A chi gli diceva: «Tu sei un Prometeo nel dire»

greco

Luciano di Samosata Antichità 1862 Luigi Settembrini Indice:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu Letteratura letteratura A chi gli diceva: «Tu sei un Prometeo nel dire» Intestazione 29 dicembre 2022 75% Letteratura

Il sogno, o la vita di Luciano Nigrino
Questo testo fa parte della raccolta Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
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II.

a chi gli diceva: «tu sei un prometeo nel dire.»



Dunque tu dici ch’io sono un Prometeo? Se intendi, o caro, che son di creta anche le opere mie, tengo per buono il paragone, e dico: sì sono, nè rifiuto il nome di pentolaio, benchè la mia creta sia molto vile, come quella che è raccolta in sù le vie e poco meno che fango. Ma se per lodarmi di gran finezza d’arte tu mi appicchi il nome di quel sapientissimo de’ Titani, bada che alcuno non dica che sotto la lode sta l’ironia e un frizzo attico. Oh che finezza d’arte è la mia? che gran sapere e gran vedere è negli scritti miei? È assai per me che non ti paiono di loto, e proprio degni del Caucaso. Eppure quanto più giustamente potreste essere paragonati a Prometeo voi altri grandi avvocati che splendete nelle battaglie dei giudizi. Quelle opere vostre sono veramente vive, ed animate, e calde di fuoco ardente: lì c’è del Prometeo; se non che non le fate di creta voi, ma parecchi di voi le fate d’oro. Noi altri che recitiamo queste dicerie al pubblico, noi formiamo certe povere figure; e l’arte nostra, come dicevo testè, non maneggia che la creta, come i bambolai: non v’è quel movimento, quell’espressione d’anima; non v’è altro che un po’ di diletto, e scherzi. Onde mi fai pensare che tu mi dái questo nome di Prometeo, come il comico lo diede a Cleone, quando gli disse, come ricordi:

È Cleone un Prometeo dopo il fatto.1

Anche gli Ateniesi per celia chiamavano Prometei tutti i pen[p. 184 modifica]tolai, i fornaciai, ed ogni maniera di vasai, perchè trattano la creta ed il fuoco in cui cuociono i vasi: se mi chiami Prometeo in questo senso, hai dato giusto nel segno, ed usi bene l’acre frizzo degli Attici: chè anche le opere nostre sono pentole fragili, e se vi scagli un sassolino, vanno tutte in cocci.

Ma qui alcuno per chetarmi dirà: Non ti ha paragonato a Prometeo per questo, ma per lodare le opere tue come nuove e non imitate da alcuno antico; come Prometeo fece quando non v’erano ancora gli uomini; egli li ideò e formò, e diede loro e vita e moto e grazia d’aspetto, e ne fu al tutto il primo fabbro; se non che un cotal poco l’aiutò Minerva, che soffiò nella creta già formata, e le infuse l’anima. E così si dirà che quel nome mi fu dato per farmi onore. Forse questa intenzione ci fu: ma a me non basta che io paia di far opere nuove, e delle quali non si possa dire che c’è esempio negli antichi: s’io non le facessi belle, io me ne vergognerei, e le calpesterei, e distruggerei; chè per me la novità è niente, e non m’impedirebbe distruggerle, se fossero brutte. Se non pensassi così, mi crederei meritare lo strazio di sedici avoltoi, perchè non intenderei che è molto più brutto il brutto che è nuovo.

Tolomeo figliuolo di Lago condusse in Egitto due novità, un camello della Battriana tutto nero, ed un uomo di due colori sì spiccati e distinti, che d’una metà era perfettamente nero, e d’un’altra oltremodo bianco; e ragunati gli Egiziani in teatro, mostrò loro molte maraviglie, e infine questo camello e quest’uomo mezzo bianco e mezzo nero, stimando che questo spettacolo li dovesse dilettare. Ma la gente, a vedere il camello, sbigottì, e poco mancò che non fuggissero, quantunque fosse tutto covertato d’oro, con gualdrappa di porpora, e con freno tempestato di gemme, arnese che era stato di uno dei Darii, o di Cambise, o di Ciro stesso: a veder poi quell’uomo, molti risero, ed alcuni lo ebbero a schifo come un mostro. Onde Tolomeo accortosi che non piaceva, e che gli Egiziani non ammirano la novità, ma pregiano più la bellezza e la formosità, li fece ritirare, e non tenne più l’uomo nel conto di prima. Il camello per manco di cura morissi; e quell’uomo di due colori fu donato al flautista Tespide, che aveva molto dilettato il re sonando ad una cena. [p. 185 modifica]

Or io temo che l’opera mia non sia come il camello fra gli Egiziani, e che la gente ammiri ancora le belle coverte ed il freno. Perocchè l’essere ella composta di due cose bellissime, che sono il dialogo e la commedia, non fa che ella sia bella, se l’unione non è armonica e di leggiadra proporzione. L’unione di due cose belle può riuscire una stranezza, come è il notissimo Ippocentauro,2 che certo non puoi dire essere una bestia piacevole, così sozzo e rissoso come è, se bisogna credere ai pittori, che ce lo rappresentano fra crapule ed uccisioni. Ma che? e di due cose ottime non se ne può fare una bella, come dal vino e dal mele una dolcissima bevanda? Si può: ma credo che non sia questo il caso mio, e temo che la bellezza dell’uno e dell’altra non sia guasta dall’unione. Da prima non erano molto amici e famigliari tra loro il dialogo e la commedia: quello ritirato in casa, e nei passeggi solitari ragionava con pochi; questa datasi a Bacco, stava sul teatro, e scherzava, faceva ridere, motteggiava, e talvolta camminava in cadenza a suon di flauto, e spesso saltabeccando sù gli anapesti, dava la baia agli amici del dialogo, salutandoli coi nomi di malinconici e di strolaghi, e non s’era proposta altro scopo che trafiggere costoro, e rovesciar loro in capo tutta la furia di Bacco, rappresentandoli ora che andavan per l’aria e conversavano con le nuvole, ora che misuravano il salto d’una pulce, e fantasticavano di cotali altre corbellerie come di cose sublimi. Il dialogo poi ragionava di cose gravissime, filosofando della natura e della virtù; sicchè, a dirla coi musici, eran lontani fra loro due ottave, l’uno stava al tono più acuto, l’altra al più basso. E pure noi ardimmo di congiungere ed acconciare due cose che non facilmente pativano di stare insieme.

Ho paura ancora ch’io non paia d’aver fatto qualcosa di simile al tuo Prometeo, ad aver mescolato maschio e femmina, e che di questo fatto io sia reo. Ma meglio questo che, come lui, ingannare gli ascoltatori, mettendo innanzi a loro l’osso nascosto sotto il grasso, il riso del comico sotto la gravità del filosofo. Di furto poi (chè anche di furto fu appuntato quel Dio) bah, no: questo puoi dirlo, che nel mio non c’è roba altrui. [p. 186 modifica]E da chi avrei rubato? Io non so che ci sia stato altri che abbia composto di tali irchicervi e bizzarrie. E se c’è, che potrei fare? È forza seguitar la via presa: mutare consiglio è cosa da Epimeteo,3 non da Prometeo.





Note

  1. Prometeo vuol dire preveggente.
  2. Ippocentauro, caval-toro.
  3. Epimeteo significa poi-veggente, accorto dopo il fatto. Egli era fratel minore di Prometeo.