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XXVII XXIX

XXVIII



L’indomani era venerdì e io mi alzai alle dieci. Mi rasai con la lametta, feci colazione e, dopo essermi vestito e cosparso abbondantemente di dopobarba, dissi a mia madre che mi sarei concesso una lunghissima passeggiata. Lei acconsentì, purché fossi ritornato per l’una. Erano le undici meno un quarto ed ebbi tutto il tempo di passeggiare. Per strada incontrai alcune persone che mi conoscevano, tutte persone pensionate o di una certa età. I bambini, infatti, erano a scuola, mentre gli altri al lavoro. Tutti vollero chiacchierare con me facendomi ogni sorta di domande, tra le più svariate.

«Va bene che è l’una e sarà pronto tra cinque minuti», disse mia madre, «ma è la prima volta che sei rimasto fuori per tutto questo tempo».

«Sapessi quante persone mi hanno fermato per strada».

«Bene. Ora prepariamoci a pranzare. Poi, terminato di lavare i piatti, avremo modo di parlare un po’. Tra la giornata del ritorno e la cena di ieri sera con Mirella non abbiamo quasi mai avuto un momento per parlare noi due». «Hai ragione, mamma. A proposito, Leandro ha ragione. Sei un’ottima cuoca».

«Io non me ne accorgo».

Poi mangiammo, scambiandoci a malapena qualche parola e, una volta preparato il caffè, mia madre si accinse a lavare i piatti. Infine disse:

«Sono le due e venti. Ora, finalmente, posso sedermi e parlare un po’ con te. Sempre che tu ne abbia voglia e non abbia da fare».

«Va bene».

«Sai, in questi giorni ho sentito un gran bisogno di te. Io ho molto sofferto quando dovevo staccarmi da te perché tu eri in collegio. A parte ciò che è accaduto in quei lunghi anni, l’unica volta che mi sono assentata da casa è stato quando nel 1992 sono andata a M. a trovare tuo zio».

«Sì, lo ricordo benissimo».

«Infatti, tu hai buona memoria. Ma stavolta ho sentito tanto la tua mancanza. Anche quando lavori mi manchi durante il giorno, ma poi torni la sera e io sono felice di vederti. Tu rendi viva la casa, con il computer, con i nostri dialoghi, con la musica».

«Anche tu mi manchi. Al mattino abbiamo sì e no il tempo di salutarci e null’altro. Eppure, anche quando ci ritroviamo la sera o ci facciamo compagnia nei weekend, non sempre riesco a sentire la tua presenza e anche se siamo vicini mi sembri lontana». «Questo, può capitare a tutti! Tornando a quello che ti stavo dicendo poco fa, ho sentito tanto la tua mancanza, perché tu ravvivi la casa con la tua presenza. Parli con me, accendi la televisione, metti la musica. Tutto il tempo che sei rimasto assente mi è sembrato un’eternità».

«Era necessario che io mi assentassi. Ciò è servito per due motivi. Anzitutto ci è servito proprio perché una volta ritornato sarei di nuovo riuscito con la mia presenza a colmare quel vuoto. In secondo luogo è la prima volta che io sono rimasto assente dieci giorni, senza che ci fossero di mezzo la colonia estiva o il collegio. Per la prima volta mi sono staccato da te in modo dignitoso e maturo. Per la prima volta mi è capitata una nuova esperienza, che non so se si ripeterà ancora. Finalmente, in tutti questi anni, ho avuto modo di staccarmi da te e ciò per me è stato importante. Ogni tanto bisogna provare il distacco».

«In un certo senso questo è servito anche a me. Avevo mille preoccupazioni in testa, ma, ora che sei tornato lo posso dire, erano pensieri inutili. Ti vedo rilassato. Leandro deve aver fatto tanto per te e per i tuoi amici. Ora so che se sei in mani fidate, posso lasciarti andare senza preoccuparmi più di tanto. E dire che fino a pochi giorni prima non avrei acconsentito». «Questo ti dovrebbe tranquillizzare, perché da questa esperienza puoi dedurre che ci sono persone disposte ad occuparsi di me, facendomi uscire da situazioni di isolamento che, altrimenti, mi renderebbero la vita difficile. Chi avrebbe mai pensato che tu ricevessi una telefonata di quel genere? In effetti avresti potuto pensare ad uno scherzo». «Sì, è vero. Io, come mamma, mi sono preoccupata per te in modo eccessivo, ho avuto tanti pensieri nella mente. Ma ora ho imparato una volta di più che anche tu hai bisogno di esperienze nuove che ti facciano maturare nella vita. La prossima volta anch’io saprò come comportarmi con te. A proposito, non ti sei sentito un po’ timido quando sei comparso per la prima volta davanti a Biagi? Io devo confessarti che quando è arrivata la giornalista ad intervistarmi per quel servizio trasmesso anche in televisione, non so se l’hai visto, mi sono sentita emozionata».

«A me, durante l’intervista, non è successo, perché prima di essere intervistato mi sono incontrato con Biagi per concordare con lui le varie domande, e lui mi ha fatto sentire subito a mio agio».

«Mi complimento con te. In effetti, in televisione avevi un volto tranquillo».

«Già! Mi hanno insegnato la posizione che dovevo assumere, posizione che poi, del resto, era quella che avrei assunto in modo naturale».

«Ho capito. Beh, abbiamo fatto una lunga chiacchierata. Ora, se ti va di uscire, vai pure. Poi, organizzati come vuoi».

