Trattato completo di agricoltura/Volume I/Dei terreni/6

Mezzi di correggere le qualità fisiche dei terreni

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mezzi di correggere le qualità fisiche del terreno.

§ 211. Le qualità del terreno che per le prime capitano sottocchio all’agricoltore sono le qualità fisiche, interessandosi egli avanti tutto del suo diverso grado di tenacità o di umidità.

§ 212. La soverchia tenacità rende difficili i lavori; poco riscaldabile e troppo umido il terreno, se è in condizioni da ricevere un’eccessiva umidità; o troppo duro e poco penetrabile alle radici, se è in condizione da soffrire la siccità. La prima cura adunque dell’agricoltore sarà quella di rimediare a questi difetti, ed i mezzi opportuni sono: l’ammendamento, la coltura e l’abbruciamento. [p. 216 modifica]

§ 213. L’ammendamento è quell’operazione per la quale si corregge la composizione fisica del terreno, aggiungendovi quel principio inorganico terroso di cui per caso fosse mancante. E siccome la troppa tenacità generalmente è dovuta alla troppo grande proporzione d’argilla, dovrebbesi correggere coll’aggiunta di una data quantità di sabbia, in modo che la proporzione dell’argilla non superasse l’80 per cento. Questa operazione che a prima vista sembra assai facile, pure è molto dispendiosa dovendosi spesso scavare e tradurre sul campo tanta sabbia che formi il quinto od il sesto dello strato arabile. Inoltre la perfetta mescolanza colla sabbia non succede così presto quanto si crede. L’unico caso d’ammendamento possibile si avrebbe quando la sabbia si trovasse poco sotto il soprasuolo, e che, con un lavoro più profondo dell’ordinario, si potesse poco a poco mescolarla all’argilla sovrastante. Ma questo caso è rarissimo.

§ 214. La coltura è quell’operazione per la quale movendo il terreno colla vanga o coll’aratro, lo si rende più poroso e pervio agli agenti atmosferici.

Sin da tempi antichissimi si praticava la coltura allo scopo di fertilizzare i campi e di mondarli dalle erbe cattive. Era poi opinione che l’acqua, trasportando nelle parti inferiori del suolo l’umore fertilizzante che conteneva, rendevasi necessaria la coltura per richiamarlo alla superficie, ove dalla luce, dal sole e dall’acqua assottigliato e sciolto, veniva dalla pianta assorbito. Quindi negli statuti dei comuni italiani, massime di quelli posti lungo gli Appennini, era comandata la coltura, eseguendo tre, quattro ed anche cinque arature prima di seminare. Un altro mezzo che usavasi per ridonare ad un terreno stanco la sua fertilità, era quello di lasciarlo riposare un anno o più, ogni sette, ogni cinque e perfino ogni tre anni. Questo terreno in istato di riposo chiamavasi maggese o novale; ed una tal pratica era conosciuta sino dagli Egiziani.

Si avverta però che le dette arature devono essere [p. 217 modifica]eseguite con giudizio, poichè non tutti i terreni ne richiedono un egual numero; e questo sarà tanto minore quanto maggiore sarà la mobilità di essi. Nei terreni argillosi ed umidi se ne potranno fare quattro o cinque, nei meno argillosi tre o quattro, nei calcari due o tre, nei sabbiosi non più di una o due.

L’azione benefica della coltura noi non possiamo spiegarla che colla scorta della chimica e della fisica. L’aria, l’acqua, il calore ed il gelo agiscono assottigliando e riducendo in pezzi più piccoli od in polvere le parti terrose del suolo; allora queste vengono assoggettate ad un più vasto contatto coll’ossigeno e coll’acido carbonico, i quali, esercitando una maggior azione sui silicati insolubili, producono una più pronta separazione degli alcali e dei principj solubili, che rendonsi in seguito atti ad essere assimilalti dalle piante. Lasciando invece riposare la terra, l’azione dell’aria, del sole, dell’acqua e del gelo era minima, e da lì a poco abbisognava lasciar riposare di nuovo il terreno. Oggidì però i vantaggi della coltura non solo, ma ben anche quelli della concimazione e dell’avvicendamento dei prodotti, tolsero dall’agricoltura quest’usanza che rendeva infruttifera un’annata intiera ogni cinque o sette anni.

