Trattato completo di agricoltura/Volume II/Piante annuali leguminose, oleifere e tessili/16

Del Papavero

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del papavero.

§ 820. Il papavero (fig. 182) (papaver somniferum) era in Italia coltivato una volta più che oggidì, ed entrava nell’ordinaria rotazione prima del frumento. Dimenticato in seguito, ed introdotto nuovamente nella coltivazione, dacchè si conoscevano le proprietà narcotiche dell’oppio, l’olio che si estraeva dai grani veniva adoperato soltanto nell’industria e nelle [p. 77 modifica] arti, sospettandolo o ritenendolo nocivo alla salute umana. Analizzato però quest’olio, e fatti gli opportuni esperimenti, venne riconosciuto affatto innocuo, ed attualmente in Francia e nel Belgio è venduto solo o misto a quello d’uliva anche per gli usi di cucina.

§ 821. Le varietà coltivate sono due: quella a fior rosso purpureo, e quella a fior bianco.

La varietà a fior rosso ha i petali rigati da due striscie di color violaceo nerastro alla base (fig. 183), le capsule od ovarj (fig. 184), quando sono mature prendono una tinta leggiermente violacea, ed in cima, al di sotto di un disco dentato, vi sono delle aperture che comunicano colle logge dove contengonsi i semi, i quali sono piccoli, come il seme de’ bachi da seta, numerosissimi e di color grigio-perlato carico. All’epoca della maturanza, il seme, per qualche scossa ricevuta dalla pianta, può uscire dalle accennate aperture. Questa varietà conta una sotto varietà con petali più oscuri, capsule più voluminose e senza aperture in cima, per il che dicesi papavero rosso orbo. [p. 78 modifica]

La varietà a fior bianco, ramifica di meno, ma porta ovarj più grossi, con semi bianchi anch’essa, e non ha aperture. La difficoltà di estrarre i grani dalle varietà a capsule chiuse ha fatto preferire la varietà rossa indicata per la prima, quantunque l’olio di quella a fior bianco sia più dilicato.

§ 822. Il papavero esige 2,300 gradi circa di temperatura media per maturare completamente, e soltanto nei climi caldi può permettere una seconda coltivazione: la qual cosa sarebbe meglio possibile dove si potesse seminare in autunno alla fine di settembre od al principio di ottobre, poichè questa pianta resiste a freddi mediocri anche negli inverni dei climi temperati. Ciononpertanto nei climi meno che temperati, si semina in primavera nel mese di marzo o d’aprile, matura tardi nella state, e solo può lasciare un terreno da lavorare per la semina del frumento, della segale o dell’orzo.

La fioritura nei climi temperati succede in giugno, e nei caldi in maggio, e la maturanza succede circa due mesi dopo.

§ 823. Questa pianta desidera un terreno sciolto, profondo, calcare, argilloso, fresco e ben concimato. La troppa umidità dei terreni forti è nociva, come gli è nociva la soverchia aridità dei terreni sciolti silicei. Nei terreni ricchi d’alluvione riesce benissimo.

Il terreno deve essere preparato con due lavori avanti l’autunno, se si vuol seminare in quest’epoca, oppure uno prima dell’inverno ed un altro in primavera, se all’incontro si semina in questa stagione. La terra deve essere ben polverizzata, essendo il seme del papavero assai minuto. Alcuni usano di seminare sopra la neve dopo un solo lavoro, rimanendo i semi abbastanza coperti di terra dopo che quella sia scomparsa: il prodotto però resta inferiore.

Il concime pel papavero, tanto in quantità che in qualità, non differisce da quello che usa pel ravizzone, poichè non è a credere che si possa avere un conveniente prodotto senza un buon lavoro ed un’abbondante concimazione. [p. 79 modifica]

La semina si fa a gettata con 2 chilogrammi e mezzo di semi, ricoprendolo in seguito leggiermente di terra con un erpice piccolo fatto di spini intrecciati. Si potrebbe anche seminare in linea, il che faciliterebbe le due zappature che gli sono necessarie, usando una bottiglia, il cui foro fosse ristretto al punto da permettere l’uscita a non più di due o tre grani riuniti, e con questa, capovolta, lasciar cadere i grani sopra linee tracciate alla distanza di 0m,40 circa, diradando in seguito le piante sopra ciascuna linea. La semina in linea si può fare anche con un seminatore a cavallo, od a carretta.

