Abrakadabra/Il dramma storico/XXIX
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CAPITOLO XXIX.
Il segreto di Cardano.
— Eccomi a te — disse l’Albani entrando nel vestibolo dove lo attendeva il compagno de’ suoi giorni di espiazione.
Fratello Consolatore gli stese la mano e lo introdusse nel parlatorio.
— Dio ti riconduce — disse il Levita; — Dio vuol darti un’altra prova della sua misericordia infinita...
— Mettiamo da parte questo tuo fantasima invisibile, creato dall’immaginazione, fors’anco dalla furfanteria umana — interruppe l’Albani con impazienza; — da oltre un mese ho abbracciato la religione dei naturalisti. Il vostro Dio non lo comprendo; io credo nella natura.
— Dio e natura sono due potenze del pari inesplicabili...
— Mi hai tu richiamato per farmi subire una lezione di catechismo?
— No, fratello. Io debbo comunicarti delle notizie importanti. Vedi tu là (e così parlando il Levita accennava ad un letticciuolo), vedi tu là quel bambino di cinque anni che sporge dalle coltrici bianche la sua testolina coronata di ricci biondi?
— Bello come un amore...
— Bello, dovresti dire, come tutti i bimbi generati da una forza di carità sublime. Ah! tu lo abbracci... lo accarezzi... ed egli ti sorride... vorrebbe parlarti... E a sua madre non sarà dunque più concesso di baciarlo!
— Orfano... forse?
— Non può chiamarsi orfano un bimbo che gioisce nelle carezze d’un padre...
— Mio figlio...
— Sì: tuo figlio, nato da quella santa, che un tempo, nel suo umile paesello, si chiamava Maria; nato da colei, che or fanno sei anni, co’ suoi vergini baci...
— Maria! — esclamò l’Albani coll’accento della più viva commozione; — ma tu... poco dianzi... dicevi...
— Calmati, fratello! coll’aiuto di Dio e colla forza dell’amore è da sperarsi che noi riusciamo a salvarla. Leggi questo scritto ch’ella ti ha indirizzato. In altra lettera a me diretta quella infelice aggiunge delle spiegazioni che io non tralascerò di comunicarti, se ciò mi parrà utile...
L’Albani spiegò il foglio, lo scorse rapidamente coll’occhio; poi, ricoricato il bimbo sul letticciuolo, esclamava:
— In nome del tuo Dio, in nome della natura, del Padre Eterno, di tutti i diavoli... dell’antecristo... qui bisogna agire... bisogna accorrere... dar l’avviso ai Capi di Sorveglianza... mandar sul luogo dei militi...
— Non affannarti — disse il Levita trattenendo il desolato che correva dall’un all’altro capo della stanza come uscito di senno; — il Consiglio di sorveglianza è informato, i militi sono in marcia. Quello stesso messaggiero che ieri a notte mi consegnò il bambino e le lettere, si è incaricato di far appello agli esecutori di giustizia e di comunicare ai giornali la notizia di un fatto al quale si annodano tanti interessi.
Mentre il Levita parlava, si udì nel vestibolo un rumore somigliante a quello di due grandi parapioggia che si chiudono.
— Eccoli di ritorno! — esclamò con gioia fratello Consolatore.
E uscito per un istante, rientrò nell’aula in compagnia di due gentili figure di giovinetto e di fanciulla, entrambi ravvolti in due grandi ali, che proteggevano, a guisa di manto, le rosee delicatezze dei corpi leggiadri.
Quelle due figure, che in forma plastica e vivente traducevano l’angelo dei cristiani, si chiamavano Rondine e Lucarino. Noi abbiam veduto questi due alati portentosi scendere a volo e sostare sulla guglia maggiore della cattedrale di Milano, il giorno in cui l’Albani produceva il miracolo della pioggia artificiale. L’opera di Fourrier, perfettamente riuscita, consolidata dall’esercizio, prometteva alla specie umana una trasformazione stupenda.
— I due che ti stanno dinanzi — disse il Levita presentando all’Albani quella coppia di alati, — potranno informarti di ciò che ora si sta operando in favore della buona Maria. Dopo averti restituito il figlio, è giusto che essi ti riferiscano sulle sorti della madre.