Sapendo ora in qual maniera agisca la coltura, potremo scegliere anche la stagione ed il momento migliore per eseguirla, cioè, l’estate che col suo calore facilita le combinazioni del gas acido carbonico atmosferico, e l’inverno che polverizza col gelo le parti terrose. Avvertasi in ogni caso che il terreno sia asciutto e scorrevole, perchè se fosse umido si comprimerebbero di più le zolle, invece di ottenerne lo spolverizzamento. Questa operazione, quantunque possa dare dei buoni risultati, non deve però ritenersi come essenzialmente fertilizzante, poichè con essa non si restituisce alla terra nulla di quanto gli fu tolto, anzi si favorisco lo spoverimento delle sostanze organiche necessarie ai diversi prodotti. [p. 218 modifica]

La coltura fatta d’estate serve piuttosto a togliere dal campo le erbe nocive, le radici delle quali rivolte al sole disseccano, e le cattive sementi che nascono, vengono dai successivi lavori sovesciate e fatte marcire sotto terra.

§ 215. Un altro dei modi usati per correggere i terreni troppo tenaci è l’abbruciamento, il quale però non conviene che nei luoghi ove la legna sia abbondante ed a buon patto. Voi sapete che la terra colla quale si fanno i mattoni è terra creta, ossia argilla; ebbene, riducete in polvere i mattoni dopo cotti, e vedrete che questa polvere non assorbe più l’acqua, in modo che non potreste più impastarla; essa ha perduta la plasticità, la tenacità e l’adesione. L’abbruciamento delle terre argillose è basato su questo fatto, e si ottiene col formare nel campo dei mucchi di terra, vuoti nell’interno e con un’apertura a guisa di fornello. Nel fornello di questi mucchi si mette legna o carbone che si accende per riscaldare e cuocere la terra colla quale sono composti. Cotta abbastanza la terra, ed in quantità sufficiente, la si lascia raffreddare, e poi si sparge sul terreno col quale viene mescolata per mezzo dei ripetuti lavori. Così il terreno diviene più soffice, e più facilmente lavorabile.

Quando però il terreno argilloso che si vuol abbruciare sia ricco d’erbe, di radici o d’altre parti organiche vegetali, come sono i terreni di brughiera ed i paludosi, allora non bisogna arroventare troppo la terra per non iscacciare tutto l’azoto proveniente da quelle materie organiche in combustione; che anzi, bisogna procurare che la cottura sia lenta, e che si disperda la minor quantità possibile di fumo.

L’abbruciamento rende soffice la terra, e più facilmente assimilabili i principj costituenti del suolo, purgando eziandio il terreno dalle erbe cattive e dagli insetti. Nelle terre sabbiose però è piuttosto di danno, ed in ogni modo in seguito esige un ben inteso avvicendamento.

§ 216. La troppa mobilità del terreno, quando non sia dovuta [p. 219 modifica]all’humus, è poco favorevole alle diverse coltivazioni, essendo quasi sempre causata da un eccesso di sabbia silicea o calcare nella composizione del suolo. Per il che, oltre alla poca fertilità chimica di siffatti terreni, quando ad una profondità non maggiore di 0m,30 non si riscontri un sottosuolo argilloso o compatto, e che non sia possibile l’irrigazione, avviene che soffrano di troppo la siccità, essendo quelli che più si riscaldano, che meno s’imbevono d’umidità e che più prontamente lasciano evaporare o passar troppo in basso quella che avessero ricevuta.

I mezzi di correggere queste terre sono diversi. Se la mobilità è dovuta alla mancanza d’argilla, ossia ad una eccedente proporzione di sabbia, si potrà usare l’ammendamento, cioè vi si potrà aggiungere tanta argilla in modo che questa vi stia almeno nella proporzione del 20 per cento; ma anche in tal caso s’incontrano degli inconvenienti analoghi a quelli che già vi ho accennati nel parlare dell’aggiunta della sabbia a terreni troppo tenaci, e non sarà utile e facile che quando il sottosuolo essendo argilloso, l’argilla vi si possa mescolare coi lavori profondi.

