Amor, non so che mia vita far deggia

Fazio degli Uberti

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu Letteratura Amor, non so che mia vita far deggia Intestazione 2 settembre 2021 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Fazio degli Uberti


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     Amor, non so che mia vita far deggia
Nè qual cammino a campar possa prendere;
Chè i miei lamenti intendere
Non par l’Angiola bella, tanto è frigida.
5Nè però la tua fiamma non s’alleggia,
Ma più mi sento dentro al core accendere,
E lei pare sì ’ntendere
Di me sì come pietra o cosa rigida.
Costei crescendo in tempo più s’infrigida,
10Non segue il nome suo nè forma angelica;
Ma come fera belica
Contra ètti; e seco non mi vai retorica,
Ch’i’ possa informar lei di tua teorica.
     Per la virtù d’arïete appaiono
15Le verdi foglie e ’l vago fior s’ingenere;
Ogni fronda vien tenere,
E partorisce pregna dallo zeffìro.
Le stelle fredde al nostro polo spaiono.
Ogni animale e augelletto è in Venere
20E pulisce sua penere,
E del passato gel par che si beffino.
E quale in più frondifero
Bosco celata sta bestia selvatica,
In l’amorosa pratica,
25Sentendo il dolce tempo, si dimestica.
Ma pur questa crudel non vien domestica.
     Su’ più frigidi monti si dileguano
Le bianche nevi e giuso al pian fan rivoli;
E quei che più piacevoli
30Fiumi son stati allor crescono; e strepita
Delle lor guerre il mar. I pesci attreguano
E vanno a prova nuotando piacevoli,
Diventando amorevoli,
Sentendo crescer l’acqua e farsi tepida.
35Tutta la terra crepita
E dai più duri sassi fuora germina.
Ma pur costei non termina

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La sua durezza; ed io pur la desidero;
E piangon gli occhi che poco la videro.
40     Il mar profondo non fromba non litica,
Cessa dall’ondeggiar forte e malivolo,
E diventa benivolo,
Sì che li marinai lieti pileggiano.
Eolo s’acqueta e sua asprezza mitiga.
45E quei c’hanno d’amore il cor più schivolo,
Per l’amoroso sivolo
Degli augelletti ch’al verde vagheggiano,
Contr’ a te non aspreggiano,
E per lo dolce tempo si confortano
50Nè più durezza portano.
Ma pur costei non s’addolce, nè scorgere
La posso a te nè per servirla svolgere.
     Omai saper t’ho fatto il gran pericolo,
Amor, da cui nè so nè posso fuggere,
55E veggomi distruggere
Per lei la vita senza ’l tuo rimedio.
Soperchio è il mio dolor, signor, ch’i’ cigolo,
Bench’io m’accheto e non ardisco muggere;
Sentomi il sangue suggere
60Da’ suoi begli occhi, onde alla morte espedio.
Ma se da cotal tedio
Mi fai da lei, com’io disìo, dissolvere,
Fin che di me fia polvere,
Con fedeltà proclamerò tua gloria
65E vivo e morto avrò di lei memoria.


(Pubblicata dal Trucchi (Serventese, ecc.)