Alcyone/La tregua
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Il fanciullo | ► |
LA TREGUA
Dèspota, andammo e combattemmo, sempre
fedeli al tuo comandamento. Vedi
che l’armi e i polsi eran di buone tempre.
O magnanimo Dèspota, concedi
al buon combattitor l’ombra del lauro,
ch’ei senta l’erba sotto i nudi piedi,
ch’ei consacri il suo bel cavallo sauro
alla forza dei Fiumi e in su l’aurora
ei conosca la gioia del Centauro.
O Dèspota, ei sarà giovine ancóra!
Dàgli le rive i boschi i prati i monti
i cieli, ed ei sarà giovine ancóra!
Deterso d’ogni umano lezzo in fonti
gelidi, ei chiederà per la sua festa
15sol l’anello degli ultimi orizzonti.
I vènti e i raggi tesseran la vesta
nova, e la carne scevra d’ogni male
éntrovi balzerà leggera e presta.
Tu ’l sai: per t’obbedire, o Trionfale,
20sì lungamente fummo a oste, franchi
e duri; né il cor disse mai: “Che vale?„
disperato di vincere; né stanchi
mai apparimmo, né mai tristi o incerti,
ché il tuo volere ci fasciava i fianchi.
25O Maestro, tu ’l sai: fu per piacerti.
Ma greve era l’umano lezzo ed era
vile talor come di mandre inerti;
e la turba faceva una Chimera
opaca e obesa che putiva forte
30sì che stretta era all’afa la gorgiera.
Gli aspetti della Vita e della Morte
invano balenavan sul carname
folto, e gli enimmi dell’oscura sorte.
Non era pane a quella bassa fame
35la bellezza terribile; onde il tardo
bruto mugghiava irato sul suo strame.
Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo
tutt’oro gli giungea diritto insino
ai precordii, oh il suo fremito gagliardo!
40E tu dicevi in noi: “Quel ch’è divino
si sveglierà nel faticoso mostro.
Bàttigli in fronte il novo suo destino.„
E noi perseverammo, col cuor nostro
ardente, per piacerti, o Imperatore;
45e su noi non poté ugna né rostro.
Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore
la vena inestinguibile e gioconda
del riso, che sonò come clangore.
E ad ogni ingiuria della bestia immonda
50scaturiva più vivido e più schietto
tal cristallo dall’anima profonda.
Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto,
sfamato con le miche del convito,
lungi rauco latrava il suo dispetto;
55e l’obliquo lenone, imputridito
nel vizio suo, dal lubrico angiporto
con abominio ci segnava a dito.
O Dèspota, tu dài questo conforto
al cuor possente, cui l’oltraggio è lode
60e assillo di virtù ricever torto.
Ei nella solitudine si gode
sentendo sé come inesausto fonte.
Dedica l’opre al Tempo; e ciò non ode.
Ammonisti l’alunno: “Se hai man pronte,
65non iscegliere i vermini nel fimo
ma strozza i serpi di Laocoonte.„
Ed ei seguì l’ammonimento primo;
restò fedele ai tuoi comandamenti;
fiso fu ne’ tuoi segni a sommo e ad imo.
70Dèspota, or tu concedigli che allenti
il nervo ed abbandoni gli ebri spirti
alle voraci melodìe dei vènti!
Assai si travagliò per obbedirti.
Scorse gli Eroi su i prati d’asfodelo.
75Or ode i Fauni ridere tra i mirti,
l’Estate ignuda ardendo a mezzo il cielo.