Fui contento che mia madre parlasse un po’ con me. Durante quella chiacchierata mi misi a fumare in modo rilassato. Mia madre non mi disse nulla, perché sapeva che la pipa mi rilassava; del resto, non sono mai stato un accanito fumatore. Mia madre mi ha sempre insegnato che non devo darmi ai vizi, perché fan male e appesantiscono la vita di chi li pratica e delle persone con le quali viviamo.

Quindi, alle tre e mezza, dopo aver terminato di fumare la pipa, mi spruzzai un po’ di deodorante ed uscii, non però immediatamente. Lungo la veranda del cortile erano sedute alcune mie vicine di casa, che di solito si riuniscono d’estate. D’inverno non si siedono mai lungo quello spazio aperto, perché anche se vi sono i caloriferi questi non vengono mai accesi essendo un vero e proprio spreco. Parlai un po’ con loro e, naturalmente, gran parte delle loro domande riguardava l’intervista con Biagi. Qualcuna mi chiese come avesse reagito mia madre nel sentirmi raccontare di quei particolari riguardanti la vita di mio padre. Risposi loro che mia madre mi aveva consigliato di agire con prudenza. Qualcun’altra mi chiese se davvero avevo così tanta memoria per canzoni, fatti ed avvenimenti. Una di loro asserì che di memoria ne avevo tanta e che di solito i non vedenti, non avendo la vista, “campano” – proprio così disse – basandosi appunto sulle proprie sensazioni e sulla propria memoria. Infine mi venne fatto osservare che alla domanda di Biagi su ciò che accadde il dieci settembre avevo risposto in modo evasivo e che anche le mie stesse vicine ne erano rimaste incuriosite. Spiegai in breve ciò che accadde, aggiungendo:

«Quando avremo finito di cenare, anziché riunirvi qui tra di voi, venite da me. Vi offrirò qualcosa di fresco e vi farò vedere il filmato».

Acconsentirono quasi tutte. Poi verso le quattro e un quarto entrai in casa per prendere il bastone ed uscii. Nonostante il sole opprimente, per prima cosa entrai in un bar dove mi feci servire un caffè. Il barista mi fece osservare:

«Ma tu di solito prendi la menta. Magari, con questo caldo, il caffè lo vuoi anche corretto!».

Gli dissi di prepararmelo normale. Poi proseguii con la mia passeggiata. A pochi passi fui fermato da due commesse che avevano il negozio l’una accanto all’altra. La più giovane mi conosceva poco, l’altra invece, un po’ più anziana, mi conosceva benissimo, perché di questo mio stesso paese. Fu appunto lei ad incalzarmi di domande. La più giovane delle due mi chiese come facessi ad adoperare il computer ed aggiunse che qualche volta ben volentieri avrebbe voluto vedermi all’opera. L’altra le disse:

«Io di computer non voglio saperne. È già tanto se in casa ho la macchina per scrivere, anche se mi rendo conto che se tu scrivessi quel famoso libro che hai in mente usando la macchina, chissà quanto tempo ti ci vorrà». L’altra le disse che col computer sarebbe stata tutta un’altra cosa e che ormai la macchina per scrivere era diventata un soprammobile, se non, addirittura, un oggetto da tenere in cantina. Poi si formò un gruppetto di persone che si misero a discutere con me sulla trasmissione e su ciò che accadde quel famoso mattino in albergo. «Per stasera sono prenotato. Facciamo un’altra volta!».

A quest’ultima frase si misero tutti a ridere. Poi mi rivolsi alla commessa più giovane: «Senti! Tu hai appena aperto un negozio di videocassette e dvd. Mi è venuta un’idea. Io ti porto i miei dvd in negozio. Non domani, però, perché devo prestarli a Sergio. In ogni caso, quando te li porterò, li potrai noleggerai a chi ne farà richiesta. Ci guadagneresti...».

«Insomma, vuoi farti pubblicità», mi rispose l’altra.

La commessa del negozio di dvd disse: «La gente vuol vedere i film e non credo sia interessata a questi dvd».

Io le risposi come una volta fossi riuscito a far vendere insperabilmente alcuni prodotti di erboristeria ed altri prodotti della Remington come rasoi elettrici.

Lei mi disse:

«Vorrei sapere se tu come lavoro fai il centralinista o l’agente pubblicitario. Beh, d’accordo, proviamo! Ma tu vorrai una percentuale...».

«No, io non ci guadagno nulla».

«Ma cosa c’è su questi dvd?».

«Cose molto interessanti. Naturalmente mi guarderò bene dal darti l’intervista con Biagi, perché, almeno su quella, voglio l’esclusiva. Non posso cederla né prestarla a nessuno, perché voglio usarla per scrivere il mio libro». «Va bene. Fa pure come credi».

«Ok! Te ne porterò una copia lunedì appena torno dal lavoro. Il tempo di andarli a prendere e sarò da te. Sempre ammesso che Sergio me li dia per tempo».

«D’accordo! Non c’è problema. Fai pure con calma!».

Poi salutai e proseguii la mia passeggiata. Rincasai alle sei meno dieci. Prima, però, ritornai al bar e bevvi un bicchiere di acqua, menta e granatina, cui furono aggiunti alcuni cubetti di ghiaccio. Il caldo era ancora opprimente. Rincasai, feci una doccia e mi misi in camera ad ascoltare un po’ di musica, quindi cenai.

Terminata la cena mi misi subito all’opera senza perdere tempo; accesi il computer, copiai l’intero dvd con i documenti Word riguardanti la mia intervista in una cartella e salvai il tutto. Poi mi misi a scrivere i primi appunti di questa storia. Ne feci una bozza molto sintetica, che poi avrei sviluppato nei giorni a venire. La cosa sicura era che ci voleva davvero tanto tempo.