Un rendez-vous diplomatico

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Lasciati i compagni sull’auto, Strozzi varca l’atrio, nonostante sia atteso le guardie armate lo perquisiscono, sale una scala alla cui sommità l’ambasciatore tedesco, il conte Klaus Dietrich von Rödinger, lo attende sulla soglia dell’ufficio. Il diplomatico invita l’ospite nella grande stanza, arredata da un’antica libreria e da una carta d’Europa, e gli offre una poltrona. “Come le ho anticipato per telefono, cavaliere, il ministro la vuole conoscere personalmente -lo informa in buon italiano-, è molto, molto interessato all’incontro. Credo di doverle tutte le scuse, a suo nome, se tarderà un poco. Con le nuove leggi islamiche Berlino è diventata una città molto malinconica, e sua eccellenza approfitta della permanenza a Roma per prendersi un poco di svago.” “Roma è il più grande bordello dell’Africa, e i turchi sono sempre impazziti per i bordelli africani -dichiara Strozzi-: turchi e marocchini restano turchi e marocchini anche quando diventano ministri, pronti a vendere le cinque mogli per una bottiglia d’alcol!” Stringendo significativamente le labbra, il diplomatico apre le braccia in segno di distaccata comprensione.

Il ministro degli approvvigionamenti alimentari della Repubblica di Germania, Moussa Arouk-kurk, esponente del partito islamico che detiene la maggioranza nel Bundestag, è a Roma per l’assemblea di un organismo che soccorreva, quando la comunità internazionale distribuiva qualche nave di grano, i paesi in preda alle carestie. Da trent’anni non dispone più di uno staio, ma la tradizione dell’incontro si è protratta, e i responsabili del commercio agricolo compensano il vano confronto sulle carestie con la scoperta di qualche ristorante stuzzicante, o di un locale notturno colorito.

“Farò il possibile perché nell’attesa non abbia a perdere il suo tempo. -promette il diplomatico- Per introdurre la conversazione posso essere molto, molto chiaro, cavalier Strozzi: la situazione delle scorte alimentari della nostra Repubblica è ragione di preoccupazione, direi di grande preoccupazione. Ein grosses Problem! Stiamo distribuendo le disponibilità tra le città dove c’é minaccia di carenza, ma presto non sarà più possibile sottrarre scorte alle città meglio rifornite: a toccare un sacco di grano si accenderebbero moti di piazza, e a lasciare le scorte dove sono resteranno senza pane le città meno approvvigionate. Nei rapporti tra le etnie del nostro paese la mancanza di grano potrebbe produrre tensioni dalle conseguenze imprevedibili. Questa primavera piovosa ha ostacolato il lavoro dei nostri agricoltori, i campi di grano non sono stati concimati né diserbati: prevediamo un raccolto deludente anche nelle più fertili regioni dell’Est. Di qui l’interesse di sua eccellenza a incontrare chi, come lei, disloca il grano tra gli oceani e i continenti.”

L’italiano è sorpreso: conosce perfettamente, sottolinea, la precarietà degli equilibri annonari della Repubblica tedesca, ma sa altresì del trattato di scambio con cui la Francia si è impegnata, dopo il disfacimento della Comunità Europea, a rifornire di frumento la Germania. Proclama la propria meraviglia al diplomatico. “Vedo che la diplomazia riesce ancora a ottenere le proprie informazioni con qualche giorno di anticipo sui grandi commercianti! -sorride Von Rödinger- E’ questione di qualche settimana, ormai, e la Francia non esisterà più. Lei sa che da tempo Parigi è una testa unita al corpo da legami sempre più labili. E’, come Roma e Berlino, una metropoli afroasiatica, mentre il resto della Francia, la Francia della campagna e delle città di provincia, è bianca, e la Francia della provincia rifiuta la via tedesca all’integrazione, pretende di restare bianca, e prima del nuovo raccolto proclamerà la propria indipendenza. Los von Paris! Via da Parigi! La posso informare anche della nuova denominazione: République de la patrie paysanne.”

