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Dopo circa un quarto d’ora di viaggio arrivammo alla sede dell’Unione Italiana Ciechi dove non ero mai stato, perché era appunto a Roma, dove mi trovavo solo da qualche ora. Il dirigente, dopo alcune domande, mi disse se sapevo firmare. Gli dissi di sì. Poi riprese dicendomi che dovevo mettere tre firme, una perché accettavo di andare in Rai, in base agli accordi stabiliti, l’altra, che io dichiaravo il vero sotto mia responsabilità; infine una terza per il consenso sul trattamento dei dati. Poi mi disse che con me c’era anche l’accompagnatore, ma che non era poi così stretta-mente necessario. Lui poteva rimanere in albergo e tutt’al più poteva accompagnarmi da qualunque parte, ad esempio in città o fuori città, ma che, per i trasferimenti interni ci pensava già il taxi. Quindi, in quel caso, la sua presenza era inutile. Poi mi consegnò una tessera con i miei dati che mi avrebbe fatto accedere, assieme all’accompagnatore, a tutti quei luoghi dove gli invalidi non avrebbero pagato. Quindi, Leandro chiese al taxista di farsi accompagnare in albergo. Dopo circa venticinque minuti, era nuovamente di ritorno, mentre io stavo ancora parlando col dirigente. Poi fui accompagnato in Rai.

«Vorrei parlare con la signora Francesca, la responsabile dell’ufficio interviste» dissi.

Il portinaio rispose: «Venga, l’accompagno».

«Io resto giù ad aspettarla» disse il taxista che, durante il viaggio, mi disse di chiamarsi Aldo.

«Salve, signor Galetti, ci siamo sentiti l’altro giorno al telefono».

«Sì, me ne ricordo perfettamente».

Erano le quindici e diciannove, ero dunque in anticipo. Poi mi fece qualche altra domanda. Infine osservò:

«Si direbbe che lei ha una vita molto impegnata».

Poi ci mettemmo ancora a chiacchierare finché, alle quattro e un quarto le squillò il telefono.

«Sì», disse la signora Francesca, «arriviamo subito».

Quindi, rivolgendosi a me:

«Ora la condurrò al piano superiore da Enzo Biagi».

La signora Francesca aveva preso nota anche delle mie risposte fatte quel giorno e, tramite un impiegato, le aveva fatte recapitare su materiale cartaceo al noto giornalista, che già aveva un resoconto del mio precedente colloquio telefonico.

Enzo Biagi capì il mio stato di agitazione e fece tutto il possibile per mettermi a mio agio.

«Francesca», disse, «faccia portare due caffè, per fa-vore».

Ringraziai. Poi, terminato il caffè, Biagi mi disse: «Signor Galetti, immagino che lei sappia perché si trova qui. Probabilmente, le sue idee non collimeranno con le mie, ma non importa. Desidero chiarirle il motivo per cui ho deciso di intervistarla. Io vorrei fare una ricerca sui non vedenti e lei, a quanto pare, è stato scelto. Può ritenersi quindi fortunato, visto che di non vedenti in Italia ce ne sono davvero tantissimi. Naturalmente, se vuole, può anche rifiutare l’intervista, in tal caso sceglieremo qualcun altro e lei potrà tornare a casa – intendo nel luogo in cui abita – anche questa sera stessa».

«Dottor Biagi, ho per caso la faccia di uno che si rifiuterà, dopo i colloqui numerosi che ho avuto?».

«Direi proprio di no, ma io le ho detto questo per semplice dovere professionale. Bene. Lei ha seguito la mia trasmissione Affronti e confronti iniziata il trenta agosto, lunedì scorso?».

«Sì».

«Ebbene, per tutta la settimana ci saranno alcune novità delle quali usufruirà durante la sua permanenza qui, a Roma. Le mie trasmissione andranno in onda ogni sera, tranne nei weekend, alle venti e quarantacinque, in eurovi-sione e senza pubblicità. La trasmissione si concluderà alle ventitré, minuto più, minuto meno. Oggi è lunedì 6 settembre. Per questa settimana ri-spetteremo gli stessi orari. Poi la lascerò riposare nel fine settimana. Il 13 ci rivedremo alle venti e quarantacinque, mentre il giorno seguente, la trasmissione andrà in onda dalle quindici alle sedici».

«Come mai?».

«Lo saprà a suo tempo. Lei ha un accompagnatore?».

«Sì, dottor Biagi».

«Posso sapere il suo nome?».

«Leandro Portici».