Se la mobilità e la troppa facilità di riscaldarsi e di asciugare è dovuta a grosse ghiaje, o ciottoli, allora si cercherà di togliere dal terreno le parti più grosse, ben inteso che vi sia l’opportunità di trasportare queste materie per rialzare parti depresse ed umide e poi ricoprirle di terra, per cingere i campi di ripari o per rialzare e rassodare le comunicazioni campestri. Il mezzo migliore per rimediare agli inconvenienti di queste terre, quando vi sia la possibilità e la convenienza della spesa, è l’irrigazione; ma di questa vi parlerò separatamente, essendo che da gran tempo nella nostra gran valle venne istituita con immenso beneficio dell’agricoltura.

§ 217. Un inconveniente spesse volte assai più grave della troppa mobilità e secchezza, è la troppa umidità del suolo che si ha quando il soprasuolo conserva abitualmente più di 0,23 [p. 220 modifica]d’umidità nei primi 30 centimetri di altezza. Quest’inconveniente può essere dovuto ad un sottosuolo soverchiamente tenace che non permetta all’acqua di passare negli strati più profondi; può essere dovuto ad una depressione di livello in confronto della superficie circostante, per cui le acque stagnino in quel luogo; oppure perchè sia di poco superiore al livello di acque vicine che lo penetrino ed imbevino sino alla superficie; o finalmente perchè vada soggetto a frequenti inondazioni per le piene eventuali, o pel rialzo del letto de’ fiumi.

Quando la causa della troppa umidità d’un terreno risiede nella tenacità del sottosuolo, vi si può rimediare coll’approfondare il lavoro, dato che questo sottosuolo non sia di cattiva qualità, e che non richieda troppe spese di lavori e concimazioni, ove sia condotto alla superficie; si potranno inoltre, nei terreni che abbiano almeno qualche leggier pendio, praticare fossi colatori che smaltiscano le acque piovane in luogo inferiore. Nel caso che il numero di questi fossi riuscisse incomodo pei lavori e di troppo consumo di superficie, si potrà tenerli alquanto più profondi, e riempirli di grossi ciottoli o di legne, in modo che al di sopra vi si possa stendere uno strato di terra di 30 centim.; in questa maniera i fossi possono essere anche più numerosi senza che vada perduto molto terreno, e senza che l’acqua si trattenga ad imbevere e raffreddare di troppo il terreno. Se il fosso è riempito di legna, per esempio di fascine, abbisogna rinnovarlo ogni 7 o 10 anni; ma spesso in questo frattempo molti terreni rimangono di già bonificati, molto più se la causa che manteneva l’umidità non era costante, e che esisteva soltanto dapprima, come succede nei terreni vicini alle paludi, che essendo alquanto superiori all’acqua stagnante, a migliorarli basta che per un certo numero d’anni possano essere penetrati piuttosto dall’aria che dall’acqua.

Se il terreno è umido perchè sia ad un livello inferiore del circostante, e che per tal causa le acque di pioggia che [p. 221 modifica]vi cadono sopra direttamente, o che defluiscono dallo spazio circostante più alto, vi debbino stagnare, in allora il rimediarvi è tanto più difficile e costoso quanto più bassa ed estesa sarà la superficie da bonificarsi, e quanto maggiore sarà la quantità delle acque che vi confluiscono. In quest’ultimo caso non si potrebbe raggiungere un felice risultato se non col praticare un canale sotterraneo che traduca l’acqua in qualche parte più lontana e più bassa, passando sotto il rialzo che circonda il terreno da asciugare. Un mezzo meno dispendioso, ma che non potrebbe servire dove l’afflusso dell’acqua fosse eccessivo, è quello di praticare dei pozzi a secco che arrivino ad una profondità tale da incontrare gli strati permeabili della terra, nei quali smaltire le acque ricevute da vari colatori confluenti.

Se il livello del terreno da correggere è di poco superiore a quello di qualche prossimo bacino d’acqua ed anche, come è frequente, di qualità torboso, allora importa praticare varj colatori profondi, rialzando colla terra cavata gli spazj intermedj; o conducendovi terra da qualche prossima eminenza o riempiendo i fossi con sassi o fascine, come si è detto, e ricoprendo in seguito con terra.