Strozzi fissa, oltre l’interlocutore, la carta geografica alla parete, e sulla carta vede centinaia di treni di grano ruotare vorticosamente dirigendosi verso destinazioni radicalmente nuove rispetto al passato. “L’esito della secessione è certo -il diplomatico mostra di non rilevare la sorpresa dell’interlocutore-: lei sa che il nerbo dell’esercito francese è bianco. Parigi, con i suoi venticinque milioni di abitanti, resterà una metropoli senza campagne, con uno sbocco sul mare utile solo alle vacanze sulla spiaggia! Il generale Bonhomme, candidato alla presidenza, è convinto che, col suo grano, la République paysanne diverrà il perno degli approvvigionamenti mondiali, l’ago della bilancia dell’equilibrio del pianeta, Mittelpunkt der Welt. Potrei annoiarla per un’ora ricordandole che da quando fu costituito, a metà del secolo scorso, il Mercato Comune, la Francia sogna di imporsi come potenza cerealicola intercontinentale. Per quanto ci riguarda, la Repubblica turca di Germania verrà ad avere, quasi ai suoi confini, lo stato-città di Parigi, con i suoi problemi insolubili di approvvigionamento, e tutti i legami tra l’islamismo parigino e l’islamismo germanico: una situazione di cui è inutile le illustri i pericoli. Abbiamo bisogno di grano, signor Strozzi, quindi abbiamo bisogno di lei! Ecco la ragione per cui sua eccellenza vuole vederla.”

Alle due il ministro non ha inviato neppure un messaggio di scuse, un poco imbarazzato il conte tedesco ordina all’usciere bibite e snaks, che un cameriere in guanti bianchi porta, dopo pochi minuti, su un grande vassoio. I due hanno appena riempito la palma della mano di mandorle e krackers che li raggiunge Moussa Arouk-kurk, un giovanotto tarchiato dalla fluente chioma corvina, i lunghi baffi altrettanto lucenti, sul volto l’espressione distesa di chi si è appena risvegliato da un sonno ristoratore. Lo accompagna l’interprete, una ragazza alta dai capelli castani, effigie di una bellezza italica pressoché scomparsa, tanto da accendere l’ammirazione di Strozzi per la funzionalità del dispositivo tedesco di selezione delle interpreti.

L’ambasciatore presenta l’uomo d’affari al responsabile di governo, che, senza spiegare il ritardo né scusarsi, si versa un aperitivo e si complimenta con l’italiano per l’incanto di Roma. “Ma la conferenza dura solo tre giorni, purtroppo! -traduce l’interprete- Poco, poco, troppo poco per assumere le decisioni necessarie a prevenire le carestie che minacciano il pianeta! Ma, per non perdere tempo prezioso, potremmo trasferire una conversazione tanto importante in luogo più accogliente.” “E sua eccellenza conta su un figlio genuino dell’Italia -aggiunge l’ambasciatore-, quale reputa il cavalier Strozzi, per la scelta di un localino che, tornato nel nostro malinconico paese, non debba dimenticare troppo presto, ein gutes, sehr gutes Gasthaus!”

Strozzi esegue un rapido inventario, avanza alcune proposte, si profonde in lodi particolarmente calorose delle antiche specialità romanesche, trippe, ventricoli e animelle, che vengono imbandite dalle trattorie che contornano il Testaccio, l’antico mattatoio cittadino, ora il macello di rito arabo dell’Urbe. La proposta pare incantare l’uomo politico, che chiama l’usciere e ordina di preparare l’auto e la scorta. Con l’ascensore il gruppo scende nella rimessa e prende posto nella grande Mercedes blindata, che si dirige al cancello seguita da una seconda auto occupata da cinque agenti, tre atletici teutonici, due turchi nerboruti, tutti con i mitragliatori sulle ginocchia. Varcando il cancello Strozzi ordina, con un gesto del braccio, ai suoi uomini di accodarsi alle auto della diplomazia turco-tedesca. Il convoglio percorre il tratto terminale di via Po e si immette sulla strada del Muro Torto. Il traffico scorre faticoso. Le auto in marcia sono poche: Roma trabocca di antiche vetture delle marche italiane la cui produzione è interrotta, ormai, da trent’anni, ma anche quanti sono riusciti a perpetuare la funzionalità di una vecchia Bravo l’usano con parsimonia: in tutta la capitale poche centinaia di famiglie possono permettersi l’acquisto settimanale del carburante, per la maggioranza dei possessori è necessario un anno di risparmi per tre o quattro escursioni estive a Fregene o a Ladispoli.

