Çittara zeneize/Dedicatoria
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SERENISSIMO,
E alle Muse le date. Apollo ancora,
Sciolti dal giogo aurato Eto e Piroo,
Il gran pensier di ricondurre il giorno
Acque
5Acqueta alquanto, e d’Ippocrene al margo
Tranquillo assiso, al plettro riede e a i carmi.
Non così greve incarco al curvo dorso
Del vecchio Atlante è il ciel, come l’immensa
Mole della Cittate incombe e grava
10Sulle menti de’ Grandi: opra che alterno
D‘ozio e fatica variar dimanda.
Ma Voi, di maestate armato il ciglio,
Severo mi guardate. Io ’l so: la Vostra
Non è tempra comun. Non mai si allena,
15Chi nacque a Gloria ed a Virtute: eterno
Sudor ne bagna i primi e i giorni estremi.
Ben so, che l’ardue faticose cime
De’ cittadini Onor toccaste, ignaro
O di mezzo o di via, giovine e nuovo,
20Immaturo mm mai. L‘occulto foco,
Che le vene V’mpiea, più che a Natura,
Alla Gloria servendo, al più sublime
Vi conducea; nè dievvi mai del giogo
Lo scosceso a mirar, ma quanto illustre
25La meta fosse. Tal Vi scorse, e presto,
Zelo e senno supplendo al crin canuto,
Fra’ suoi Padri Vi elesse, e poi sovente,
Quando il soffrir le leggi, a Voi commise
Il difficil governo, in Voi sicura,
30La Pubblica Dovizia1. Onor fu sempre
E ’l giudizio e la scelta; e Voi godeste,
Che l’opra Vostra pace altrui recasse
E sicurezza, a Voi travaglio e merto.
Vide Astrea la grand’Alma, e tosto anch’Ella
35V’offrì la libra e ‘l brando2; e Giano poscia
Di sue leggi il tesoro3; e ad ambi uguale,
Nè mai mm pronta e mente e man prestaste.
E forse allor che Interpetre e Ministro
De’ suoi consigli Libertà mandovvi
40Alla Donna d’Insubria4, il fè per pompa,
Ambiziosa a mostrar, di quanta ardeste
Di vero onore inestinguibil brama.
E se Le balenò gioja sul volto
All’iterato farvorir di Sorte,
45Che compagno seder Vi feo sul Soglio,
Pria che al Seggio primier Virtù Vi ergesse,
Un lampo fu di quel, che ardeale in petto,
Impaziente desir d’avervi in opra;
Onde per varj aspetti Ella regnasse,
50Voi Preside ed autor5. Riser le Dive
E Nemesi e Salute allor che offriste
Vigile e difensore e l’occhio e il braccio:
Ma disperata a quel gioir la Colpa
Le man si morse; e le tartaree pesti
55Fremero invano a’ nostri lidi intorno.
Così Vi volle Libertate al lato,
Sempre all’uopo maggior: finchè vestito
D’Ostro e Corona rammentovvi a un tempo
Ciò che faceste, e ciò che a far Vi resta;
60Che di fatica a Voi parlar si debbe,
Non di riposo; ignota essendo ogni altra
Al Vostro ardor, fuorchè in oprar, vicenda.
Tale s’aggira irrequieto, e scende
Dal Primo Foco all’imo suolo, e i corpi
65Penetra, scuote, illumina, colora
Il tenue mobil Etere, poi torna
Alla Rota maggior; nè qui si perde,
Ma, sè movendo, il moto ad altri imprime,
Non mai dal Sol diviso, o parta, o rieda.
70Lunge da Voi ciò che d’ignavia è figlio!
Ma chi d’inerzia osa dannare un Vate?
Non fu vil ozio, che alle selve Amiro6
Trasse d’Arcadia, e che sovente incise
Lasciar Vi feo sul Menalo le scorze
75Del nome di Colei7, che lunga etate
Del Vostro spirto ammiratrice e donna
Vi accese in sen con miglior nume i carmi,
E di sua man spesso intrecciovvi il lauro.
Ahi dura invida morte! ahi lungo amaro
80Desiderio di Lei! che or forse andrebbe
Della Ligure Cetra al suon sgombrando
La Regia mente; e i vivi tratti alteri
Mostrando a dito, ove de’ Prischi Eroi
L’augusta Immago il Vostro volto adombra:
85E or chiederebbe alle Tenarie Porte
In passaggiero don l’Ombra onorata
Del nobil Pescator, che a Voi dinante,
Umido il sajo ancor del salso spruzzo,
Di Nereidi e Triton guidasse un coro,
90Il seno colmi di coralli e conche,
Tributo e pegno della fè, che il Mare
De’ Vostri Avi al valor giurata osserva.
Or poichè il Fato Ve la tolse, e Voi
La lira e ’l plettro Le appendeste all’urna,
95L’altrui prendete; nè Vi sembri indegno
Del Grado Vostro richiamar la fredda
Di Lei membranza, e alla bell’Alma i casti
Voti e affetti drizzar: che non ripugna
Le Regie cure tranquillare, o Prence;
100E alle Muse dà loco Apollo ancora.
In atto di umilissimo ossequio |