§ 218. Una maniera assai vantaggiosa per rialzare i terreni depressi in vicinanza ai fiumi, e che per conseguenza vanno anche soggetti all’inondazione nel momento delle piene, è la colmata colla quale, come vedrassi, si possono render fertili i banchi di ghiaja o di sabbia deposti sui lati del fiume.

La colmata consiste nel trovare il modo di approffittare delle torbide e dei materiali che seco trasportano i fiumi secondo la loro maggiore o minor rapidità, per rialzare i terreni depressi che loro stanno vicini, trattenendo ferme le acque per mezzo di argini o sostegni, finchè siansi depositate le materie terrose che vi si trovano sospese o trascinate.

Il modo pratico per rialzare o colmare questi terreni varia secondo la pendenza del fiume, ossia secondo che l’acqua s’in[p. 222 modifica]nalzi sulle sponde mancando di uno sfogo sufficiente, o perchè siavi rialzo del fondo allo sbocco, come succede ordinariamente; oppure perchè il letto del fiume riesca più alto per la quantità di grossi materiali trasportati dai monti e deposti subito che incontri un pendio minore, ma che può essere ancora tanto rapido da rompere gli argini e spandersi ai lati nel terreno più basso.

Nei terreni, od in quegli spazi sabbiosi o ghiajosi che avvicinano i fiumi e che facilmente sono sommersi dalle piene, basterà il formare degli argini o sostegni di qualunque sorta che taglino perpendicolarmente il corso del fiume; in allora le acque torbide entrando fra gli spazi compresi fra un argine e l’altro, perdendo la loro velocità, lasceranno depositare il fango, e così a poco a poco verrà rialzato il livello di questi spazi, sino a raggiungere quello delle più alte piene. In altri casi, trattandosi di corsi d’acqua non molto rilevanti, nè rapidi, si potrà costruire attraverso il fiume una diga che sostenga le acque sino a quell’altezza che occorre per inondare i terreni superiori, e rallentandone il corso permetta il deposito delle materie terrose, lasciando in seguito defluire le acque per mezzo d’un’apertura od insenatura più bassa praticata nel mezzo di detta diga trasversale; con tal mezzo, oltre al bonificare o donare all’agricoltura molti spazi che potrebbero essere incolti, si ottiene anche di raddrizzare o dirigere il corso delle acque in modo da non occupare uno spazio maggiore di quello che richiedesi pel regolare loro deflusso.

Quando invece, come succede al piede de’ monti, le acque, trascinando in basso materie terrose e grosse pietre, rialzano il fondo del loro letto in modo che i terreni vicini rimangono più bassi, nel caso che non si possa togliere il rialzo, abbisogna condurvi le acque da qualche punto superiore per mezzo di canali di ciottoli, e cingere i terreni di sostegni pure in sassi, formandone tanti spazi recinti che ricevano le acque cariche di materiali piccoli e grossi, i quali depositan[p. 223 modifica]dosi in essi, li innalzano sino anche a superare le sponde del fiume o del torrente; ciò fatto, per ricoprirli, si passerà ad introdurvi le torbide usando del metodo sopraccennato.

Finalmente, quando non si potesse assolutamente rimediare alla troppa umidità d’un terreno, o che la spesa che vi si richiedesse fosse tale che superasse il vantaggio presumibile, allora non ci resterà che d’aver cura di quei vegetali che naturalmente vi crescessero, o d’introdurvi quelli che amano siffatti terreni, quali sono le canne, le lische, l’ontano, ecc.

§ 219. Il difetto che ha un terreno riguardo al ricevere e trattenere il calore impartitogli dai raggi solari, può esso pure venire in parte modificato. Quando il troppo riscaldarsi fosse dovuto al suo colore troppo oscuro, vi si spargeranno sostanze terrose bianche, quali sono la marna e la calce. Se all’incontro il terreno si riscaldasse poco perchè troppo biancastro, sarà utile spargervi materie nerastre e singolarmente polvere di carbone.