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XXIX Epilogo

XXX



Il 20 settembre era un lunedì ed io ricominciai a lavorare con grande entusiasmo, dopo aver passato uno splendido weekend. In particolare, il pomeriggio della domenica fu molto allegro. Luigi, un altro mio carissimo amico, era venuto a prendermi e con lui mi ero recato in macchina a trovare una nostra amica comune. Poi, altri giri in macchina e a piedi. Luigi, inoltre, aveva pensato di allietare il pomeriggio raccontandomi un sacco di barzellette ed io feci altrettanto.

Il giorno dopo, dunque, ripresi la mia normale attività. Raccontai ai miei colleghi che i miei progetti di vita non sarebbero cambiati. Avrei continuato a fare il centralinista, salvo trovare un lavoro che mi consentisse di adoperare il computer. Raccontai anche che io mi ero messo in mente di scrivere un libro. Quanto alle mie idee politiche che avevo espresso a Biagi, furono giudicate in modo pesante. Poi, nel pomeriggio, telefonai a mia madre per avvertirla di prendere i dvd che avevo lasciato sullo scanner. Tornato a casa verso le sei, li consegnai a quella commessa cui li avevo promessi. Si trattava di copie masterizzate. Poi, dopo cena, scrissi una e-mail a Tony, precisando che l’avrebbe potuta scaricare con l’apposito programma. Passò circa una settimana senza che accadesse nulla di particolare. Poi venne il 28 settembre. Era un martedì, e quella sera mi sentii particolarmente nervoso. La navetta che doveva accompagnarmi alla fermata del pullman era arrivata in ritardo, ed il rischio fu quello di perdere un pullman dopo l’altro. Le cose, da circa un anno, andavano male, ma quella sera fu la peggiore di tutte, perché la navetta che doveva arrivare – come mi assicurarono – in pochi minuti, non arrivò affatto, al punto che fui costretto a chiamare i carabinieri per sollecitarne l’arrivo. Una volta arrivata, insistetti con l’autista, affinché mi accompagnasse a R. direttamente. Durante il viaggio ricevetti un sms da parte di Sergio, il quale mi comunicava la notizia che Simona Pari e Simona Torretta erano state liberate.

Quando dio volle, arrivai a casa. Cenai, quindi accesi il computer e la prima cosa che feci fu quella di inviare alcune e-mail di protesta per quanto accaduto qualche ora prima.

Poi feci una cosa che non avrei mai dovuto fare. Dopo aver proseguito la lettura de I mulini a vento degli dei di Sidney Sheldon, salvai il documento nel punto dove vi avevo inserito un segnalibro. Per un attimo controllai le pagine – o meglio il numero delle pagine – di appunti che avevo deciso di elaborare per la stesura di questo libro. Erano quattordici. Mi collegai ad internet, perché sospettavo da qualche giorno che qualcosa, nel mio computer, non funzionasse correttamente. Tentai di aggiornare il mio sistema operativo, entrando nell’apposito sito. Il televisore di casa era acceso, mentre la sintesi vocale mi annunciava che entrando in un apposito link avrei scaricato una certa applicazione. Udii le parole della sintesi in modo confuso. Scaricai l’applicazione. Udii una sigla che però non coincideva con l’avvio del mio sistema operativo. Ciononostante, però, decisi di proseguire e di premere “invio”, pensando che, alla peggio, l’applicazione non avrebbe funzionato. Mi affrettai a spegnere il computer, ma quando lo riaccesi notai che qualcosa non andava. Chiesi a mia madre di leggermi le scritte sul monitor. Solo allora mi resi conto di aver fatto involontariamente un danno enorme. Dovetti far portare il mio pc in un centro specializzato, che lo trattenne per la riparazione più di cinque mesi e mezzo dopo mille avventure e peripezie. Mi madre ne fu molto risentita, io, di tanto in tanto, speravo di riaverlo indietro al più presto, ma, di noi due, fu mia madre ad agitarsi di più.

Durante quei mesi sorsero alcune difficoltà. Il cd che Biagi mi aveva lasciato con il testo della mia intervista in formato Word avrei potuto copiarlo in qualsiasi momento. Ma come fare a scrivere tutto il resto? Per mezz’ora al giorno avrei potuto scrivere qualcosa usando il computer del mio ufficio, per le sere ed i weekend, per fortuna, alcuni amici che avevano il computer vennero in mio aiuto. Chiesi loro di utilizzare il computer e di leggermi ciò che avevo scritto, perché ero io che dovevo scrivere quella storia. Inoltre, pur non avendo il computer, volli a tutti i costi contattare l’editore dopo Natale. Ma quale fatica! Togliere il computer ad un non vedente sfegatato come me, significa privarlo della propria autonomia, e, soprattutto, costringerlo a dipendere dagli altri quando, invece, avrebbe potuto farne a meno.