«Bene, nell’ultima puntata lo faccia venire, intervisteremo anche lui. Mi risulta che faccia il servizio civile per voi non vedenti». «Sì, è vero». «Bene, ora ci metteremo d’accordo sui temi che verranno trattati nell’intervista. Se c’è qualche domanda a cui non vorrà rispondere, me lo dica pure».

Accettai tutti i punti. «Bene. Signor Galetti. Ora, firmi qui! Questa firma attesta l’autorizzazione per l’intervista e che lei accetta di conseguenza».

Per la seconda volta estrassi il mio guidamano, un piano magnetico in gomma su cui vengono appoggiati, rispettivamente, il foglio e due stanghette pure in gomma magnetica che delimitano lo spazio in cui si vuole firmare. Quindi firmai.

«Bene, ora può andare, la faccio accompagnare. Allora, si faccia trovare qui per le venti e quindici, anzi, facciamo anche alle venti e trenta».

«Un momento, dottor Biagi. E per le telecamere, come faremo?».

«In che senso?».

«Io sono cieco assoluto fin dalla nascita e non posso sapere dove saranno posizionate le telecamere e i flash delle macchine fotografiche e, quindi, non riesco a volgere lo sguardo nella giusta direzione. Del resto non riesco a ri-manere con lo sguardo fisso nello stesso punto nemmeno per pochi secondi».

Biagi disse:

«Non si preoccupi. Lei assuma la sua posizione naturale, quella di adesso, mentre sta parlando con me. Si comporti normalmente, come fa sempre. Allora, a stasera».

Poi Enzo Biagi mi fece accompagnare da basso, dove Aldo mi aspettava. Erano le diciassette e quaranta. Arri-vammo in albergo undici minuti dopo. Aldo, infatti, aveva trovato una scorciatoia.

«Allora, signor Aldo, si faccia trovare all’ingresso tra le otto e le otto e cinque».

Alle diciotto meno cinque ero in stanza. Anche a me avevano dato la sim con la quale potevo, attraverso il sensore ottico, aprire la camera. Nel caso avessi sbagliato stanza, la porta non si sarebbe aperta. Leandro e io, dunque, avevamo due sim che, mediante le due diverse combinazioni alfanumeriche, aprivano la stessa stanza. Qualora l’avessimo persa entrambi (potevamo infatti tenerla con noi fino al termine della vacanza), ce ne avrebbero data un’altra, con le rispettive combinazioni non uguali alla precedente. Ogni cliente, infatti, disponeva di una sim univoca. Inutile tentare di aprire un’altra stanza. Potenza della tecnologia.

Leandro mi attese con ansia.

«Ho accettato di essere intervistato. Anzi, ora devo chiamare mia madre, che non sento da quando siamo partiti. Tu hai già avvisato i tuoi?».

«Io abito a cinque chilometri da qui, li ho avvisati di persona».

«Aspettavo già da tempo una tua telefonata», disse mia madre quasi con aria di rimprovero. «Scusami, ma non ti ho chiamato prima perché volevo essere sicuro che Biagi mi facesse l’intervista». Poi, dopo averle parlato per un po’ dissi:

«Beh, ora vado a farmi una doccia».

A Leandro dissi che, al termine della doccia, avrei messo i vestiti puliti, ma che la giacca e la cravatta li avrei indossati solo dopo cena, per non macchiarmi. Gli chiesi se ci fosse anche una tintoria e un servizio guardaroba. Mi disse che si trovavano al sesto piano, ovvero al penultimo dell’albergo.

«Hai ragione», gli dissi, «non ricordavo affatto di averlo ascoltato qualche ora fa, dalla voce del sintetizzatore. Comunque, ogni volta che lo riterrai necessario, fai pure. Tu sei assoggettato alle mie stesse condizioni, in quanto ac-compagnatore. Ormai tutti lo sanno».

Terminata la doccia ricomparvi e mentre mi rivestivo gli chiesi cosa avesse fatto in quel lasso di tempo, durante la mia assenza.

«Ho sistemato i nostri bagagli, poi ho guardato un film. Nei ripiani sotto la scrivania ci sono cd musicali, videocassette e dvd, ce ne sono quanti ne vuoi».

«Le videocassette non mi interessano. Hai un masterizzatore per cd e dvd?». «Sì, sul mio portatile, ma è bene non farsi scoprire. Comunque ci proverò. Qui c’è tanta roba. Poi, tutti i cd (circa una decina) sono in formato mp3 e tutte le tracce sono titolate».

«Che film hai visto?».

«L’orfano».

«Non l’ho mai sentito».

