Achille in Sciro/Argomento
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ARGOMENTO
È per antica fama assai noto che, bramosi di vendicar con la distruzione di Troia la comune ingiuria sofferta nel rapimento d’Elena, unirono giá le forze loro tutti i principi della Grecia. Intanto che la formidabile armata si raccogliea, cominciò a spargersi fra le adunate schiere una predizione: «che mai non avrebbero espugnata la nemica cittá, se non conducevano a questa impresa il giovanetto Achille, figliuolo di Teti e di Peleo»; e prese a poco a poco tanto vigore questa credenza nell’animo de’ superstiziosi guerrieri, che, ad onta de’ loro duci, risolutamente negavano di partir senza Achille. Seppelo Tetide; e, temendo della vita del figlio, se fosse trasportato fra l’armi, stabilí di nasconderlo alle ricerche de’ greci. Corse perciò in Tessaglia, dove sotto la cura dell’antico Chirone educavasi Achille; e, trattolo seco, lo rivestí nascostamente d’abiti femminili, consegnollo ad un suo confidente, imposegli che condur lo dovesse nell’isola di Sciro, sede reale di Licomede, e che ivi sotto nome di Pirra, come propria sua figlia, celatamente lo custodisse. Eseguí l’accorto servo esattamente il comando; andò con sí gran pegno in Sciro; cambiò, per esser piú sconosciuto, il proprio vero nome in quel di Nearco; e sí destramente s’introdusse in quella corte, che ottennero in breve onorato luogo, egli fra’ ministri reali, e la mentita Pirra fra le ancelle della principessa Deidamia, figliuola di Licomede. Col favore delle finte spoglie potendo Achille ammirar sí dappresso gl’innumerabili pregi della bella Deidamia, se ne invaghí, non seppe nascondersi a lei: trovò corrispondenza e si accesero entrambi d’uno scambievole ardentissimo amore. Se ne avvide per tempo il vigilante Nearco, ed, invece d’opporsi a’ loro nascenti affetti, usò tutte le arti per fomentarli, promettendosi nell’innamorata principessa un soccorso a raffrenar le impazienze d’Achille; il quale, non sapendo reprimere gl’impeti feroci dell’indole sua bellicosa, sdegnava, come ceppi insoffribili, i molli femminili ornamenti, e, al balenar d’una spada, al risonar di una tromba o al solo udirne parlare, giá tutto fuor di se stesso, minacciava di palesarsi; e l’avrebbe anche fatto, se l’attenta Deidamia, timorosa di perderlo, non avesse proccurato di temperarlo. Or, mentre questa cura costava a lei tanta pena, seppesi nell’armata de’ greci dove e in quale abito Achille si nascondeva, o dubitossene almeno. Si concluse perciò fra questi d’inviare a Licomede un accorto ambasciadore, il quale, col pretesto di chiedere a nome loro e navi e guerrieri per l’assedio troiano, proccurasse accertarsi se colá fosse Achille, e seco per qualunque mezzo il conducesse. Fu destinato Ulisse, come il piú destro d’ogni altro, ad eseguir sí gelosa commissione. Andovvi egli, ed approdò sulle marine di Sciro in un giorno appunto, in cui colá celebravansi le solenni feste di Bacco. La sorte gli offerse al primo arrivo indizi bastanti onde incamminare le sue ricerche: se ne prevalse. Sospettò che in Pirra si nascondesse Achille; inventò prove per assicurarsene; fece nascere l’occasione di parlar seco, ad onta della gelosa custodia di Nearco e Deidamia; e, ponendo allora in uso tutta la sua artifiziosa eloquenza, lo persuase a partirsi. Ne fu avvertita la principessa e corse ad impedirlo; onde ritrovossi Achille in crudelissime angustie fra Deidamia ed Ulisse. Adoprava uno i piú acuti stimoli di gloria per trarlo seco; impiegava l’altra le piú efficaci tenerezze d’amore per trattenerlo: ed egli, assalito in un tempo medesimo da due cosí violente passioni, ondeggiava irresoluto nel tormentoso contrasto. Ma il saggio re lo compose. Egli, di tutto, fra questi tumulti, informato, consente il richiesto eroe alle istanze d’Ulisse; concede la real principessa alle dimande d’Achille, e, prescrivendo a lui con qual prudente vicenda debbano secondarsi fra loro le tenere cure e le guerriere fatiche, mette d’accordo nell’animo suo combattuto e la gloria e l’amore.
Incontrasi questo fatto presso che in tutti gli antichi e moderni poeti; ma, essendo essi tanto discordi fra loro nelle circostanze, noi, senz’attenerci piú all’uno che all’altro, abbiam tolto da ciascheduno ciò che meglio alla condotta della nostra favola è convenuto.