Se le automobili in marcia sono rare, la strada è contesa dalla schiera dei carretti, mossi da uno scooter o da un somaro, con i quali gli ambulanti spostano le proprie mercanzie da un mercato all’altro. All’altezza di Villa Medici il traffico viene interrotto dallo sbandamento di un gregge di capre che il pastore ha condotto ad assaporare le prime erbe sulla scarpata stradale, che un improvviso timore getta nella corrente dei motocarri, tra le grida del pastore e il latrare dei due cani, che tentano invano di ricomporre il branco destreggiandosi tra i cento veicoli.

Quando, con l’aiuto di qualche ambulante di buona volontà, il gregge è ricomposto, ripresa la marcia il convoglio raggiunge Piazza del Popolo, campo di gioco di schiere di bambini indù: il vecchio quartiere diteso sulla riva sinistra del Tevere è abitato da gente del Dekkan, che ha espulso tutti gli occupanti di origine diversa, e ha stabilito la più gelosa autonomia rispetto alle genti diverse, che vivono in ripugnante promiscuità, ignorando che i numi hanno voluto che gli uomini fossero ripartiti in caste, così da favorire l’ascesa progressiva di ciascun vivente, ad ogni reincarnazione, verso la perfezione finale.

Entrato nell’enclave indù, il convoglio diplomatico fatica ad uscirne, siccome procedendo sulla sponda sinistra del fiume trova la strada interrotta da un grande scavo, ricordo dei lavori che venivano eseguiti quando l’acqua potabile correva sotto le strade della città, e varcare il fiume si rivela impresa ardua, siccome sulla sponda destra rivalità antiche contrappongono la popolazione nera e quella gialla, e ciascuna sorveglia i ponti che immettono nel proprio quartiere. Fermati ad un posto di blocco da un corpo di guardia di kikuiu, dopo un minuzioso interrogatorio sulle ragioni del passaggio le tre auto riprendono la marcia dopo che Strozzi acquista, mettendo mano al pacco di banconote, un salvacondotto. “Abbiamo pagato la taglia agli Sioux, adesso toccherà a Mohicani e Cheyenne” impreca l’italiano. Il lasciapassare appena comprato non apre il varco, ovviamente, nel quartiere giavanese, al cui ingresso si ripetono interrogatorio e contrattazione, col pagamento di un nuovo salvacondotto.

Gli ultimi chilometri scorrono privi di intralci: attraversando, per la seconda volta, il Tevere, i viaggiatori scorgono la teoria delle feluche a vela che, risalito il fiume, la mattina, col pesce della notte e le verdure raccolte negli orti del litorale, ridiscendono, chiusi i mercati, verso la foce. Sulla riva schiere di donne lavano i panni, qualcuna, assolta l’incombenza, se ne va con il cesto del bucato sul capo, un bimbetto per mano, qualcuna scende le scalinate di marmo ricercando un posto libero nella sequenza delle lavandaie.