«Parla di un bambino, i cui genitori, quando aveva poco più di tre anni, sono morti in un incidente. Non avendo trovato parenti disposti ad accoglierlo, viene sbattuto in orfanatrofio. Vi rimane per sei mesi. Una coppia decide di adottarlo. Gli vogliono molto bene, ma il bambino è ancora scioccato per la perdita dei genitori che lui ricorda bene nonostante i suoi tre anni. Alla fine si scopre che la coppia adottiva è in realtà una coppia di delinquenti. Tutto questo vien fuori quando il bambino ha undici anni.

Alla fine saltan fuori i veri genitori. C’è tutta una storia di indagini, rapine e sotterfugi, una storia molto intrecciata». Vi aggiunse tutti i particolari che si ricordava, fin quando non arrivò alla fine. Io gli replicai che un film del genere non l’avrei mai guardato precisando che il film del quale parlava mi faceva pensare ad un altro film quasi sullo stesso tema, che avevo visto qualche anno prima, La famiglia Glass. Rimanemmo ancora in camera a parlare, fino all’ora di cena.

«Tony», dissi non appena fummo seduti a tavola, «sono in debito con te».

«In debito, di che cosa?».

Intanto, nella sala da pranzo gli altoparlanti continuavano a trasmettere musica revival; questa volta venne trasmessa Capelli biondi di Little Tony, anch’essa del 1970. Ripresi:

«In debito di una risposta che ti ho promesso. Dunque, hai presente la rubrica Affronti e confronti con Enzo Biagi? Ebbene, da stasera – e fino al 14 settembre – escluso il weekend, sarò intervistato. Pensa che questa vacanza non la pago nemmeno. Tutto offerto dalla Rai e dalla sede centrale dell’Unione Italiana Ciechi. Le sole spese che dovrò pagare riguardano quelle effettuate fuori albergo. Pensa che non mi fanno pagare nemmeno il taxi».

Tutte queste cose mi furono dette anche dalla direzione.

«Ah», fece Laura, «sei proprio fortunato, sai?».

Poi raccontai lo scopo di quelle puntate, ed aggiunsi che saremmo ripartiti il 15.

«Beh», disse Lisa, «cos’altro ti possiamo augurare?».

«Sono senza parole», fece Tony, «nemmeno noi paghiamo il caffè o il servizio bar in questo albergo, come pure i servizi di lavanderia e stireria, perché paghiamo tutto compreso nel prezzo, ma ti assicuro che questa vacanza ci è costata davvero cara. Comunque, sappilo, non sono affatto geloso, né arrabbiato, sta pur tranquillo».

Poi accadde che la musica in sala cambiò. Si passò a In silenzio dei Pooh, del 1968. Fu poi la volta di Quando me ne andrò di Fausto Leali del 1973, quindi si passò a Non sei felice (non sei sincera) del gruppo Meno Uno, del 1975, ed altre.

Alle otto meno un quarto, terminata la cena, bevvi il caffè. Poi accadde che Armando, fratello di Tina, mi disse: «So che lei ha una comunicazione importante da fare. Eccole il microfono».

Così annunciai che tra poco, su Raiuno, sarei stato intervistato in eurovisione da Enzo Biagi.

Scoppiarono tutti in grida di giubilo e applausi, poi, mentre la folla si stava accalcando, dissi loro di lasciarmi andare in camera, perché dovevo mettermi giacca e cravatta.

Alle otto e cinque venne Aldo, con il quale arrivai in Rai dodici minuti dopo. Ero atteso.

Biagi mi accolse.

«Allora, è pronto? Tra poco si inizia e, mi raccomando, non si agiti troppo».

«Dottor Biagi, volevo chiederle solo se quando verrà il mio accompagnatore farete firmare anche lui».

«Vedremo».

Poi mi raccomandò di stare calmo, dicendomi: «Inizieremo con la sigla, naturalmente».

Quando fu il momento sentii l’annunciatrice dire: «Va ora in onda Affronti e confronti... Presenta Enzo Biagi.

Avvertiamo i nostri telespettatori che la trasmissione, come pure quelle dei giorni a seguire, non avrà interruzioni pubblicitarie».

Poi, come Dio volle, ci fu la solita sigla dell’Eurovisione, dalla quale fui colpito perché per la prima volta ebbi modo di ascoltarla per intero. Pensai, perciò, che la Rai volesse farmi un simpatico omaggio musicale, visto che nei precedenti colloqui avevo dichiarato che mi piaceva la musica classica. Quindi Biagi incominciò.