Alcune lettere familiari/Al medesimo VI

A Pier Giuseppe Giustiniani

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al medesimo.


Godo in vedere che V. S. è volta a salire in sulle vette del Parnaso, perciocché non solo pensa intorno a tragedie, sovrana poesia, ma intorno queste cerca la forma perfetta Sic itur ad astra. Ora V. S. averà letto nella mia ultimamente scritta, che per tutto settembre spero di essere in Genova, e però serberomini a fare pieno discorso a bocca. E veramente simili materie vogliono dialogo per bene rischiarare la dottrina. Ora dirò solamente la mia opinione. Sperone, uomo grandissimo, soleva dire che si possono fare tutte le cose pur ch’elle si facciano bene. Dico dunque che dal Boccaccio si possono trarre favole per tragedia, ed una me ne sovviene la quale è nella novella del conte d'Anversa. Dico similmente che di favola tutta finta si può fare tragedia, e credo che la Torismondo del Tasso sia così fatta, e la parte tragica del Pastor Fido parrai che sii immaginazione del signor Guarini. E similmente dico, da nomi finti di Virgilio e dell’Ariosto e del Tasso potersi trarre tragedie, e ne veggo esempj pubblici. E perche simigliati poemi hanno il loro ultimo fine in su le scene fra teatri, i quali s’empiono di volgari persone plebee, deono potersi lodare quando da que’ sì fatti uditori hanno il loro Plaudite: Che alla fin fine i secoli si cangiano ed i costumi, ed anco per conseguenza lo opinioni, e le cose perfettissime de’ Greci a’ nostri non soddisfanno. Che s’ha egli a fare? Dare novelle leggi al mondo, il quale ha per legge il cangiar di ogni cosa? Mi direte, questa è tua opinione: é mia opinione, parlando in Banchi, parlando io Parnaso, io mi atterrei alle leggi antiche, ed amerei le composizioni perfette, e quelle rappresentare, e se mi si facessero fischi, io riderei e fischirei non meno, ché finalmente non me ne va, salvo inchiostro e fogli. Ed io, avvegnaché non straniere da’ poeti, mi rido della poesia, siccome di tutte le ciancio di questo mondo infelicissimo. A bocca, se a Dio piacerà, spiegherò meglio il mio concetto. Ora mi raccomando, e faccio riverenza alle mie signore., e dicovi che al vino da farsi Francesco ha dato ordine, ed egli dee avervene scritto. Io spero vedere pigiar le uve costì.

Di Savona, li 29 settembre, 1633.