova, l’11 dicembre proseguì il viaggio per le Fiandre.

Il 16 dicembre, da Voghera, mandò all’Imperatore una diffusa e importante relazione sulla situazione genovese, esaminata con acutezza e con spirito d’osservazione scevro da preconcetti: anche in questo documento era ribadito il concetto dello strapotere di Adam Centurione presso il Doria, e si dava notizia della riconciliazione tra Andrea Doria e il Cardinale Girolamo Doria, che da tempo non erano in relazione.

Durante la permanenza a Genova di Filippo di Spagna successero alcuni incidenti dovuti all’uccisione di un genovese avvenuta il 3 dicembre ad opera di un gentiluomo spagnolo, Antonio d’Arze: arrestato e tradotto alle carceri del Palazzo Ducale, il 6 dicembre si presentava un drappello spagnolo per prenderlo in consegna e condurlo sulle galee di don Bernardino de Mendoza per essere poi processato. Le guardie, per un equivoco, si opposero a mano armata all’ingresso del drappello nelle carceri, e il popolo, credendo in un tentativo spagnolo di occupare la Signoria, prese le armi e corse sul posto, deciso ad opporsi ad ogni violenza straniera. Solo l’intervento del Doge evitò gravi incidenti: e il Doria, fattosi portare sopra una seggiola in giro per la città, riuscì a riportare la calma e a chiarire l’incidente.

L’anno seguente, 1549, nel giorno dei Morti morì Paolo III cui successe ai primi di marzo del 1550 Giulio III, già cardinale Gian Maria del Monte. Sempre fermo nel suo desiderio di combattere contro gli infedeli per estirparne il malseme, il Principe Andrea Doria sperò dal nuovo Pontefice decisivo aiuto: intanto aveva mandato un messaggero all’Imperatore per convincerlo a fare una campagna decisiva per liberare il Mediterraneo da quel flagello. Purtroppo in quel momento la lotta sempre viva contro i protestanti, non permetteva a Carlo V di occuparsene direttamente - e forse il ricordo di Algeri, unito allo stato della sua salute, contribuiva a distoglierlo dall’idea d’una sua nuova spedizione in Barbaría - ma autorizzò il Principe a fare contro gli infedeli tutto quanto riteneva necessario alla difesa delle terre e degli averi dei cristiani.

Il pirata Dragut, già fatto prigioniero da Giannettino Doria e riscattato nel 1544 dal Barbarossa, era diventato il suo vero successore.

Avuto dallo stesso Barbarossa il comando di una squadra, si diede a saccheggiare le coste del Napolitano e quelle della Sicilia, riuscendo infine a impadronirsi di un porto a ventotto leghe da Tunisi, dove mise la sua base. Il Principe, che conosceva tale porto, chiamato Torre d’Annibale, sapeva ch’era una posizione difficilissima ad attaccare, ma ciò nonostante si lanciò nell’impresa. Nel marzo 1550 si mise per mare con le sue venti galee, imbarcando a Spezia truppe spagnole che ivi avevano svernato. A Napoli e in Sicilia completò esercito e flotta con uomini e navi del vicerè di Sicilia Giovanni de Vera, di don Garcia di Toledo, figlio del vicerè di Napoli, e anche di Cosimo de’ Medici. Giunti a La Goletta, il governatore Luis Perez de Vargas si aggregò con i suoi mezzi alla spedizione, che subito mise la prua sul rifugio del corsaro, assediandolo ed attaccandolo.

La lotta fu aspra e lunga, e la resistenza dei turchi ammirevole, ma finalmente, attaccata dalla terra e dal mare, la fortezza cedette, mentre Dragut, riuscito a fuggire, poté raggiungere il Sultano.

Le feste di tutte le città costiere e di Roma cattolica furono grandi, al conoscere la vittoria ottenuta sul pericoloso corsaro. Genova fece grandi accoglienze al suo grande figlio vittorioso: purtroppo la gioia per il successo tanto desiderato ebbe poca durata per il Principe, poiché la morte della principessa Pieretta sua consorte dolcissima e degnissima, venne a rattristargli l’esistenza. Donna di rarissime qualità e di riconosciuta saggezza, abbiamo detto, lasciò nella vita e nel cuore del consorte un vuoto non più colmabile.

Ma ben presto egli fu richiamato alla realtà della lotta dalle notizie che gli informatori gli recavano, circa i preparativi che Dragut in Oriente stava facendo: e pensando ch’egli volesse riprendere il suo rifugio, in pieno inverno partì per Torre d’Annibale, recando al presidio lasciato a custodire la fortezza, tutte le vettovaglie e le munizioni necessarie per resistere a un lungo assedio, nell’attesa dei soccorsi.