A Lodovico Pasini Senatore del Regno
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A LODOVICO PASINI
SENATORE DEL REGNO.
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Quando dall’onda le nembose spalle
Sollevassero le Alpi, e di vulcani
3Tutta ardesse del Tevere la valle;
Quando vagante pe’ deserti piani
Il vorticoso Eridano i maggesi
6A popoli impinguasse ancor lontani,
Tu ben sai, Lodovico, a cui palesi
Splendono nel granito e nella lava
9Remotissimi giorni a noi contesi.
Stanza in vero superba apparecchiava
Fra le chiostre de’ monti e la marina
12Che accarezzando la circonda e lava,
Alla fatata sobole latina
Favorevole Iddio che il portentoso
15Albergo le munia come a regina.
Nè corcato sui fiori e neghittoso
Popolo già nudrì questa contrada
18Surta pur ora da servil riposo;
Bensì duro e guerrier che colla spada
I termini toccò dell’universo,
21Di lauro ornando la sanguigna strada.
In cavo nicchio per tremoto emerso,
O per torrenti allo splendor del sole
24Tutto un mondo tu scorgi ora sommerso;
E dal pondo de’ cranî e dalla mole
D’impietrata mandibola argomenti
27D’estinte belve gigantesca prole.
Ma se lungo la Chiana e le correnti
Dell’Ombron tortuose il passo arresti,
30Salir vedi di terra i monumenti
Della velata Etruria, e manifesti
Ne’ pinti vasi di possenti schiatte
33Miri i gran corpi e le pompose vesti.
Contro i secoli ancor Roma combatte
Vittorïosa, e le gran membra ostenta
36Da tanto ferro e tanta fiamma intatte,
Già del mondo maestra, che rammenta
A noi l’eccelso cómpito e riprende
39Qual pari all’ardua soma il cor non senta.
Bello, come soleva, ancor risplende
L’italo sol che dal Cenisio al Faro
42Mirabil possa d’intelletti accende;
Ma le virtù che agli avi il petto armaro,
Ferreo voler, sublimità di core,
45All’Italia or contende il fato avaro.
Splender desia d’intempestivo onore
Qual più la patria di servir si vanta,
48E del tardo poggiar sente rossore,
Quando tarda veggiam crescer la pianta
Che il dolce pome al villanel matura
51Nè sol di ombre infeconde il suolo ammanta.
Molti verni vegliati e la natura
Delle leggi, de’ riti e de’ costumi
54Ricerca aveva con intenta cura;
Corse più terre e valicati i fiumi
D’inclite genti il tuo fratello avea,
57Onde anco Italia ha lagrimosi i lumi.
Non tessuta di sogni inane idea,
Non illuvie di torbida eloquenza
60All’insorgente patria egli porgea;
Ma di fede nudrito e di scïenza,
Degli eventi signore, austero senno
63E de’ casi mortali esperïenza.
Lui l’altera Albione e lui di Brenno
Vider solerte gl’inquïeti figli
66De’ potenti il pensier legger nel cenno;
Nè fu per lui se l’Aquila vermigli
Nelle reni del veneto Leone
69Un’altra volta conficcò gli artigli.
Poi sulla Dora, in più solenne agone,
Quando dritti soggiacquero e fortune
72Al novo carco che la patria impone,
Vinto il clamore d’emule tribune,
Gl’itali fati a salda áncora avvinse
75Di comun fede e di tesor comune.
Perchè l’ingegno suo che tanta vinse
Ira di parti, nequitoso insulto
78Di cieco morbo innanzi tempo estinse?
Perchè fra tanto buio e nel tumulto
Di abbaruffati pelaghi la vela
81Nocchier non regge alle tempeste adulto?
Finor di avventurosi astri in tutela
Ben fummo, Lodovico, o che segreta
84Vitalità possente in noi si cela,
Se per tanto inattesa e poco lieta
Di battaglie vicenda e di sventure
87Pur tocca abbiamo glorïosa meta.
Sempre fauste così l’ore future
Ne rideranno? De’ felici allori
90In eterno godrem l’ombre secure?
Genti men fortunate, a cui minori
Or di studî pur siam, d’armi e d’impero,
93Ponno acquetarsi de’ secondi onori.
Ma questa regal madre, a cui già diero
Provvidi i cieli esser lucerna al mondo,
96A mezza via non resta; o nel primiero
Lustro risorge, o dee tornarsi al fondo.