Adiecta (1905)/III/VI
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IN MORTE DI MANLIO GARIBALDI
Chiusa la tomba, nel silenzio eterno
non dormiranno i morti e il giovinetto,
dall’amplesso paterno
4riconfortato e stretto,
— Padre — susurrerà — padre, mi senti?
Io sono il Manlio tuo, son la carezza
che degli anni cadenti
8t’addolcì l’amarezza!
Ma non mi domandar, dell’infelice
terra che amammo, le sinistre sorti.
O, tre volte felice
12chi riposa tra i morti!
Meglio narrarmi come un dì lanciavi
al fiero assalto le camicie rosse
e la terga incalzavi
16delle schiere percosse.
Dimmi Calatafimi ed il ciglione
su cui la schiera degli eroi saliva,
ricordami Bigione
20e chi per lei moriva.
Ricorda tu quel che soffrir conviene
per mantener le libertà giurate
e strappar le catene
24dalle braccia piagate.
Oh, meglio in questa tomba, o padre mio,
che vigile gendarme al Vaticano!
Meglio l’eterno oblio
28che lo sdegnarsi invano.
Meglio anzi tempo reclinar la testa
morta, della speranza in sulla soglia,
che goder nella festa
32di chi la madre spoglia.
Oh, padre, non temer! Parlami. È sorda
Questa plebe d’ingordi a’ detti tuoi.
L’Italia non ricorda
36nemmeno i morti suoi!