Giunta l’epoca della maturanza, non la si deve lasciare inoltrare di troppo, poichè facilmente perderebbersi dei semi, e così, appena che le capsule mostrino un color grigio tendente al violaceo, si estirpano gli steli, e si dispongono nel campo a fascetti legati in alto e riuniti in mucchi conici, colla radice in basso, a base ben larga, acciò non possano troppo facilmente cadere. In questa posizione finiscono di maturare, senza ingombrare tutto il terreno, il quale può disporsi ad un nuovo lavoro.

Compita la maturanza delle capsule, si caricano sopra carri ricoperti da un panno, onde non perder semi, collocando i fascetti colla radice all’infuori. A casa poi si battono parimenti sopra un panno, ed in seguito si ventilano i grani per separarli dai frantumi di capsule. Le capsule delle varietà senza aperture non esigono tutte queste precauzioni e si battono col correggiato.

§ 824. Il raccolto medio di grani per un ettaro è di ettolitri 20, sino a 30 nei climi favorevoli e nei terreni adattati e grassi. Un ettolitro pesa chilogrammi 55 a 62. Contengono i semi il 43 per % di olio, ma ordinariamente non se ne estrae che il 35. Quest’olio sopporta da 12° a 15° gradi sotto lo zero senza congelarsi; quello estratto a freddo, detto olio bianco, è consumato per la tavola e si couserva a lungo; quello più colorito che in seguito si estrae a caldo, per la sua qualità essiccativa è adoperato nella pittura, o nelle fabbriche de’ saponi, mescolandolo ad altra qualità d’olio non essiccativo. I tortelli residui allo stato normale contengono 5,63 per % d’azoto, con 6 per % d’acqua. Per ogni 100 chilogrammi di grano si ottengono circa 250 chilogrammi di steli che possono servire per lettiera, ed anche per combustibile. Il prezzo medio d’un ettolitro di grani è di 25 franchi, ossia 43 franchi circa ogni 100 chilogrammi; quello dell’olio di franchi 130 circa ogni 100 chilogrammi. [p. 80 modifica]

§ 825. Il papavero, nei paesi caldi, si può coltivare anche per estrarre l’oppio. A tal uopo, quando le capsule cominciano a perdere il color verde per farsi giallognole, vi si praticano tre o quattro incisioni diagonali, e parallele su di esse, le quali devono penetrare anche la sostanza dell’ovario. Queste incisioni non si tracciano perpendicolarmente acciò il sugo lattiginoso che ne sgorga non defluisca direttamente a terra ma abbia tempo di condensarsi durante il giorno. Perciò si eseguiscono nelle ore calde, onde la pellicola esterna si condensi prima che arrivi la notte, durante la quale l’umidità scioglierebbe il sugo e lo farebbe defluire inutilmente lungo la pianta. Il sugo, che in forma d’una goccia biancastra, geme dalle incisioni è eccessivamente acre; esposto all’aria, si condensa e prende un color giallo che si fa sempre più carico. Dopo ventiquattro ore il sugo è trasformato in una sostanza resinosa, avente tutti i caratteri dell’oppio. Lo si leva con lame alquanto larghe e poco taglienti, ed ogni capsula, può fornire 1/5 di grammo. Nei climi temperati l’estrazione dell’oppio sarebbe un’operazione molto dubbia per l’umidità, e nei paesi dominati da venti secchi talvolta le incisioni disseccano e si ristringono impedendo l’uscita del sugo. Un ettaro potrebbe fornire 20 chilogrammi circa di oppio.