È bello, è divino per l'uomo onorato
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È bello, è divino per l’uomo onorato
Morir per la patria, morir da soldato
Col ferro nel pugno, coll’ira nel cor.
Tal morte pel forte non è già sventura:
Sventura è la vita dovuta a paura,
6Dovuta all’eterno de’ figli rossor.
Chi son quei meschini che vanno solinghi,
Sparuti per fame, cenciosi, raminghi,
Che in volto han dipinto l’obbrobrio, il dolor?
Se il chiedi a’ vicini così ti diranno:
«Quei vili raminghi più patria non hanno;
12Fuggiron dal campo; l’infamia è con lor.»
Mirate quei padri, quei vecchi cadenti,
Le squallide spose coi figli morenti;
Mirate miseria ch’è senza pietà!
Non alzan quei volti dannati allo scherno:
Il ciel della patria non miri in eterno
18Chi un cor per amarla nel petto non ha.
Ah! dunque di fuga pensier non v’alletti;
Non sieda paura nei liberi petti;
Ma v’arda cocente di guerra il desir.
Pugnam per la patria, pugnamo pe’ figli:
L’amor della vita viltà non consigli:
24Se vincere è bello, pur bello è morir.
Che infamia se i vecchi lasciando sul campo,
I vecchi che speme non hanno di scampo,
La vita codarda correste a salvar!
Ma spose, ma figli quei vecchi non hanno?
(Gli stessi nemici fremendo diranno)
30Perchè quei meschini non vanno a salvar?..
Bruttate di sangue la barba, le chiome
Riversano al suolo quei vecchi, siccome
Figliuoli del fango dannati a morir.
Orrendo a vedersi! Di sangue grondante
Ciascuno morendo con labbro tremante
36S’ascolta all’ignavia de’ suoi maledir.
Non piombi sul capo cotanta vergogna!
Non s’oda dai padri sì dura rampogna!
Si mora piuttosto, ma salvo l’onor.
La lode de’ forti si chiuda nell’urna;
Le greche donzelle nell’ora notturna
42La spargan pietose di pianto e di fior.