Lucarino prese la parola:
— Ieri, al cader del giorno, noi traversavamo di volo gli spazii sovrastanti a quel monte gigantesco, sempre coperto di nevi, che si chiama il Gottardo. Essendoci di molto abbassati per sottrarci alle punture dell’aria rigidissima, giunsero al nostro orecchio dei suoni che parevano strida da pappagalli, misti ad ululati da jena.
«Sostammo, e raccogliendo il volo sovra una superficie lucente, che da lungi ci era parsa un enorme ammasso di ghiaccio, il nostro piede avvertì una gradita esalazione di tepore. Immaginate la nostra meraviglia! Noi passeggiavamo sovra una tettoia di cristallo leggermente riscaldato, e sotto i nostri piedi si sprofondavano le muraglie di un vasto palazzo popolato di esseri viventi. Che mistero è codesto? quali saranno gli abitatori di questo immenso edilizio fabbricato sulle alture di una montagna oggimai divenuta inaccessibile?
«Aggirandoci intorno al quadrilatero, osservando, ascoltando, ci avvenne di scorgere una giovane donna che correva, invocando soccorso, fra gli scoscendimenti di una valle poco discosta. Quel grido ci trafisse l’anima; accorremmo, e in meno ch’io ve lo dico, ci trovammo al fianco di quella donna.
«— Se voi siete due angeli — esclamò ella con accento desolato — prendete sotto la vostra custodia questa mia creatura innocente; è un figlio dell’amore, del primo, dell’unico amore che abbia fatto trasalire le mie viscere.
«Così parlando, la tapina ci sporse un paniere, dove tra bianchi pannilini giacea sopito il grazioso bimbo che ora posa su quel letto.
«— Io sono inseguita — riprese ella con terrore; — inseguita da un uomo potente e feroce. Presto! esaudite il voto di una povera madre. Prendete quel fanciullo, dirigetevi su Milano e fate di scendere alla casa di quel santo che si chiama il fratello Consolatore. Nel paniere vi hanno due lettere, dirette l’una al buon Levita, l’altra a colui:..
«Ma la tapina non potè proseguire, sgomentata da uno strepito di passi.
«Chi avrebbe esitato? Noi afferrammo il paniere dai due lati, e ansanti, desolati di non poter alla misera donna giovare altrimenti, con rapido volo ci allontanammo dal luogo nefasto.
— Povera Maria! — sciamò l’Albani; — quel Cardano... quel mostro... l’avrà uccisa.
— Egli l’amava troppo per ucciderla — disse il Levita. — Fui io stesso, che consigliai alla povera immolata il più grande dei sacrifizi, inducendola a seguire quell’uomo. Ed ecco, per mezzo di lei, alla provvidenza è piaciuto svelarmi l’autore della misteriosa disparizione di tanti neonati. Sì; avete ragione; Cardano è un mostro; ma egli è uno di quei mostri generati dall’orgoglio e della manìa di sapere, che in tanta copia si producono all’età nostra. Volendo conoscere le prime espressioni della favella umana e studiare gli istinti ingeniti della nostra specie, quello scienziato abbominevole esercitava la tratta dei neonati. Le piccole creature rapite alle madri venivano accolte e allattate da mute nutrici nel vasto edifizio destinato alle atroci esperienze. Parecchie centinaia di fanciulli d’ambo i sessi erano là da parecchi anni a stridere, ad ululare come animali selvaggi, avvoltolandosi nella terra, commettendo tutte le stranezze e gli abbominii suggeriti dall’istinto sfrenato...
— Orrore! orrore! — gridava l’Albani percorrendo la stanza a passi concitati.
— Il dolore delle madri è salito al cielo! — disse il Levita.
— E la giustizia umana compirà l’opera sua — soggiunse Lucarino. — Il fatto è segnalato. A quest’ora, sulle alture del Gottardo, migliaia e migliaia di cuori gridano: morte a Cardano.
— E noi siamo ancora qui?
Ciò detto, l’Albani con ardore paterno baciò in fronte il bambino, e ricoricatolo sul letticciuolo, uscì a passi precipitati dalla casa del Levita.