Quando il convoglio giunge in prossimità del mattatoio deve penetrare le strade rigurgitanti di camion, carri e carretti carichi di animali mugghianti e belanti, e di mandrie di buoi che uomini a cavallo sospingono, con lunghe lance, direttamente dai pascoli dell’Agro. Un’intera strada brulica di dromedari, il cui arrosto è piatto d’obbligo per ogni festa di nozze dei musulmani benestanti. Strozzi, che possiede allevamenti e, occasionalmente, negozia bestiame, scruta gli animali, macilenti e imbrattati di escrementi, i segni del viaggio in una stiva soffocante. “Poveri animali -proclama-, finiti in mano a una bestia che li ha fatti viaggiare senza neanche cambiare la paglia.” Se nel cuore dell’allevatore si accende una scintilla di pietà per le bestie, in quello del mercante ride lo scherno per il compratore, che si è affidato a un armatore disonesto. “Così impara il suo mestiere!” Per il commercio internazionale non si può andare a scuola: negoziare sui mari non è cosa per gli sprovveduti, è giusto, ripete tra sé, che gli imbecilli vadano a fondo.

Sentimenti diversi i dromedari animano nello statista tedesco, che li fissa incantato “Schön! Schön! Das ist schön!” proclama estatico, e chiede all’italiano se sarà possibile, raggiunto il ristorante, assaporare una lombata di cammello. Strozzi assicura che si potrebbe chiedere un dromedario intero, ma che avere affrontato tanti disagi per tradire le prelibatezze romane sarebbe come andare a Parigi per cenare con wurstel e birra. “E’ già stata presentata, al Bundestag, una proposta di legge per vietare la fabbricazione di birra in tutta la Repubblica -traduce l’interprete- presto per bere un boccale di birra anche un ministro tedesco dovrà volare a Parigi! E’ incredibile! Una cosa incredibile! In quanto infedele, lei nutrirà dubbi sulla sublime grandezza di Maometto -prosegue la ragazza seguendo rapida l’eloquenza del ministro-, l’uomo più grande che abbia calcato la terra. Si sbaglia: chiunque ami le donne non può che nutrire devozione per il profeta, che ne ha possedute tante, stupende, belle, mediocri e anche brutte. Ma come un uomo tanto grande poté disprezzare il vino, il secondo dono elargito dall’Onnipotente per allietare il cuore dell’uomo, è mistero che l’Onnipotente non ha mai svelato. Maometto ha peccato di zelo? Allah è misericordioso, e al suo profeta avrebbe perdonato anche errori più gravi!”

La bella interprete segue a fatica l’argomentazione di Moussa Aruk-kurk, che, trasportato dall’enfasi, si libra nel cielo dove i serafini trasportarono, cantando, il profeta: “Legga il Corano, cavalier Strozzi, abbandoni l’abominio dell’incredulità, professi la grandezza dell’Eterno e imiti il suo profeta, che trascorse metà della vita in estasi tra i cori degli angeli, l’altra metà nella gioia sublime del letto di una donna. E in premio della sua fede l’Altissimo gli dischiuse le camere da letto più incantevoli dell’Arabia! Quale religione propone, come modello, un uomo che sia più attraente imitare? Che ha appagato tutte le esigenze genuine dell’uomo? Rifletta, e abbandoni la miscredenza, potrà misurare la generosità dell’Altissimo.”

L’italiano è sinceramente colpito: non è mai riuscito a convincersi dell’esistenza di Dio, ma all’Altissimo del ministro turco sarebbe disposto a prestare la propria devozione. Lo sfiora, però un dubbio: per gioire di tante grazie muliebri Maometto ritenne di dovere all’Onnipotente preghiere e digiuni, lui ha goduto altrettante gioie senza privarsi neppure di un piatto di garganelli. Ha fruito dei benefici del profeta senza pagare alcun prezzo: è più accorto lui, Maometto si è illuso, di credere in Dio non c’é alcun bisogno.

Procedendo, a passo d’uomo, tra carrette di agnelli e camion di vacche, il convoglio giunge ad un piazzale sul quale, tra case cadenti, si affacciano alcuni padiglioni contrassegnati da grandi scritte in arabo e in italiano, sono i ristoranti del Testaccio. Con pazienza, gli autisti riescono a disporre le auto tra i cento veicoli che ingombrano la piazza. Preceduti da tre uomini armati, seguiti dagli altri tre, facendo ala alla bella interprete, lo statista, il diplomatico e l’uomo d’affari varcano la porta della più celebre delle trattorie del mattatoio romano.