Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane/Rosalba Carriera
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Veneziana
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ROSALBA CARRIERA
VENEZIANA.
Le fu padre l’anno 1675 un legista di Chioggia, di povero avere, ma devoto alle arti del disegno. Giovanotta copiava i capricci che abbozzava il genitore per passatempo, ma ebbe poi fondate istruzioni dai pittori cavalier Damiantini, Antonio Lazzari e Antonio Balestra. La miniatura all’avorio le procacciò lavori per soggetti illustri; e tali furono i ritratti de’ re di Danimarca, di Polonia, e dell’elettore di Baviera. Per consiglio di un Inglese si accinse a far risorgere la pittura a pastelli, sì propria a dare morbidezza e verità alle carnagioni col mezzo di quelle sfumature delle quali diventano le sole dita le artefici immediate. Le sue nuove opere arricchirono il gabinetto di Sassonia, e furono da per tutto desiderate. Rosalba visitò molte corti, ed in quella di Francia fece i ritratti della real famiglia, e da Rigaud, da Coypel, da Caylus, da Mariette venne celebrata e protetta. Fu ascritta alle primarie accademie di belle arti, principalmente a quella di s. Luca in Roma, che ebbe dalla pittrice in dono un suo bellissimo quadro. I migliori giudici del suo tempo la riguardarono siccome artista eccellente; e ’l dotto Zanetti nel suo libro della Pittura Veneziana, dice, che lo stile suo era nitido, lieto e facile; vaghissima la tinta senza scostarsi dal naturale; il disegno ben regolato delle opere sue aveva grazia nativa e nobile, in fine che ridusse a sì alto punto il dipingere con pastelli, che non vi fu nome celebre in questo genere che le andasse davanti. La natura non le era stata per niente prodiga de’ suoi doni, ed a Vienna, introdotta essendo da Giandomenico Bertoli friulano all’imperatore Carlo IV, questo sovrano rivolto all’antiquario, disse: Sarà valente, Bertoli mio, questa tua pittrice, ma ella è molto brutta. Se questa sia stata trafittura indiscreta lo conosceranno le mie leggitrici non belle. Tornata Rosalba in Venezia l’anno 1730 non se ne distaccò più, ma lavorò opere moltissime, sin a tanto che o per effetto di troppo intenso studio, o per fatale indisposizione, se le cominciò ad annebbiare la vista sì, che nel 1747 era divenuta già affatto cieca. Sopravvisse sin al 1757, e ne’ suoi ultimi anni svanita fatalmente essendosi dalla sua mente ogni memoria di quelle ottime massime, di quella severa virtù, di quell’onesta accortezza ch’aveano sempre formato suo inseparabil corteggio, terminò di vivere miseramente impazzita.