Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1844 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti Ad un Mevio Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

La malinconia. Dipinto di F. Hayez Sogni d'amore (canto di Rodolfo)
Questo testo fa parte della raccolta VI. Dai 'Nuovi canti'
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V

AD UN MEVIO



     Mevio, chi sei che mostri
le acute sanne e gridi,
e in vergognosi inchiostri
la monca penna intridi?
5Di letteraria pece,
Mevio, chi mai ti fece
quel borioso intonaco,
che il mantel de’ gagliardi esser non so?


     Bene in remota parte,
10cosí come al ciel piacque,
splende l’altar dell’arte
cinto di limpid’acque:
lá, dentro le bianche ale,
ha lavacro immortale.
15Penna di corbo aspergere
mai la vivida e sacra onda non può.

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     Picchiati dunque il petto,
e sull’incauta pesta
riedi, e riporta in ghetto
20la dottrinal tua vesta.
Garrisci a’ polli. Vano
qui non si vuol baccano.
Luce, parola e cantico
dee salir dalla terra al Creator.


     25Non vedi? A te natura,
con maligno apparecchio,
fe’ la retina oscura,
scabro e villan l’orecchio.
Né sai che tutte sono
30miste di luce e suono
le belle cose, e varcano
dritto dagli occhi e dall’udito al cor.


     Dimmi: in un’aura queta
mai non udisti il pianto?
35in un gentil pianeta
vedi tu rai soltanto?
nel luccicar d’un’onda,
nel giro d’una fronda
non senti un consapevole
40moto lontano, che ti trae con sé?


     Chi meditò non piglia
di prima scorza il vero.
Cercan le forti ciglia
l’interior mistero.
45Marmo d’elette forme
al mio pensier non dorme,
veggo animarsi i rigidi
membri, e l’ascolto favellar con me.

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     Tutto è diviso, e tutto
50una catena allaccia.
Col procelloso flutto
la bella Iri s’abbraccia;
lá dove il serpe muore,
cresce un leggiadro fiore.
55Ma so ben io che un simbolo
strano ti parlo, e tu nol puoi sentir.


     Tu sopra i vulghi spenti
studi la notte e il giorno;
ma l’onda dei viventi,
60che ti susurra intorno,
cieco non guardi; e credi
che l'uom, perché ha due piedi,
con metro egual li eserciti
sulla ripida via dell’avvenir.


     65Schiavo al vulgar costume
sogni le etá famose,
punti remoti al lume
delle mutate cose.
A nostra sete mille
70sgorgan vicine stille
dai mille affetti, ond’agita
natura e il fato la presente etá.


     Ma tu la bocca strigni,
come schifando; e bieco
75mastichi bile e ghigni,
s’altri, di te men cieco,
tuffa le labbra ardenti
nei zampilli fuggenti,
e sorge, e canta, incolume
80dai vani dardi della tua viltá.

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     Mevio, deponi l’arco.
Lascia che ognuno a’ suoi
termini corra. Il varco
tu contrastar non puoi.
85E, giacché fosti un giorno
di quella foglia adorno,
onde gli argenti al novero
de’ laureati legulei ti alzâr,


     caccia dall'ossa, o Mevio,
90la letterata furia,
e riconduci il devio
piede alla facil curia.
Adepto in sinagoga,
nota, impedisci e roga;
95ma non enfiarti, o misero
ventre di rana, se non vuoi scoppiar.


     So ben che alla mia lira
le molli corde ho franto,
e che d’un lampo d’ira
100oggi è vestito il canto.
Ma ogni romor disperso
pel sonante universo
desta il poeta, e a’ liberi
moti la fantasia s’agita e va.


     105Se d’un notturno suono
sto coll’orecchio intento
all’armonia, perdóno
forse al rumor del vento:
ma d’un plebeo l’atroce
110urlo mi pone in croce,
e un bilioso fremito
l’anima ardente contener non sa.